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filosofia & religione


N. 55 - Luglio 2012 (LXXXVI)

Solstizio e religione
L'influenza della calendarietà astronomica sui sistemi spirituali

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Molte delle feste più importanti in tutte le religioni e di tutte le culture sono essenzialmente basate sul calendario, il che significa che sono impostate sui ritmi di variazioni regolari che si verificano durante tutto l'anno (come i cambiamenti nelle stagioni) e che esistono per segnare culturalmente o religiosamente tappe significative nel passaggio del tempo durante l'anno stesso.

 

Così, di solito, non ha senso parlare di come e perché una festività esista senza parlare di come la cultura o la religione che l'ha creata concettualizzi il tempo, il suo flusso, e, conseguentemente, stabilisca i propri calendari.

 

Un fattore essenziale nel modo in cui le persone percepiscono e definiscono il passare del tempo è rinvenibile nell'orientamento della Terra rispetto al sole. Tutti sappiamo che, essendovi una inclinazione di 23,5° dell'asse terrestre rispetto al sole, coloro che vivono nelle regioni settentrionali e meridionali hanno quelle che definiamo "stagioni", cioè periodi di tempo durante l'anno nei quali le giornate sono più o meno lunghe e in cui il clima è più caldo o più freddo e che durante una metà dell'anno l'emisfero settentrionale è più esposto al sole, con conseguenti giorni più lunghi e più caldi e che durante l'altra metà dell'anno accadrà esattamente il contrario.

 

Ebbene, a un certo punto durante dell'anno, se si vive al nord o al sud, il sole raggiungerà il suo punto più alto di elevazione, cosa che si tradurrà nella massima quantità di luce naturale di tutto l'anno. A nord tale data è di solito il 21 giugno, mentre il 21 dicembre il sole raggiungerà la sua altezza più bassa e avremo la minima quantità di luce naturale di tutto l'anno.

 

L'appuntamento con il più lungo periodo di luce è il cosiddetto "solstizio d'estate" che si traduce in quello che definiremo il primo giorno d'estate, mentre l'appuntamento con il più breve periodo di luce è il "solstizio d'inverno", cioè il primo giorno d'inverno.

 

Tra queste due date vi sono due giorni in cui la durata della luce diurna e la lunghezza della notte sono quasi esattamente equilibrate e risultano di dodici ore ciascuno. Questi due giorni sono conosciuti come "equinozio di primavera" e "equinozio d'autunno" e sono spesso vissuti come festività, esattamente come accade per i solstizi: l'"equinozio" (che significa letteralmente "notte uguale" con riferimento al fatto che, come accennato, la lunghezza della notte è uguale alla lunghezza del giorno) di primavera è generalmente considerato come un tempo designato a segnare il passaggio della "morte" della natura dell'inverno al risorgere della vita della primavera, mentre l'equinozio d'autunno segna la fine del raccolto e dei preparativi per affrontare i rigori dell'inverno freddo, senza calore o colture.

 

Comprendere quali fossero precisamente i momenti dei solstizi e, soprattutto, degli equinozi di primavera e autunno non è sempre stato facile, perché per la maggior parte della sua storia l'umanità non ha avuto accesso a precisi dati e misurazioni astronomiche. Abbiamo, piuttosto, dovuto fare affidamento sui nostri calendari, inevitabilmente imprecisi.

 

Gli antichi Ebrei, ad esempio, utilizzavano un calendario lunare per segnare il trascorrere del tempo e svolgevano le loro celebrazioni equinoziali durante il primo giorno di luna piena del mese di Nisan, cosicché in realtà, si può dire che avessero fissato una data relativamente vicina all'equinozio vero e proprio, ma, invece, i Romani, pur utilizzando anch'essi un calendario lunare che consisteva di mesi di 29 o 30 giorni, avendo sbagliato il calcolo del ciclo lunare, naturalmente a poco a poco persero il parallelismo tra ritmo calendariale e stagioni reali di cambiamento climatico, tanto che un nuovo sistema si rese necessario.

