contemporanea
DA SOLFERINO ALLA CROCE ROSSA
HENRY DUNANT: UN PERCORSO DI UMANITÀ
di Raffaele Pisani
La descrizione di Henry Dunant sulla
battaglia del 24 giugno 1859, che si
svolse sulle colline moreniche a sud del
lago di Garda ai confini delle provincie
di Verona, Mantova e Brescia, ha
qualcosa di nuovo di originale rispetto
ad altre opere del genere. Un
souvenir de Solférino e non
Souvenir de Solférino, come tiene a
precisare Dunant stesso nelle sue
Mémoires, non è il resoconto di un
professionista delle cronache di guerra,
è piuttosto il frutto della sua
impressione immediata per l’accadimento
di cui si trova a essere involontario
testimone.
Nel suo racconto non parla solo del
combattimento, ma si dilunga soprattutto
su quello che viene dopo. In ogni caso,
anche quando descrive le azioni
militari, non lo fa dall’alto di una
posizione fuori campo ma come qualcuno
che si trova dentro la mischia, sente i
rumori, gli scossoni, gli odori e sembra
entrare negli animi dei combattenti
scorgendone coraggio, esaltazione,
furore ma anche paura, tormento,
terrore.
Descrive con eguale ammirazione le
azioni intelligenti e coraggiose, al
limite anche furiose nel raggiungere gli
obiettivi, se sono effettuate dai
Franco-Piemontesi o dagli Austriaci.
Viceversa, riferendosi alle azioni dei
Croati dell’esercito austriaco, mette in
evidenza la crudeltà e il fanatismo,
dice che finiscono i feriti a colpi di
pietra; quanto ai tirailleurs
algerini inquadrati nell’esercito
francese, racconta che colpiscono nella
stessa maniera gli sventurati morenti.
Di solito riferendosi a una battaglia ci
si chiede quale ne sia stato l’esito:
chi ha conquistato la posizione? Chi
l’ha dovuta abbandonare? La nostra
storiografia risorgimentale ha sempre
visto in Solferino e San Martino un
momento importante della riscossa
italiana, che porterà in un tempo molto
breve alla costituzione del Regno
d’Italia nel 1861. La numerosa
produzione pittorica celebrativa
sull’argomento, quando fa vedere i
feriti, li rappresenta prontamente
accuditi dagli addetti della sanità
militare e anche dalla gente del luogo,
il tutto in un clima generale di
tranquillità.
Lo svizzero Henry Dunant, che si è
venuto a trovare sul teatro delle
operazioni sperando di poter parlare con
Napoleone III su certe questioni
economiche, scorge una realtà ben
diversa.
È
molto impressionato dallo svolgimento
della battaglia e ancor più dalle
tragiche conseguenze, quelle immediate e
quelle differite nel tempo. Vede
un’umanità lacerata dall’una e
dell’altra parte, che si lamenta e grida
la propria sofferenza invocando un aiuto
che in molti casi è materialmente
impossibile dare. La pioggia di fuoco
delle artiglierie, ben più potenti e
distruttive di quelle del decennio
precedente, sorprende anche chi alla
guerra è abituato. Senza distinzione i
proietti cadono sui soldati semplici
come sugli ufficiali di alto grado. A
questo punto la capacità dei reparti
militari di occuparsi dei feriti si
rivela drammaticamente inferiore
rispetto alle necessità.
Se la morte è assurda mentre si è sul
campo di battaglia, lo diventa ancor di
più quando è il risultato di una ferita,
anche modesta, che non riceve adeguata
cura. Vi sono soldati abbandonati, senza
alcuna assistenza privi di acqua e di
cibo ed esposti al calore del periodo
solstiziale, che periscono in questo
modo.
È
vero che ci si adopera con i mezzi a
disposizione per cercare di portare cure
e conforto, ma si tratta di un compito
immane.
La popolazione civile fa lodevolmente la
sua parte; vengono menzionate in
particolare le donne di Castiglione, il
paese più vicino al luogo dello scontro,
che curano come fratelli i feriti
dell’una come dell’altra parte. Non
mancano episodi di barbarie, si è già
detto delle truppe coloniali francesi e
dei soldati balcanici dell’esercito
austriaco; Dunant accenna anche ad
alcuni abitanti del luogo che avrebbero
spogliato i cadaveri di ogni oggetto di
valore. D’altra parte le situazioni
limite fanno emergere il meglio e il
peggio dell’umanità: generosità,
cavalleria ma anche violenza e cinismo.
