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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


contemporanea

DA SOLFERINO ALLA CROCE ROSSA

HENRY DUNANT: UN PERCORSO DI UMANITÀ

di Raffaele Pisani

 

La descrizione di Henry Dunant sulla battaglia del 24 giugno 1859, che si svolse sulle colline moreniche a sud del lago di Garda ai confini delle provincie di Verona, Mantova e Brescia, ha qualcosa di nuovo di originale rispetto ad altre opere del genere. Un souvenir de Solférino e non Souvenir de Solférino, come tiene a precisare Dunant stesso nelle sue Mémoires, non è il resoconto di un professionista delle cronache di guerra, è piuttosto il frutto della sua impressione immediata per l’accadimento di cui si trova a essere involontario testimone.

 

Nel suo racconto non parla solo del combattimento, ma si dilunga soprattutto su quello che viene dopo. In ogni caso, anche quando descrive le azioni militari, non lo fa dall’alto di una posizione fuori campo ma come qualcuno che si trova dentro la mischia, sente i rumori, gli scossoni, gli odori e sembra entrare negli animi dei combattenti scorgendone coraggio, esaltazione, furore ma anche paura, tormento, terrore.

 

Descrive con eguale ammirazione le azioni intelligenti e coraggiose, al limite anche furiose nel raggiungere gli obiettivi, se sono effettuate dai Franco-Piemontesi o dagli Austriaci. Viceversa, riferendosi alle azioni dei Croati dell’esercito austriaco, mette in evidenza la crudeltà e il fanatismo, dice che finiscono i feriti a colpi di pietra; quanto ai tirailleurs algerini inquadrati nell’esercito francese, racconta che colpiscono nella stessa maniera gli sventurati morenti.

 

Di solito riferendosi a una battaglia ci si chiede quale ne sia stato l’esito: chi ha conquistato la posizione? Chi l’ha dovuta abbandonare? La nostra storiografia risorgimentale ha sempre visto in Solferino e San Martino un momento importante della riscossa italiana, che porterà in un tempo molto breve alla costituzione del Regno d’Italia nel 1861. La numerosa produzione pittorica celebrativa sull’argomento, quando fa vedere i feriti, li rappresenta prontamente accuditi dagli addetti della sanità militare e anche dalla gente del luogo, il tutto in un clima generale di tranquillità.

 

Lo svizzero Henry Dunant, che si è venuto a trovare sul teatro delle operazioni sperando di poter parlare con Napoleone III su certe questioni economiche, scorge una realtà ben diversa. È molto impressionato dallo svolgimento della battaglia e ancor più dalle tragiche conseguenze, quelle immediate e quelle differite nel tempo. Vede un’umanità lacerata dall’una e dell’altra parte, che si lamenta e grida la propria sofferenza invocando un aiuto che in molti casi è materialmente impossibile dare. La pioggia di fuoco delle artiglierie, ben più potenti e distruttive di quelle del decennio precedente, sorprende anche chi alla guerra è abituato. Senza distinzione i proietti cadono sui soldati semplici come sugli ufficiali di alto grado. A questo punto la capacità dei reparti militari di occuparsi dei feriti si rivela drammaticamente inferiore rispetto alle necessità.

 

Se la morte è assurda mentre si è sul campo di battaglia, lo diventa ancor di più quando è il risultato di una ferita, anche modesta, che non riceve adeguata cura. Vi sono soldati abbandonati, senza alcuna assistenza privi di acqua e di cibo ed esposti al calore del periodo solstiziale, che periscono in questo modo. È vero che ci si adopera con i mezzi a disposizione per cercare di portare cure e conforto, ma si tratta di un compito immane.

 

La popolazione civile fa lodevolmente la sua parte; vengono menzionate in particolare le donne di Castiglione, il paese più vicino al luogo dello scontro, che curano come fratelli i feriti dell’una come dell’altra parte. Non mancano episodi di barbarie, si è già detto delle truppe coloniali francesi e dei soldati balcanici dell’esercito austriaco; Dunant accenna anche ad alcuni abitanti del luogo che avrebbero spogliato i cadaveri di ogni oggetto di valore. D’altra parte le situazioni limite fanno emergere il meglio e il peggio dell’umanità: generosità, cavalleria ma anche violenza e cinismo.

