.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

filosofia & religione


N. 59 - Novembre 2012 (XC)

Soggettivismo, soggettività, soggetto
L’uomo e la responsabilità

di Dalia Fortini

 

[Il problema che si può sperimentare nella società contemporanea si riassume in una un’unica comune parola: soggettivismo. La soggettività più sfrenata ha infatti preso il suffisso “ismo” a indicare il suo movimento verso una schiacciante presa di posizione verso una traccia negativa. Dal soggettivismo contemporaneo nascono poi le malattie del nostro tempo: opinionismo, relativismo, moralismo.


Non si parla più di sane opinioni alla luce della verità, di “opinioni vere” riguardo uno stato di cose reale, ma di un’opinione solo relativa a un soggetto, che qualora il sopraddetto la creda fermamente vera allora è vera – non importa se vede gli elefanti rosa volare –. E se si limitasse al singolo la società non avrebbe problemi in quanto sarebbe un mero solipsismo improbabile. È quando la maggior parte degli individui inizia a pensarla allo stesso modo, creando persino una regola linguistica, che si pone il problema. Intersoggettività erronea dettata da un egoismo di fondo che diviene comune, andando a formare poi una nuova realtà culturale invincibilmente erronea: un serio problema comunicativo che rischia di farci chiudere rispetto alla realtà di fatto che diviene incomunicabile.


Che la cultura ci condizioni è un dato di fatto, ed è una fortuna che sia così, in quanto non siamo soli in questo mondo, ma che questa debba determinarci in modo assoluto, e anzi, debba essere determinata da mezzi mediatici in modo spesso ideologico e fuorviante è da valutare se sia o meno giusto. Chi rifiuta i termini giusto o sbagliato, vero e falso, per abbarbicarsi e difendersi da un moralismo possibile deve innanzitutto ricordare che esiste una sana moralità, senza cui il soggetto stesso non vivrebbe, anche detta “legge morale naturale”. Ma in questo tempo tutto si crea, tutto si distrugge, niente si trasforma: vale per la natura, vale per l’essere umano, vale per qualsiasi cosa il soggetto si trovi ad affrontare.


Come si è arrivati a questo punto? Per poter parlare di una giusta visione, bisogna avere uno sguardo filosofico sul reale, senza andare a scomodare credenze o ideologie fuorvianti. Si propone una strada semplice: il punto di partenza sarà il pensiero antico e si giungerà a un pensiero che si potrà definire attuale.


Tornando indietro si noterà che al tempo degli antichi romani, poco si aveva a che fare col soggetto in sé. Prendiamo ad esempio il diritto romano, che ci verrà in aiuto in questo breve studio. Cos’era un furtum nell’antica Roma? Non era l’atto, come invece penseremmo, l’atto imputabile a una persona in quanto ha rubato. Era l’oggetto, l’oggetto tolto che doveva essere in qualche modo restituito. Potremmo definire quindi la società antica una società perlopiù oggettiva. Vediamo gli echi di questo anche in Grecia, ai tempi di Aristotele. Si può notare che Aristotele conosce il diritto oggettivo, in quanto la sua concezione di giustizia si basa su un’uguaglianza formale: ossia dare al merito, non importa di chi. Si tratta di distribuire qualcosa secondo un rapporto di proporzionalità.


Quando quindi nasce una concezione soggettiva? Col Cristianesimo. D’improvviso si scardina il passato e si viene a porre l’attenzione sul soggetto. È infatti il soggetto l’artefice delle azioni. Le azioni non valgono più prese di per sé, come anche gli oggetti, gli animali, valgono in rapporto all’uomo, perché è l’essere umano l’unico essere responsabile. La concezione medievale è piuttosto chiara: la morale cristiana vede il male e il bene connessi imprescindibilmente all’uomo in rapporto con Dio. E così l’uomo diventa un valore assoluto.


