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N. 66 - Giugno 2013 (XCVII)

I Sofisti, il libro e la critica letteraria
un ruolo fondamentale nel processo di diffusione del libro

di Paola Scollo

 

Protagonisti della scena politico-cilturale ateniese del V secolo i Sofisti non possono essere considerati esclusivamente dei maestri prezzolati o degli avversari della tradizione. In una società in cui il primato dell’oralità sulla scrittura ha determinato alle origini un rapporto di tipo orale - aurale con i testi, questi pensatori hanno svolto un ruolo fondamentale nel processo di diffusione del libro, indiscutibile presupposto per la nascita della filologia stessa. Hanno incentivato un nuovo e altro tipo di fruizione del patrimonio letterario, che si avvaleva del supporto librario.

 

Il libro favorisce una fruizione iterata dei testi sempre più privata, intima. Una lettura intensiva e ragionata come esercizio mentale indispensabile per la formazione di uno spirito critico, filologico. Per i Sofisti il libro ha rappresentato non solo uno strumento didattico, ma anche il canale di diffusione privilegiato per le loro dottrine, essendo essi stessi autori di manuali e trattati retorici.

 

Una breve incursione in Platone offre in tal senso riscontri significativi. Due passi, tratti dal Protagora (325 e 1 - 326 a 1) e dal Fedro (266 d 1 - 6), confermano l’abitudine dei sofisti di leggere manoscritti ai loro allievi. In particolare il primo brano può essere considerato il manifesto dell’attività paideutica di Protagora, in quanto il sofista dichiara di disporre di un metodo didattico che consta di tre fasi.

 

La prima prevede la comprensione delle parole e l’introduzione dei fondamentali insegnamenti morali. In questa fase gli educatori, ovvero nutrice, madre, pedagogo e padre, fanno a gara perché il fanciullo impari a distinguere il giusto dall’ingiusto, il bello dal brutto, il santo dall’empio.

 

La seconda fase, basata sulla comprensione del linguaggio scritto, è affidata ai maestri, che pongono dinanzi ai discepoli i versi dei migliori poeti, affinché facciano tesoro degli esempi in essi contenuti e li scelgano come modello cui tendere per il raggiungimento della virtù.

 

Infine la terza fase, a cura della polis, consiste nell’apprendimento dei nomoi, in modo tale che i giovani possano vivere secondo il loro modello.

 

In queste righe è chiaramente espressa la funzione pedagogica che i Greci attribuivano allo studio dei poeti: da un lato i fondamentali insegnamenti e ammonimenti da parte degli educatori; dall’altro le continue esortazioni ad ambire alle mete più alte, sulla scia dei modelli proposti. E all’interno del percorso formativo il libro diviene strumento necessario per introdurre i giovani ai testi. A tal proposito Platone mette in bocca a Protagora le seguenti affermazioni: «E di questo, appunto, soprattutto si prendono cura i maestri e quando i ragazzi abbiano appreso le lettere e comincino a rendersi conto delle lettere scritte, come prima di quelle dette a voce, pongono loro dinanzi sugli scanni, perché li leggano, i versi dei migliori poeti e li costringono ad impararli a memoria».

 

Il secondo passo appartiene alla sezione del Fedro in cui Platone delinea le caratteristiche dell’arte del preparare i discorsi, l’oratoria (266 d 7 - 267 d 9). Il discorso ben fatto deve risultare composto come un essere vivente, per cui deve possedere un corpo ben formato in tutte le sue parti costitutive (264 c 2 - 5). Un bel discorso deve inoltre essere unitario e articolato in modo perfetto, deve perseguire il verisimile e giungere all’insieme (269 c 2 - 5).

 

In seguito Platone descrive i due requisiti fondamentali del discorso: la diairesis, ovvero la suddivisione delle idee in base alle loro articolazioni naturali, e la synopsis, la ricomposizione dei concetti dispersi in un’unica idea, in un unico sguardo d’insieme, così da chiarire l’oggetto dell’insegnamento.

 

In questo passo Socrate si professa amante di questi due procedimenti indispensabili sia per parlare sia per pensare: «Come dici? Potrebbe esserci qualcosa di più bello che, senza questi procedimenti della dialettica, possa tuttavia essere appreso con arte? Né tu né io dobbiamo assolutamente disprezzarla, ma dobbiamo dire che cos’è ciò che rimane dell’arte oratoria». «Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si trovano nei libri scritti sull’arte dei discorsi».

 

Platone mostra qui di conoscere gli strumenti necessari per preparare i discorsi, in quanto ha avuto modo di apprenderli direttamente dai trattati scritti dai sofisti. Peraltro non manca di sottolineare l’insufficienza di questi strumenti: usare le espressioni adeguate non è impresa facile. La conoscenza, intesa come capacità di penetrare nell’essenza delle cose mediante il metodo dialettico, risulta più importante della dote naturale e dell’esercizio. Questa capacità si esprime nel collegare gli elementi costitutivi del discorso. La conoscenza del retore non riguarda solo l’oggetto del discorso, ma anche il soggetto, il destinatario del discorso stesso. Dal momento che la forza del discorso consiste nel guidare le anime, chi intende divenire esperto di retorica deve conoscere le forme dell’anima. Ogni discorso deve essere appropriato all’anima di colui che si deve persuadere. Chi compone e pronuncia i discorsi deve preoccuparsi di assecondare i gusti dei padroni che sono buoni e che discendono da buoni ossia gli dèi. Va da sé che si tratta di un percorso complesso e in salita.

 

Sul filo di questa direttrice la singolare importanza accordata dai sofisti al libro, dunque al discorso scritto, è dovuta con ogni probabilità all’insufficienza dell’oralità per la loro attività didattica. Come è noto, a tale interesse Platone guarda con sospetto: lo scritto è una minaccia per il potere della mneme, l’esercizio della memoria, indispensabile sia alla poesia sia alla speculazione filosofica. Di qui la polemica contro lo strapotere del discorso scritto e il dominio assoluto della parola, che attraversa tutta la produzione di Platone dal Protagora al tardo Fedro, passando attraverso le Epistole.

 

Professori di virtù politica, i Sofisti pongono al primo posto del loro insegnamento la capacità di dominare il logos e di discutere in modo efficace. Nonostante l’interesse per i testi si risolva per lo più a mero gioco verbale, virtuosismo retorico e sfoggio di vuota erudizione, talvolta sa spingersi anche oltre, divenendo analisi sul linguaggio.

 

Pur non potendo essere considerati veri e propri filologi, i Sofisti svolgono un ruolo di mediazione nella storia della critica letteraria. Essi rappresentano la demistificazione del cristallizzato mondo arcaico di Atene. Con le loro dottrine e i loro insegnamenti si pongono in maniera critica nei confronti della tradizione antica, ponendo le basi per un nuovo corso.



 

 

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