Alla sua insistenza nel mettere in luce
l’atteggiamento cortese e perfino
premuroso dei Francesi, soprattutto fra
degli ufficiali, nei confronti di
qualche prigioniero o ferito, si
contrappone un frettoloso giudizio che
sembra escludere alcuni reparti
combattenti ogni da forma di umanità.
Anche le prime idee sulla costituzione
di un corpo di volontari che agisca al
di sopra delle parti, liberamente e con
spirito umanitario, sembra riferito a
un’Europa civilizzata e ciononostante
spesso alle prese con conflitti
intestini; nessun accenno alle azioni
coloniali e ai relativi massacri di
popolazioni.
L’umanitarismo e la filantropia di
Dunant in un primo momento hanno un
raggio limitato, anch’egli è figlio del
suo tempo, anche se ha una particolare
sensibilità.
Si fa riferimento come data fondamentale
al 1863, anno della costituzione del
Comitato internazionale della
Croce-Rossa, o all’anno successivo
quando si riuniscono i rappresentanti di
dodici nazioni, l’Italia è presente, per
sottoscrivere la prima Convenzione di
Ginevra per la protezione delle vittime
di guerra. In questa occasione si
procede alla scelta di un segno
chiaramente leggibile indicante i
volontari soccorritori dei feriti. Deve
avere l’effetto pratico immediato del
rispetto incondizionato, cosa che non
risulta agevole per i distintivi dei
vari corpi di sanità militare, ciascuno
con un proprio colore. La croce rossa in
campo bianco, l’inversione dei colori
della bandiera svizzera, sarà per tanto
tempo l’unico emblema della protezione e
dell’aiuto nei campi di battaglia.
I singoli stati che man mano entreranno
nell’organizzazione daranno vita alle
varie Croce-Rosse nazionali, ora sono
poco meno di duecento. Aderendo agli
stessi principi e operando nel medesimo
modo, gli stati islamici sceglieranno la
denominazione di Mezzaluna-Rossa. Altri
simboli verranno proposti da vari paesi,
rischiando di creare confusione. Il
cristallo, una sorta di cornice rossa
che delinea un campo bianco, nel quale
si può inserire un elemento
identificativo nazionale, pare essere la
soluzione attuale.
Sempre attento a osservare gli
avvenimenti, Dunant muta in seguito la
sua concezione del mondo e i suoi
propositi si fanno più ampi e radicali:
da un’umanizzazione della guerra
prendendosi cura dei feriti alla
costituzione di un ordine mondiale
capace di ridurre e al limite eliminare
i conflitti armati tra le nazioni. Nel
suo scritto, L’Avvenir sanglant,
mette in guardia da quello che potrebbe
succedere con una continua rincorsa agli
armamenti.
Si adopera anche per debellare la
schiavitù, ancora largamente presente
nel mondo. La questione femminile è
vista soprattutto in funzione del grande
progetto umanitario che si stava
delineando. La donna è considerata una
fondamentale risorsa all’interno della
Croce-Rossa, con la sua sensibilità e il
suo senso pratico potrà svolgere al
meglio l’assistenza e la cura dei feriti
e dei bisognosi in genere. Dunant ha ben
presenti due donne che in un certo senso
lo avevano anticipato. La contessa
Madame de Gasparin, attiva già durante
la guerra di Crimea (1853-56), e la
contessa lombarda Verri Borromeo, che si
era prodigata con tanta passione in
occasione nelle cruente battaglie del
1859. Fu proprio nella sua casa che si
cominciò a parlare della necessità di un
distintivo ben evidente a protezione del
personale della Croce-Rossa.
Dunant, tanto preoccupato per l’umanità
sofferente, presta troppo poca
attenzione alla sua situazione
personale, ridotto in miseria, vive i
suoi ultimi anni in solitudine
dimenticato dalla società. Ritrovato per
caso da un giornalista che si premura di
fargli avere qualche riconoscimento
anche economico, egli si dimostra
indifferente a questa ripresa di
interesse nei suoi confronti. Neanche
l’assegnazione del Nobel per la Pace, il
primo della storia nel 1901, gli farà
cambiare atteggiamento.
Riferimenti bibliografici:
H. Dunant, Un ricordo di Solferino,
Croce Rossa Italiana, Roma 2002.
H. Dunant, Mémoires, Edition
L’Age d’homme, Lausanne 1971.
F. Giampiccoli, Henry Dunant. Il
fondatore della Croce Rossa,
Claudiana Editrice, Torino 2009. |