N. 14 - Luglio 2006
SOCRATE E ASPASIA
Il volto maschile e
quello femminile della lotta alla misoginia nell’epoca
classica
di
Tiziana Bagnato
Durante l’epoca classica Socrate fu certamente
colui che, tra i pilastri della filosofia antica, più
ha contribuito a spostare le donne dal cono d’ombra
nel quale erano nascoste, proiettandole, tramite tesi
ed osservazioni acute all’ingresso di quel turbine di
stravolgimenti che ha permesso loro di sedere oggi,
almeno a livello teorico, sullo stesso podio degli
uomini.
Il
filosofo ateniese dubitava della differenza biologica
tra i due sessi, ponendo, invece, la questione in
termini antitetici, pragmatici ed estremamente
attuali, almeno fino agli anni Settanta del secolo
scorso. A suo parere, a dover essere posta sotto
accusa come fattore scatenante dell’ ”inferiorità”
delle donne non era la natura ma, piuttosto, l’ “educazione”
che esse ricevevano dalla famiglia e dal marito.
Alle
mogli spettava di dare una discendenza legittima, alle
concubine il compito di garantire rapporti sessuali
frequenti all’uomo e all’etèra di accompagnarlo nelle
occasioni sociali, allietandolo con un profilo
intellettuale più corposo di quello della legittima
sposa. Ma, si chiedeva Socrate, perché non insegnare
alle mogli ad essere delle buone compagne in tutto,
evitando che esse diventassero le persone con le quali
il marito aveva meno dialogo e comunicazione?
Lontano dall’affermare la totale parità tra i due
sessi, una pretesa azzardata per l’epoca storica,
Socrate rifiutava la visione mistificatrice e misogina
della donna, riconoscendole ampie capacità
intellettive. Il filosofo greco allontanò da sé la
prospettiva che la donna potesse essere di per sé
inferiore, prospettando, invece, che essa potesse e
dovesse tendere ad una piena realizzazione
intellettuale e personale al di là degli angusti
confini della maternità.
In
alcuni casi, Socrate non esitò a riconoscere ad una
donna anche una saggezza superiore alla propria. E’ il
caso di Aspasia, intellettuale a lui
contemporanea, con la quale Socrate intrecciò diversi
dialoghi che influirono sulla sua concezione della
donne.
La
figura di Aspasia è, per alcuni versi, molto eterea.
Fece, infatti, molto parlare di sé e se ne ritrovano
diversi accenni in opere letterarie e filosofiche ma i
riferimenti che compaiono sono sempre gli stessi,
contribuendo a costruirne un’immagine mosaico,
aleatoria ma dall’estrema forza suggestiva.
Aspasia fu concubina di Pericle che non la poté
sposare perché straniera. Successivamente sposò
Lisicle, un uomo descritto come rozzo ed ignorante ma
che sarebbe diventato, dopo averla conosciuta, grazie
ai suoi insegnamenti, uno dei più importanti uomini di
Atene.
Della sua relazione con Pericle si dice che fosse
considerata scandalosa per quei tempi per il fatto che
come concubina essa era amata e baciata ogni giorno.
L’amore e l’erotismo non rientravano infatti all’epoca
nella prassi matrimoniale. E proprio sulla concezione
dell’amore e del matrimonio Aspasia ha lasciato grandi
contributi.
Per
lei il matrimonio era l’incontro di due persone,
ciascuna delle quali, in posizione paritaria, dovevano
adeguarsi alle esigenze dell’altra. Inoltre, giudicava
positivamente il coinvolgimento dei sensi nell’atto
conoscitivo.
Il
suo interesse sul tema dell’amore e dei rapporti tra i
due sessi gli valse la stima di Socrate, il quale
indirizzava a lei coloro che gli ponevano questioni
sul tema.
Ma i
suoi tentativi di rivalutare la donna, proprio a
partire dalle uniche strutture nella quale ad essa era
consentito muoversi, come, appunto, il matrimonio e la
famiglia, le procurarono rancori, avversità e
maldicenze. Tra queste quella che favorisse le
evasioni sessuali di Pericle, organizzando per lui
incontri con giovani fanciulle o che fosse un etéra.
Un
odio, insomma, quello per la sua personalità cosi
fuori le righe, eccezionale e anticonformista per
l’epoca che gli procurò, nonostante l’appoggio di
Socrate, l’accusa di empietà.
Lo
stesso Socrate fu tra i suoi contemporanei quello le
cui concezioni in merito alle donne furono meno
seguite. E ciò perché rappresentavano posizioni
estreme e di rottura nel contesto culturale
dell’epoca. Delle ipotesi che stentarono ad innestarsi
in un terreno culturalmente ancora arido e non pronto
ad accoglierle.
Riferimenti
bibliografici:
Eva
Cantarella, L’ambiguo malanno, Roma, Editori Riuniti,
1986 |