Andiamo avanti, a un periodo che viene chiamato col termine modernità, di solito fatta partire dalla scoperta dell’America nel 1492. Dal 1500 circa, quindi, un nuovo approccio del soggetto verrà attuato, non più il soggetto morale in rapporto a Dio, ma il soggetto rispetto alla natura. Cosa viene a mancare in questo caso, o cosa ad aggiungersi. Non è certo un ritorno agli albori, questo è bene specificarlo, perché in alcun modo si parla di oggettività, ma di legge naturale comunque relativa al soggetto: alla razionalità umana che legge un senso nella natura – Galileo Galilei direbbe un libro matematico da leggere –. In filosofia grandi nomi fanno cominciare proprio con la soggettività, l’io, la formulazione del loro sistema filosofico coerente. Si pensi a Cartesio, padre del cosiddetto Cogito. Il penso, parte appunto dall’io, che è sostrato di un’intera filosofia che dilaga durante la modernità. Si parla di razionalità, si parla della rinascita della ragione umana in quanto tale.


Durante l’Illuminismo poi abbiamo un importante cambiamento, fondamentale. Con la rivoluzione francese si istaurano i primi diritti civili, viene redatto un codice civile, e l’attenzione è di nuovo posta sul soggetto e questa volta sulla responsabilità di questo. Sì, perché il termine responsabilità come sostantivo, ha la sua nascita proprio durante il 1800. Prima si utilizzava solamente come aggettivo, si parlava dunque di soggetto responsabile, mai di responsabilità.


Responsabilità e soggetto iniziano ad andare di pari passo e a prendere il significato abituale che hanno oggi: obbligazione, imputabilità. Laddove quindi in passato si era messo l’accento sull’impegno, la fiducia, l’illuminismo mette l’accento sull’aspetto negativo, definiamolo così, della responsabilità umana.


La soggettività in quanto tale quindi non era possibile se non le si concedeva una libertà a livello civile e dunque la responsabilità dei propri atti.
Veniamo al XIX e XX secolo.

Come siamo arrivati a questo punto? Il pensiero filosofico ha ritenuto l’uomo non ascrivibile a una natura comune e universale, ma lo ha legato alla storicità e alla cultura dimenticandosi di un sostrato imprescindibile – questo a causa di accadimenti storici: colonialismo e guerre mondiali hanno condizionato l’umanità –. Considerato l’essere umano come libertà più assoluta si è tolto dall’ottica umana il senso della responsabilità per se stessi, per gli altri e per la società, maturando così un’ingenuità e ignoranza di fondo. Il termine responsabile è infatti oggi considerato comunemente desueto e addirittura noioso soprattutto dalle nuove generazioni che inneggiano al termine libertà senza comprenderlo (come il termine valore). Il fulcro è stato propriamente dare all’uomo la possibilità di essere quello che vuole e di creare persino valori laddove lo ritenga opportuno, scadendo in un immediato materialismo che mette l’uomo alla stregua pressoché di una cosa relativa al tempo, al luogo e alle sue scelte personali – come se la verità si decidesse sulla base dell’individualità –.

 

L’essere umano non ha valore e dignità assoluta per ciò che è realmente, dovremmo partire da un presupposto naturale comune per poter dire questo, non c’è che relativismo definito oggi con la parola “democrazia” di cui si abusa fortemente per dire tutto e il contrario di tutto. In un’ottica di libertà e basta non esistono più termini come giusto e sbagliato, ma nemmeno di democrazia: si dovrebbe parlare di contrattualismo e opinionismo più o meno consapevoli.


Un filone di filosofi quale Lévinas, Buber, Scheler, Von Hildebrand, hanno cercato di recuperare valori e responsabilità – per se stesso e per gli altri –; hanno portato un’argomentazione valida sull’importanza di questi due “termini” ormai di gran lunga sottovalutati da popoli che non vogliono sapere altro se non ciò che concerne la loro personale vita dimentichi di “Dio” (inteso come ricerca della verità anche solo razionale) e basandosi su uno scientismo radicato nemmeno su un empirismo di fatto, ma su teorie manipolate da un’ideologia dominante che vorrebbe così creare ancor più un’idea di massa da far filtrare nella nuova cultura.

 

Si sta uccidendo la vera intersoggettività attraverso mezzi comunicativi devianti, che non rimandano alla verità da fatto, ma a una semplice opinione comune che si forma attraverso menti ormai non più atte al pensiero consapevole, ma soltanto formate dal senso comune. E il futuro dell’umanità? Un’incognita se non si vuole essere pessimisti.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.