 

Proprio per questo venne sviluppato il "calendario giuliano" (dal nome del suo promotore Giulio Cesare) che portò Roma a passare da un calendario lunare ad un calendario solare, capace di fornire migliori prestazioni nel tenere traccia delle stagioni usando un anno di 365 giorni (più uno, negli anni bisestili, ogni quattro anni): in questo modo l'equinozio di primavera venne fissato al 25 marzo, ma anche questo calendario, non essendo ancora perfettamente accurato, divenne problematico per l'accumulo di errori anno dopo anno, tanto che, alla fine, papa Gregorio XIII fu costretto a fare un nuovo cambiamento, accorciando l'anno 1582 di ben dieci giorni e dando vita al "calendario gregoriano"che continuiamo ad usare a tutt'oggi.

 

Ora, potremmo porci una domanda sul senso di sviluppare una calendarietà perfettamente in parallelismo con il ciclo delle stagioni. In fondo, una data rimane pur sempre un fattore simbolico legato ad una determinata cultura (si pensi al computo degli anni ebraici o musulmani, ad esempio) e non risulta poi così importante che in un dato giorno faccia più caldo o più freddo, tanto più oggi, con i mutamenti climatici che stiamo vivendo e che rendono il collegamento tra stagioni e temperature atmosferiche sempre meno stabile.

 

Il fatto è che la calendarietà risulta anche spiritualmente una parte importante di come viviamo le nostre vite, anche se potrebbe non sembrare così a prima vista.

 

Sebbene possa apparire che la maggior parte delle persone in Occidente viva ormai in modo tale da percepire la propria esistenza come separata dai ritmi della natura, in realtà, né culturalmente né spiritualmente ne siamo così separati come ci immaginiamo, perché in noi alberga un archetipico contatto "religioso" con i cicli della natura, un contatto ineludibile e che si è, in un modo o nell'altro, trasmesso anche alla nostra calendarizzazione sacrale.

 

Uno degli esempi più evidenti è dato proprio dal solstizio d'estate, come detto, più facile da determinare anche senza misurazioni particolarmente accurate e strumenti scientifici sofisticati per la sua evidenza visibile ad occhio nudo. Ebbene, non è un caso che questa data abbia avuto un significato spirituale per migliaia di anni per gli esseri umani "sorpresi" dalla grande potenza del sole.

 

Così i Celti usavano celebrare questa ricorrenza con falò che "aggiungevano" ulteriore potenza all'energia del sole, i Cristiani hanno posto la festa di San Giovanni Battista verso la fine di giugno in concomitanza con i giorni solstiziali e negli stessi giorni viene celebrata la "festa di Li", la dea cinese della luce.

 

Fondamentalmente, queste concomitanze derivano da archetipi culturali e religiosi pagani, legati a quanto le popolazioni arcaiche si sentissero in soggezione nei confronti della forza incredibile del sole ed dei poteri divini che creano la vita. Proprio per questo tali festività diventavano punti fermi e significativi del ciclo cultuale e sememi intorno ai quali costruire vere e proprie narrazioni simboliche, perlopiù strutturate sulla presa di possesso da parte della Dea Madre della terra, acquisita dalle mani del Dio principio maschile o, più comunemente, nel vedere l'evento solstiziale estivo come l'evento di ripetizione ciclica della ierogamia tra io Dio e la Dea, il frutto della cui unione sarà il raccolto annuale.

 

In quest'ottica, dunque, il solstizio diventa il momento per celebrare la crescita e la vita ma, per popolazioni ancora profondamente legate al ciclo naturale e che sentono archetipicamente, nel ripresentarsi annuale del ciclo stagionale, un equilibrio superiore che governa il mondo, è anche il momento della consapevolezza della finitezza del reale nel riconoscere che il sole inizierà a scendere ancora una volta verso l'inverno e dello sviluppo dell'idea del ciclo perpetuativo del trinomio nascita-morte-rinascita, che avrà esiti diversi in differenti substrati culturali ma che rimarrà presente in gran parte delle religioni formalizzate.

