[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

193 / GENNAIO 2024 (CCXXIV)


filosofia & religione

Socrate
Il filosofo tradito dalla sua stessa polis

di Francesco Biscardi

 

La più comune immagine che abbiamo di Atene è quella della culla della civiltà occidentale e della democrazia, paradigma di diritti, prosperità e libertà. Tuttavia, la sua storia non fu in alcuni frangenti così rosea come spesso si crede: violenza, imperialismo e dispotismo demagogicoimperversavano in abbondanza. Ciò è esemplarmente provato dalla vicenda di uno dei personaggi più celebri di tutta l’antichità greca: il filosofo Socrate.


Figlio dello scultore Sofronisco e della levatrice Fenarete, questi nacque ad Alopece, demo ateniese, nel 469 a.C. e morì nel 399 a.C. a seguito di condanna giudiziaria. Della sua vita non sappiamo molto, se non quanto emerge dalle opere di altri celebri scrittori greci come Platone e Senofonte, grazie ai quali ne conosciamo anche il pensiero, non avendo Socrate scritto nulla.


È stata questa una sua precipua caratteristica: scelse di non lasciare alcuna testimonianza scritta, caso praticamente unico nella storia di un intellettuale che ha trasmesso il suo sapere, le sue idee e la sua cultura unicamente per via orale ai suoi ascoltatori, senza badare ai posteri.

 
Egli infatti, dopo aver abbandonato l’attività paterna, si recò ad Atene per seguire la sua vocazione, quella dell’insegnamento, ma non nel chiuso delle scuole o dei circoli culturali, bensì fra le strade, nelle piazze e nei luoghi aperti che abbondavano nella polis. Qui abbordava i suoi interlocutori con un approccio che a molti appariva stravagante e provocatorio, centrato su un continuo farsi e porre domande, allo scopo di cercare quella verità che egli diceva di voler estrarre dalle menti umane ricorrendo alla tecnica del “parto”, ereditata dalla madre (donde il nome di “maieutica” dato alla sua filosofia): come una levatrice aiutava a partorire una donna, così il filosofo doveva assistere ogni uomo nel far uscire la verità già presente dentro di lui.


La sua figura fu presto circondata da numerosi discepoli che presero a seguire i suoi insegnamenti. Egli stesso, per bocca di Platone, nell’Apologia di Socrate, ci disse chi erano i suoi discenti: «giovani che più di tutti hanno tempo libero e che sono figli dei più ricchi», i quali, «gioiscono nell’ascoltare come questi uomini vengano da me sottoposti a esame, e più volte essi stessi mi imitano, e quindi cercano di sottoporre a esami anche altri».


Già da quanto detto si può tentare di evincere perché Socrate è ancora, per molti versi, considerato un “sapiente”, anche nel senso moderno del termine. Punto di partenza della sua ricerca fu il precetto «conosci te stesso», monito inciso nel tempio di Delfi, così come una conoscenza mantica e onirica allusa nella già ricordata Apologia. Affermava,inoltre, di voler percorrere insieme al suo interlocutore il cammino verso una verità necessaria e universale. Le fonti antiche tramandano come l’oracolo di Apollo lo avesse definito il più saggio fra gli uomini, ma egli, umile e modesto, affannosamente riconobbe come in realtà il vero saggio fosse colui che «sapeva di non sapere».


La figura di Socrate è stata oggetto di diverse interpretazioni: alcuni lo hanno considerato l’“ultimo dei sapienti” e “il primo dei filosofi”, per il suo eccentrico carattere, altri, a partire da Nietzsche, vi scorsero il responsabile dell’inizio di una tendenza spiritualistica e metafisica destinata a permeare la filosofia e la spiritualità occidentale, allontanandola dal suo carattere “dionisiaco”. 


