SULLA
Società delle Nazioni
Cosa può imparare l’ONU
dal suo predecessore?
di
Emanuele Molisso
Il
mondo di oggi è ricaduto nella
storia. Da quest’ultima, salvo a
diverse latitudini, dal secondo
dopoguerra l’uomo è fuggito per
farsi cullare da una pace perpetua.
La guerra in Ucraina prima, il
conflitto a Gaza dopo, hanno messo
nuovamente l’essere umano davanti
alle proprie responsabilità:
l’essere nuovamente soggetto attivo
della storia.
Uno dei leitmotiv ricorrente, per
sfuggire alla storia, è quello di
appellarsi alle organizzazioni
intergovernative a carattere
nazionale. Una chiamata alla
salvaguardia della pace mondiale che
però riecheggia lontano, quasi come
se ci fosse una distanza, simile a
quella che separa due pianeti del
sistema solare. Ovviamente,
l’organizzazione a cui queste
istanze sulla pace mondiale vengono
pervenute, è una delle massime
Organizzazioni intergovernative
ovvero le Nazioni Unite (ONU).
L’Organizzazione delle Nazioni unite
è ormai soggetta delle invocazioni
quotidiane, le quali esortano a
un’azione mirata a garantire un
liberatorio cessate il fuoco nei
teatri in cui la guerra imperversa.
La situazione odierna per l’ONU
però, oggi, è di completa
difficoltà. L’ONU perde sempre più
credibilità di fronte agli Stati e
ai cittadini di essi. Due temi
recenti che dimostrano questa
tendenza e anzi, l’hanno inasprita,
sono l’impossibilità nel condurre
indagini sulla recente pandemia di
Covid-19 e il fallimento
dell’apertura di un dialogo reale
per le politiche di contrasto al
cambiamento climatico.
Non è
un caso quindi, che l’accusa
principale mossa contro le Nazioni
Unite, è quella di aver perso di
vista i grandi temi, in un mondo che
cambia repentinamente, con vecchie e
nuove potenze che si affermano come
Grandi Potenze odierne. Riflesso di
problemi che sono anche strutturali
visto che gli Stati membri, è ormai
da molti anni che fanno richiesta di
una riforma del Consiglio di
Sicurezza e di un allargamento di
questo stesso Consiglio. Richieste
che vanno di pari passo con
l’esigenza avvertita dall’Europa, di
cambiare il seggio francese in un
seggio europeo e dall’Africa, che
chiede a gran voce di avere un
rappresentante tra i propri membri.
Due
volontà mosse da un desiderio di
maggiore rappresentanza e unità da
mostrare al mondo. Tutta una serie
di problemi che potrebbero portare
alla trasformazione delle
invocazioni all’intervento, in
un’assordante indifferenza verso
l’ONU. Una fine che è toccata al
predecessore delle stesse Nazioni
Unite ovvero la Società delle
Nazioni. Quell’istituzione ginevrina
che il 26 giugno 1945, la stessa
ONU, ha rilegato a un catalogo di
buone intenzioni smentite dalla
storia. Eccola che ritorna, nella
sua locuzione latina di “Historia
magistra vitae”.
Perché
l’ONU non può imparare dalla storia?
Dalla sua storia e dal fallimento di
quell’organizzazione che ha
rappresentato il suo embrione? Ecco
perché bisogna recuperare la
parabola storica della Società delle
Nazioni, per capirne i successi, i
fallimenti e le possibilità di
poterla riportare in auge sul
modello dell’ONU. Andiamo con
ordine.
Il fil rouge che unisce le
organizzazioni governative è quello
di stabilire e mantenere la pace nel
mondo, con lo scopo di accrescere il
benessere e la qualità della vita
degli esseri umani. Il tutto,
quindi, deve essere ottenuto
attraverso l’operato di un organo
sovranazionale, a carattere
diplomatico – pacifista. Un progetto
che non è nato soltanto a partire
dalla fondazione della Società delle
Nazioni ma che ha radici molto più
profonde.
Il teologo padre Mariano Cordovani,
ad esempio, ci parla dei fondamenti
della Società delle Nazioni dei
quali, si può iniziare a trovarne
traccia fin dal primo libro del
De Monarchia di Dante.