 

Parlare di archetipicità in questo senso non è per nulla esagerato se, in tutto il mondo, troviamo strutture circolari progettate dai popoli più antichi per celebrare specificamente il solstizio estivo e, al di là di pitture rupestri rinvenibili in tutta l'Europa centrale, la più antica di tali strutture, a Galsbury, risale addirittura a 5.000 anni fa.

 

La fase successiva è consistita nel razionalizzare tale culto inserendolo in una ritualità più strutturata dal punto di vista mitologemetico.

Forse le testimonianze più importanti di questo strettissimo legame tra cultualità primaria nella sua fase di strutturazione e cicli naturali, sono rinvenibili in quella che appare oggi la religione antica più strettamente collegata con le forze naturali, quella celtica, che mostra come il passaggio tra omaggio alla forza della natura e sviluppo del mito avvenga quasi naturalmente, addirittura in periodi sincronici tra mantenimento del nucleo primario religioso e suo sviluppo affabulatorio.

 

Così, mentre nelle isole britanniche ancora tra il III e il I secolo a.C. i Druidi festeggiano, all'alba del 21 giugno, "Alban Heruim", "La Luce della Costa", celebrando, con l'inizio del periodo di massima luminosità dell'anno, il trionfo dell'"Oiw", la forza vitale che riempie di sé ogni aspetto del reale e che viene personifica con il "Re Quercia", l'albero che rappresenta il potere della terra e che non a caso viene incoronato nella sera del 21 giugno, nello stesso periodo i Galli, di stesso ceppo e con una religiosità originariamente paritetica, tendono, in un depotenziamento teoretico che si esplica a livello popolare per la distanza dai centri di maggiore elaborazione filosofica della loro cultura e per contatti più frequenti con altre popolazioni, a vedere nel solstizio la festività di Epona, la dea rappresentata come una donna in sella a una cavalla che presiedeva alla fertilità e all'agricoltura.

 

In realtà, proprio questi due aspetti correlati di potere creativo e fertilità sembrano dominare il campo dei culti solstiziali del mondo antico.

 

All'interno delle tribù germaniche e slave, conseguentemente, la notte del 21, celebrata con l'accensione di falò magici, diventa la notte dell'amore e della speranza nel futuro, con gli amanti che, saltando attraverso le fiamme, si giurano fedeltà ma, allo stesso tempo, sperano di ottenere fortuna e generatività e, talvolta, sviluppano temporanee doti divinatorie che altro non sono se non lo specchio della capacità di intuire le possibilità creative del futuro.

 

Nelle civiltà norrene è ancora una volta la forza della fertilità naturale ad essere oggetto di culto nel rituale della danza intorno agli alberi, che, con la gemmazione, promettono un nuovo ciclo generativo, ma anche che diventano epitome del grande Yggdrasil, l'enorme frassino che sorregge i tre mondi che formano l'universo e ne permette l'esistenza.

 

In una cultura religiosamente meno spirituale ma più portata alla strutturazione fabulistica dei propri sentimenti religiosi come quella romana, il periodo tra il 7 e il 15 giugno (che corrisponde, per gli errori di calcolo di cui si è già parlato, al nostro periodo solstiziale) è quello delle celebrazioni della Festa dei Vestalia, dei riti in onore di Vesta, la dea della fertilità (non necessariamente solo dei campi, compito questo piuttosto delegato alla dea minore Cerere) e della generatività femminile.