Una simile personalità non mancò di suscitare malumori e odi, tanto che alla fine ne finì vittima. La sconfitta contro Sparta nella Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), il fatto che fra i suoi discepoli vi fossero stati Alcibiade, i cui comportamenti disinvolti avevano provocato non poche polemiche nelle fasi centrali dello scontro, e Crizia, leader dei Trenta Tiranni, e infine il fatto che la sua indagine filosofica sul concetto di “bene” e “virtù” poteva apparire come minacciosa per i valori cittadini, tanto più che nel 403 a.C. ad Atene era imperversata una guerra civile, gli inimicarono una fetta consistente della polis.


Condotto a processo, magistralmente ricostruito da Platone nell’Apologia, Socrate si difese alle accuse di non credere agli dei e di corrompere i giovani rivendicando il valore esemplare e l’utilità del suo comportamento per il bene stesso della città, ricordando di essere stato sempre fedele alla sua patria, da cui non era mai uscito se non per compiere il suo dovere militare in sua difesa agli inizi delle ostilità.


Di fronte alla minaccia di morte, rivendicò il valore esemplare tenuto quando i cittadini ateniesi furono chiamati a giudicare gli strateghi della battaglia delle Arginuse. Quest’ultimo era stato un importante trionfo contro Sparta del 406 a.C., rovinato però da una susseguente tempesta. Nella circostanza i comandanti erano stati accusati di non aver soccorso i naufraghi. Il processo che si aprì fu una delle pagine più tristi della storia della città; in quell’occasione Socrate si oppose stoicamente contro la loro condanna, nonostante l’accanimento degli accusatori. A nulla valsero i suoi appelli: tutti gli accusati furono dichiarati colpevoli e meritevoli della morte, esattamente come sarebbe presto capitato anche a lui. 


Prima della votazione non chiese pietà, ma giustizia, convinto che compito dei giudici fosse di valutare la sua colpevolezza o innocenza sulla base di accuse razionali, non seguendo emozioni e risentimenti personali. Tuttavia, anche se con una lieve maggioranza, fu pronunciata sentenza di condanna.


Accettò la pena capitale come una testimonianza della propria fedeltà ai suoi principi: rispetto della verità, della giustizia e delle leggi, sostenendo che la morte non sarebbe stata altro se non un lungo eterno sonno, privo di dolore. La sua anima sarebbe volata verso l’ultraterreno, là dove avrebbe incontrato gli spiriti degli eroi e dei grandi del passato.


Platone ci dice anche che i suoi amici corruppero le guardie consentendogli di mettersi in salvo, ma egli rifiutò la possibilità di fuggire, convinto che fosse suo dovere rispettare le leggi e la giustizia da poco pronunciatasi, come sempre aveva fatto.


Nei secoli la sua figura è divenuta un paradigma di fede nella forza della verità e un esemplare monito contro l’intolleranza di qualsiasi segno e colore. La sua vicenda manifesta come era appena entrata in crisi quell’armonia fra singolo e comunità caratteristica della polis classica. Si aprì un’epoca nuova nella storia greca, dove il problema non era più la scelta fra due opposti modelli di civiltà (Sparta o Atene), ma dove sarebbero state in gioco l’appartenenza dell’individuo alla polis e la sua coscienza individuale.


Con Socrate si concretizzò per la prima volta nel mondo ellenico la tensione fra Stato e individuo, fra valori collettivi e libertà individuale. Su di lui si riversò appieno la massima“tirannia” di cui era capace un regime democratico. Nel contempo la sua figura mostrò come si preparava a nascere un nuovo “individuo greco” non più legato alla sola esperienza della sua città, ma proiettato in una dimensione universale, lungo un cammino che sfocerà nella civiltà ellenistica.


Riferimenti bibliografici

Canfora L., Il mondo di Atene, Laterza, Bari-Roma, 2011.
Monaco G., Casertano M., Nuzzo G., Socrate, in L’attività letteraria nell’Antica Grecia. Storia della letteratura greca, Palumbo, Firenze, 2005, pp. 243-46.
Platone, Apologia di Socrate, a cura di Rapa S., Edizioni del Baldo, Mestrino-Padova, 2016.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]