Socrate
Il filosofo tradito
dalla sua stessa polis
di
Francesco Biscardi
La più comune immagine che abbiamo
di Atene è quella della culla della
civiltà occidentale e della
democrazia, paradigma di diritti,
prosperità e libertà. Tuttavia, la
sua storia non fu in alcuni
frangenti così rosea come spesso si
crede: violenza, imperialismo e
dispotismo demagogicoimperversavano
in abbondanza. Ciò è esemplarmente
provato dalla vicenda di uno dei
personaggi più celebri di tutta
l’antichità greca: il filosofo
Socrate.
Figlio dello scultore Sofronisco e
della levatrice Fenarete, questi
nacque ad Alopece, demo ateniese,
nel 469 a.C. e morì nel 399 a.C. a
seguito di condanna giudiziaria.
Della sua vita non sappiamo molto,
se non quanto emerge dalle opere di
altri celebri scrittori greci come
Platone e Senofonte, grazie ai quali
ne conosciamo anche il pensiero, non
avendo Socrate scritto nulla.
È stata questa una sua precipua
caratteristica: scelse di non
lasciare alcuna testimonianza
scritta, caso praticamente unico
nella storia di un intellettuale che
ha trasmesso il suo sapere, le sue
idee e la sua cultura unicamente per
via orale ai suoi ascoltatori, senza
badare ai posteri.
Egli infatti, dopo aver abbandonato
l’attività paterna, si recò ad Atene
per seguire la sua vocazione, quella
dell’insegnamento, ma non nel chiuso
delle scuole o dei circoli
culturali, bensì fra le strade,
nelle piazze e nei luoghi aperti che
abbondavano nella polis. Qui
abbordava i suoi interlocutori con
un approccio che a molti appariva
stravagante e provocatorio, centrato
su un continuo farsi e porre
domande, allo scopo di cercare
quella verità che egli diceva di
voler estrarre dalle menti umane
ricorrendo alla tecnica del “parto”,
ereditata dalla madre (donde il nome
di “maieutica” dato alla sua
filosofia): come una levatrice
aiutava a partorire una donna, così
il filosofo doveva assistere ogni
uomo nel far uscire la verità già
presente dentro di lui.
La sua figura fu presto circondata
da numerosi discepoli che presero a
seguire i suoi insegnamenti. Egli
stesso, per bocca di Platone,
nell’Apologia di Socrate, ci disse
chi erano i suoi discenti: «giovani
che più di tutti hanno tempo libero
e che sono figli dei più ricchi», i
quali, «gioiscono nell’ascoltare
come questi uomini vengano da me
sottoposti a esame, e più volte essi
stessi mi imitano, e quindi cercano
di sottoporre a esami anche altri».
Già da quanto detto si può tentare
di evincere perché Socrate è ancora,
per molti versi, considerato un
“sapiente”, anche nel senso moderno
del termine. Punto di partenza della
sua ricerca fu il precetto «conosci
te stesso», monito inciso nel tempio
di Delfi, così come una conoscenza
mantica e onirica allusa nella già
ricordata Apologia.
Affermava,inoltre, di voler
percorrere insieme al suo
interlocutore il cammino verso una
verità necessaria e universale. Le
fonti antiche tramandano come
l’oracolo di Apollo lo avesse
definito il più saggio fra gli
uomini, ma egli, umile e modesto,
affannosamente riconobbe come in
realtà il vero saggio fosse colui
che «sapeva di non sapere».
La figura di Socrate è stata oggetto
di diverse interpretazioni: alcuni
lo hanno considerato l’“ultimo dei
sapienti” e “il primo dei filosofi”,
per il suo eccentrico carattere,
altri, a partire da Nietzsche, vi
scorsero il responsabile dell’inizio
di una tendenza spiritualistica e
metafisica destinata a permeare la
filosofia e la spiritualità
occidentale, allontanandola dal suo
carattere “dionisiaco”.