 

Alla sua insistenza nel mettere in luce l’atteggiamento cortese e perfino premuroso dei Francesi, soprattutto fra degli ufficiali, nei confronti di qualche prigioniero o ferito, si contrappone un frettoloso giudizio che sembra escludere alcuni reparti combattenti ogni da forma di umanità. Anche le prime idee sulla costituzione di un corpo di volontari che agisca al di sopra delle parti, liberamente e con spirito umanitario, sembra riferito a un’Europa civilizzata e ciononostante spesso alle prese con conflitti intestini; nessun accenno alle azioni coloniali e ai relativi massacri di popolazioni.

 

L’umanitarismo e la filantropia di Dunant in un primo momento hanno un raggio limitato, anch’egli è figlio del suo tempo, anche se ha una particolare sensibilità.

 

Si fa riferimento come data fondamentale al 1863, anno della costituzione del Comitato internazionale della Croce-Rossa, o all’anno successivo quando si riuniscono i rappresentanti di dodici nazioni, l’Italia è presente, per sottoscrivere la prima Convenzione di Ginevra per la protezione delle vittime di guerra. In questa occasione si procede alla scelta di un segno chiaramente leggibile indicante i volontari soccorritori dei feriti. Deve avere l’effetto pratico immediato del rispetto incondizionato, cosa che non risulta agevole per i distintivi dei vari corpi di sanità militare, ciascuno con un proprio colore. La croce rossa in campo bianco, l’inversione dei colori della bandiera svizzera, sarà per tanto tempo l’unico emblema della protezione e dell’aiuto nei campi di battaglia.  

 

I singoli stati che man mano entreranno nell’organizzazione daranno vita alle varie Croce-Rosse nazionali, ora sono poco meno di duecento. Aderendo agli stessi principi e operando nel medesimo modo, gli stati islamici sceglieranno la denominazione di Mezzaluna-Rossa. Altri simboli verranno proposti da vari paesi, rischiando di creare confusione. Il cristallo, una sorta di cornice rossa che delinea un campo bianco, nel quale si può inserire un elemento identificativo nazionale, pare essere la soluzione attuale.

 

Sempre attento a osservare gli avvenimenti, Dunant muta in seguito la sua concezione del mondo e i suoi propositi si fanno più ampi e radicali: da un’umanizzazione della guerra prendendosi cura dei feriti alla costituzione di un ordine mondiale capace di ridurre e al limite eliminare i conflitti armati tra le nazioni. Nel suo scritto, L’Avvenir sanglant, mette in guardia da quello che potrebbe succedere con una continua rincorsa agli armamenti.

 

Si adopera anche per debellare la schiavitù, ancora largamente presente nel mondo. La questione femminile è vista soprattutto in funzione del grande progetto umanitario che si stava delineando. La donna è considerata una fondamentale risorsa all’interno della Croce-Rossa, con la sua sensibilità e il suo senso pratico potrà svolgere al meglio l’assistenza e la cura dei feriti e dei bisognosi in genere. Dunant ha ben presenti due donne che in un certo senso lo avevano anticipato. La contessa Madame de Gasparin, attiva già durante la guerra di Crimea (1853-56), e la contessa lombarda Verri Borromeo, che si era prodigata con tanta passione in occasione nelle cruente battaglie del 1859. Fu proprio nella sua casa che si cominciò a parlare della necessità di un distintivo ben evidente a protezione del personale della Croce-Rossa.

 

Dunant, tanto preoccupato per l’umanità sofferente, presta troppo poca attenzione alla sua situazione personale, ridotto in miseria, vive i suoi ultimi anni in solitudine dimenticato dalla società. Ritrovato per caso da un giornalista che si premura di fargli avere qualche riconoscimento anche economico, egli si dimostra indifferente a questa ripresa di interesse nei suoi confronti. Neanche l’assegnazione del Nobel per la Pace, il primo della storia nel 1901, gli farà cambiare atteggiamento.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

H. Dunant, Un ricordo di Solferino, Croce Rossa Italiana, Roma 2002.

H. Dunant, Mémoires, Edition L’Age d’homme, Lausanne 1971.

F. Giampiccoli, Henry Dunant. Il fondatore della Croce Rossa, Claudiana Editrice, Torino 2009. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]