 

Anche lontano dal cuore dell'Europa riti consimili hanno uno spazio notevole: Hopi, Natchez e Chaco, tutte tribù indiane d'America, ad esempio, hanno tutt'ora nella loro religioni tradizionali strutture legate al solstizio d'estate visto come elemento generativo di forza, fecondità e coraggio, mentre notevolmente interessante è il caso cinese, in cui risulta particolarmente chiaro un doppio registro interpretativo (in fondo non dissimile dal binomio Epona-Alban Heruim di cui si è detto) di grado basso e pratico, con la celebrazione della già menzionata divinità della generatività femminile (e, significativamente, della luce, con un intima comprensione del processo naturale luce-calore-generazione), Lì e una reinterpretazione teoretica di grado alto con la celebrazione del principio universale della femminilità e della terra "yin", contrapposta alla celebrazione del principio contrario di mascolinità e dei cieli "yang" durante il solstizio invernale.

 

Questi stessi principi di rispetto per i cicli "naturali" stanno oggi alla base della religione Wicca, che si ripromette di connettere i credente alle forze divine della terra.

 

Particolarmente significativo è proprio il "Litha", il rituale Wicca che si svolge nella notte del 21 giugno. Esso prevede la collocazione al centro di un cerchio magico di un calderone decorato con fiori e pieno d'acqua con cui i partecipanti verranno aspersi tramite un ramo d'erica e la preparazione di un altare con una corona di agrifoglio (a simboleggiare il principio femminile) e una corona di quercia (il principio maschile), fiancheggiato da due piccoli fuochi a oriente (principio della nascita) e a occidente (principio della morte).

 

Sull'altare vengono poste pagliuzze di lunghezza diversa e, dopo che la sacerdotessa avrà tirato a sorte (ad indicare la casualità e l'indeterminatezza paninglobante della generatività naturale) tra due "re" (maschi presenti), le donne sceglieranno a caso una pagliuzza e chi avrà la più lunga sarà la regina e simbolicamente si unirà al re per creare una nuova vita che perpetui il ciclo naturale.

 

Forse ad alcuni di noi questi simbolismi e questa religiosità panista e panenteista possono apparire un po' "primitivi", ma, curiosamente, tratti molto prossimi, almeno dal punto di vista della radice significante, si ritrovano anche in elementi culturali a noi certamente più prossimi e legati ai culti giudeo-cristiani.

 

Ad esempio, molti potrebbero rimanere stupiti del fatto che uno dei ventiquattro gruppi religiosi presenti nella Palestina del I secolo, gli Esseni, da cui molti fanno derivare tratti notevoli della predicazione del Battista prima e di Gesù dopo, fossero, in effetti, adoratori del sole e celebrassero riti solstiziali.

 

Non si tratta certo di una notizia nuova, visto che già la riferiscono Giuseppe Flavio e Filone d'Alessandria, ma a lungo gli storici hanno negato che tale informazione potesse essere verosimile, fino a quando gli archeologi hanno scoperto che la sala più grande delle rovine di Qumran (dove sono stati rinvenuti i "Rotoli del Mar Morto") era quasi certamente un tempio del Sole (ovviamente, in questo caso, visto come "Volto visibile" di Jahveh) e non, come si riteneva in precedenza, una sala da pranzo.

 

Il dubbio è sorto per la presenza di due altari nella sua estremità orientale e casualmente ci si è resi conto che al momento del solstizio d'estate i raggi del sole che tramonta splendono a 286 gradi lungo l'asse longitudinale dell'edificio e illuminano proprio la parete orientale con i due altari, dato che la camera è orientato esattamente con la stessa angolazione dei santuari egiziani dedicati a Amon Ra (il che fa scattare immediatamente la possibilità di formulare ipotesi di passaggi culturali e cultuali tutti da esplorare).

 

Ma possiamo anche andare oltre. Per tre giorni durante il periodo del solstizio non sembra esserci nessun movimento del Sole rispetto alla Terra e tre giorni è un numero altamente evocativo per chi ha letto almeno superficialmente il Vangelo: è il numero dei giorni della "mancanza di Dio" delle religioni trinitarie tra morte e resurrezione di Cristo, cioè del periodo di "a-temporalità" in cui si esercita, apparentemente su piano statico per i fedeli, la potenza rigenerativa divina... Ipotesi? Certo, ma anche spunti di riflessione.