Una simile personalità non mancò di
suscitare malumori e odi, tanto che
alla fine ne finì vittima. La
sconfitta contro Sparta nella Guerra
del Peloponneso (431-404 a.C.), il
fatto che fra i suoi discepoli vi
fossero stati Alcibiade, i cui
comportamenti disinvolti avevano
provocato non poche polemiche nelle
fasi centrali dello scontro, e
Crizia, leader dei Trenta Tiranni, e
infine il fatto che la sua indagine
filosofica sul concetto di “bene” e
“virtù” poteva apparire come
minacciosa per i valori cittadini,
tanto più che nel 403 a.C. ad Atene
era imperversata una guerra civile,
gli inimicarono una fetta
consistente della polis.
Condotto a processo, magistralmente
ricostruito da Platone
nell’Apologia, Socrate si difese
alle accuse di non credere agli dei
e di corrompere i giovani
rivendicando il valore esemplare e
l’utilità del suo comportamento per
il bene stesso della città,
ricordando di essere stato sempre
fedele alla sua patria, da cui non
era mai uscito se non per compiere
il suo dovere militare in sua difesa
agli inizi delle ostilità.
Di fronte alla minaccia di morte,
rivendicò il valore esemplare tenuto
quando i cittadini ateniesi furono
chiamati a giudicare gli strateghi
della battaglia delle Arginuse.
Quest’ultimo era stato un importante
trionfo contro Sparta del 406 a.C.,
rovinato però da una susseguente
tempesta. Nella circostanza i
comandanti erano stati accusati di
non aver soccorso i naufraghi. Il
processo che si aprì fu una delle
pagine più tristi della storia della
città; in quell’occasione Socrate si
oppose stoicamente contro la loro
condanna, nonostante l’accanimento
degli accusatori. A nulla valsero i
suoi appelli: tutti gli accusati
furono dichiarati colpevoli e
meritevoli della morte, esattamente
come sarebbe presto capitato anche a
lui.
Prima della votazione non chiese
pietà, ma giustizia, convinto che
compito dei giudici fosse di
valutare la sua colpevolezza o
innocenza sulla base di accuse
razionali, non seguendo emozioni e
risentimenti personali. Tuttavia,
anche se con una lieve maggioranza,
fu pronunciata sentenza di condanna.
Accettò la pena capitale come una
testimonianza della propria fedeltà
ai suoi principi: rispetto della
verità, della giustizia e delle
leggi, sostenendo che la morte non
sarebbe stata altro se non un lungo
eterno sonno, privo di dolore. La
sua anima sarebbe volata verso
l’ultraterreno, là dove avrebbe
incontrato gli spiriti degli eroi e
dei grandi del passato.
Platone ci dice anche che i suoi
amici corruppero le guardie
consentendogli di mettersi in salvo,
ma egli rifiutò la possibilità di
fuggire, convinto che fosse suo
dovere rispettare le leggi e la
giustizia da poco pronunciatasi,
come sempre aveva fatto.
Nei secoli la sua figura è divenuta
un paradigma di fede nella forza
della verità e un esemplare monito
contro l’intolleranza di qualsiasi
segno e colore. La sua vicenda
manifesta come era appena entrata in
crisi quell’armonia fra singolo e
comunità caratteristica della polis
classica. Si aprì un’epoca nuova
nella storia greca, dove il problema
non era più la scelta fra due
opposti modelli di civiltà (Sparta o
Atene), ma dove sarebbero state in
gioco l’appartenenza dell’individuo
alla polis e la sua coscienza
individuale.
Con Socrate si concretizzò per la
prima volta nel mondo ellenico la
tensione fra Stato e individuo, fra
valori collettivi e libertà
individuale. Su di lui si riversò
appieno la massima“tirannia” di cui
era capace un regime democratico.
Nel contempo la sua figura mostrò
come si preparava a nascere un nuovo
“individuo greco” non più legato
alla sola esperienza della sua
città, ma proiettato in una
dimensione universale, lungo un
cammino che sfocerà nella civiltà
ellenistica.
Riferimenti bibliografici
Canfora L., Il mondo di Atene,
Laterza, Bari-Roma, 2011.
Monaco G., Casertano M., Nuzzo G.,
Socrate, in L’attività letteraria
nell’Antica Grecia. Storia della
letteratura greca, Palumbo, Firenze,
2005, pp. 243-46.
Platone, Apologia di Socrate, a cura
di Rapa S., Edizioni del Baldo, Mestrino-Padova, 2016.