Quest’ultimo presenta la Monarchia
Universale come l’unico rimedio alle
fazioni in lotta e alle guerre
sterminatrici. Un passaggio che
porta alla glorificazione del popolo
romano e del Sacro Romano Impero,
nel quale fu attuata proprio quella
Monarchia nel mondo, con la
conseguente invocazione di un
rinsaldamento di quel grande
organismo visto come l’unico
strumento capace di mantenere la
pace tra gli uomini.
Un
pensiero, quello di Dante, sulla
stessa stregua della Città del Sole
di Campanella, dell’Utopia di
Tommaso Moro e della Repubblica di
Platone. Ma si notano anche
influenze di Sant’Agostino, San
Tommaso d’Aquino e Remigio Girolami.
Questo dato è quello che suscita la
maggiore sorpresa negli studiosi
perché Dante è riuscito a
sintetizzare il movimento dei secoli
scorsi e nello stesso tempo, è
riuscito ad anticipare i nuovi
ideali e tempi. Quello sognato da
Dante, era un magistrato supremo ed
elettivo, a capo di una Repubblica
Mondiale di stati indipendenti fra
loro associati; una vera e propria
Confederazione Umanitaria fra tutte
le nazioni della terra.
Un’altra opera in cui si ritrovano
ulteriori riferimenti è Per la
Pace Perpetua del filosofo
Immanuel Kant, realizzata nel 1795.
In quest’opera, il filosofo iniziò a
presentare una propria idea di un
organismo volto a tutelare la pace
mondiale. Ed è sulla base del
pensiero di Kant, che fu effettuato
il primo tentativo di realizzare
questo progetto nel 1864 con la
Convenzione di Ginevra, da cui
nacque un movimento diplomatico
internazionale a carattere
pacifista. Un primo embrione che
vide il proseguo nel 1899 all’Aia,
dove fu tenuta una Conferenza
Internazionale denominata Conferenza
della Pace, la quale doveva
prefissarsi l’obiettivo di riuscire
a creare dei meccanismi stabili per
la ricerca di una soluzione pacifica
delle controversie degli stati. Un
tentativo che fu replicato nel 1907,
sempre all’Aia, dove ci fu una
seconda Conferenza Internazionale in
cui si cercò di completare l’opera
ma ottenendo dei risultati vani,
visto che da lì a poco, scoppierà il
primo conflitto mondiale.
La Conferenza del 1907 vide
l’adesione di stati accomunati
dall’intenzione di costruire
un’alleanza globale, la quale
fondamentalmente doveva porre come
obiettivi fondamentali il disarmo
parziale e la diplomazia come
strumento fondamentale nelle contese
fra le nazioni. Nonostante non portò
risultati concreti, la Conferenza
del 1907, ebbe il merito di segnare
l’inizio della proliferazione di
idee e progetti basati su questo
modello. Infatti, nel 1915, durante
la guerra, un gruppo di statunitensi
tra i quali spiccava il
ventisettesimo presidente degli
Stati Uniti d’America, William
Howard Taft, diedero vita a
un’associazione chiamata Società per
l’attuazione della Pace.
L’obiettivo di quest’ultimo
rimarcava quello della Conferenza di
otto anni prima: la creazione di una
Società tra gli stati, a cui era
assegnato il compito di assicurare
il pacifico appianamento delle
controversie tra gli Stati. Sarà
proprio su questi due primi modelli
che la Società delle Nazioni verrà
plasmata ed era un modello a cui
aveva già accennato, il politico
inglese Edward Grey, il quale lo
aveva immaginato per l’Impero
britannico di cui era segretario di
stato per gli affari esteri del
Commonwealth.
Questo era il modello. In che
contesto nacque la Società delle
Nazioni?
La Grande Guerra è riuscita ad
abbattere imperi secolari, andando a
sovvertire la configurazione
geopolitica dell’Europa e del mondo.
I traumi derivati dallo scontro
militare, modificarono l’universo
mentale delle generazioni del tempo,
le quali portarono alla diffusione e
introduzione di un nuovo tipo di
società. Non è un caso che la fine
della Prima guerra mondiale è stata
definita come la più importante
cesura geopolitica della storia
contemporanea.