 

E poi, su un livello ben più indagato dalla letteratura storico-teologica, non è un caso che uno dei due Giovanni dei Vangeli (l'altro, non casualmente, viene onorato nel periodo dell'altro solstizio) venga onorato proprio nel periodo solstiziale estivo: Giovanni Battista, colui di cui si riporta che avesse affermato "Egli deve crescere e io invece diminuire", con una chiarissima assonanza con i cicli naturali di cui stiamo parlando, colui il cui nome in tutti i racconti neotestamentari è sempre legato a termini legati a personificazioni della luce, colui la cui figura è simbolicamente associata con l'acqua, che è il simbolo tradizionale del flusso della vita in quasi tutte le culture.

 

Pensiamo un istante al battesimo che gran parte di noi abbiamo ricevuto: in periodi pre-cristiani l'atto di immersione ed emersione era paritetico all'atto di rinascita, di uscita dall'oscurità verso la luce fisica, in una esperienza che può essere facilmente traslata in senso metafisico e spirituale con un passaggio da una rinascita transitoria e purificata ad una rinascita definitiva dell'anima umana.

 

Insomma, si tratta solo di una rilettura delle abluzioni che figurano in tutte le religioni pre-cristiane come momento di "rigenerazione alla luce", che forse raggiunge la sua massima chiarezza nel ciclo di leggende egizie del Dio Anap, il "battezzatore" degli altri dei, che riporta alla luce lo spirito macchiato dall'oscurità del male, ma che è presente nei racconti relativi a elementi lustrali legati a dèi dell'antico Egitto, della Grecia, dell'India, ecc. Ebbene, i grandi riti lustrali nelle annualità liturgiche delle varie religioni sono sempre concomitanti con gli eventi solstiziali. Perché? Perché ogni evento di trasformazione trova il suo compimento in un atto di apoteosi ciclica: ogni battesimo è il solstizio della vita umana.

 

Leggiamo i racconti scritturali: la testimonianza neotestamentaria del battesimo di Gesù da parte di Giovanni è una presentazione pittoresca e drammatica di un atto di trasformazione, assumendo esattamente lo stesso significato delle varie storie veterotestamentarie in cui è ritratta la trasformazione del personaggio principale, da Abram che diventa Abraham a Giacobbe che diventa Israele.

 

Il significato nascosto in questi racconti può essere visto nella riproposizione proprio della ciclicità rigenerativa della vita mediante l'intervento di una energia superiore che, in fondo, non è altro che la riproposizione proprio di quei culti solstiziali di cui abbiamo trattato.

 

Siamo ancora così convinti che la nostra esistenza spirituale, pur ormai allontanatasi, almeno nella nostra percezione, dai ritmi della terra, sia, in fin dei conti, così aliena da quella ciclicità generativa che rimane parte del DNA culturale di ciascuno di noi?

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

J. Matthews, The Summer Solstice: Celebrating the Journey of the Sun from May Day to Harvest, Quest Books 2002.
R. Heinberg, Celebrating Each Equinox and Solstice, Celebrate the Solstice: Honoring the Earth's Seasonal Rhythms through Festival and Ceremony, Quest Books 1993.
S. Hidalgo, The Healing Power of Trees: Spiritual Journeys Through the Celtic Tree Calendar, Llewellyn Publications 2010.
S. Wilson, The Essenes: Children of the Light, Ozark Mountain Publishing, Inc, 2005.
J. Irvin, A. Rutajit, N. Zervos, Astrotheology & Shamanism: Christianity's Pagan Roots. A Revolutionary Reinterpretation of the Evidence, BookSurge Publishing 2009.
D.B. DeYoung, Astronomy and the Bible: Questions and Answers, BMH Books 2010.



 

 

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