Uno
dei protagonisti della Grande Guerra
che ha rappresentato la figura in
cui meglio si è incarnata la
fotografia del mondo all’indomani
delle brutalità del conflitto
militare, è stato il ventottesimo
presidente degli Stati Uniti
d’America, dal 1913 al 1920, Thomas
Woodrow Wilson. Colui che aveva
trascinato gli Stati Uniti d’America
in una guerra europea, disubbidendo
a uno dei precetti fondamentali di
uno dei padri fondatori del paese,
George Washington, il quale aveva
posto il diktat del non intervento
nelle dispute europee. Ma Thomas
Wilson è anche colui che ha reso
possibile la nascita delle Società
delle Nazioni.
Quest’ultima,
infatti, nasce da una visione
metafisica di Wilson. La visione di
un mondo fondato sui principi morali
universali e su leggi positive, e
quindi non più sulla potenza e sui
rapporti di forza. Un concerto dei
popoli che mirava a salvaguardare la
sicurezza collettiva. Una sicurezza
che doveva essere garantita
attraverso la prevenzione dalla
guerra, ottenuta con la gestione
diplomatica dei conflitti e il
controllo degli armamenti. Questo
era il principio fondativo della
Società delle Nazioni che
ideologicamente si scontrava contro
il principio del balance of power
europeo con quest’ultimo,
considerato da Wilson come la
premessa di ogni guerra. Un
principio che si tramutava in un
concetto di autogoverno di ciascun
popolo che non era altro che
un’universalizzazione del principio
di non ingerenza negli affari esteri
professato dalla Dottrina Monroe.
Il progetto della Società delle
Nazioni imperniato su questi cardini
faceva parte dei Quattordici Punti
di Wilson su cui dovevano essere
poste le basi per la pace
universale. Egli li presentò al
Congresso Americano il 18 gennaio
1918, dopo aver trascorso sei mesi a
Parigi, qualificandosi come il
presidente americano che si è
assentato per il periodo più lungo
da Washington. Questi Quattordici
Punti erano divisi in due categorie;
la prima erano quelli definiti
obbligatori (must be fulfilled)
mentre la seconda erano quelli
definiti auspicabili (should be
fulfilled). La Società delle
Nazioni rientrava nella prima
categoria, a cui appartenevano otto
punti e nel testo era riportata con
questa dicitura: “una
associazione generale delle Nazioni
deve essere formata allo scopo di
fornire delle mutue garanzie di
indipendenza politica e di integrità
territoriale ai grandi come ai
piccoli stati”.
Una dicitura che fu il risultato del
lavoro dei governi francesi e
inglese, i quali nel giugno 1918,
fecero recapitare al consigliere
fidato di Wilson, il colonnello
Edward Mandell House, una serie di
scritti riguardanti il progetto di
realizzazione dell’organismo. Da
questa base di scritti, il
colonnello House inviò il 16 luglio
1918, il progetto di una Società
delle Nazioni in ventitré articoli e
un preambolo. Il tutto confluì in
una richiesta di un inserimento
dello statuto delle Società delle
Nazioni all’interno del trattato di
pace, fatta durante la seconda
sessione plenaria della Conferenza
di Pace di Parigi del 25 gennaio
1919. Una richiesta che fece capire
come soltanto l’idea del progetto di
una Società delle Nazioni, avesse
sancito il trionfo della concezione
internazionalistica e non
federalista.
L’11 aprile 1919 fu predisposto uno
statuto per la Società delle
Nazioni, il quale fu adottato
successivamente il 28 aprile. Lo
statuto era stato approvato da tutti
quegli stati che avevano deciso di
aderire alla Società, quelli uscenti
vittoriosi dalla Prima guerra
mondiale, e quelli che durante il
conflitto si erano dichiarati
neutrali. La non entrata degli Stati
Uniti suscitò stupore e il motivo fu
la forte opposizione interna al
Senato americano, soprattutto da
parte del partito repubblicano,
visto che la Società delle Nazioni
veniva vista come un Superstato che
aveva il potere di privare tutti i
membri della loro sovranità. A
generare le maggiori preoccupazioni
tra i repubblicani era la struttura
in tre organi amministrativi
principali che fu sancita durante la
prima riunione dell’Assemblea
tenutasi a Ginevra nel 1920.
I tre
organi erano: il Segretariato, i cui
membri erano responsabili
dell’agenda e degli incontri per il
Consiglio e l’Assemblea. Il
Consiglio, il quale aveva l’autorità
d’intervenire in ogni questione
riguardante la pace globale. E
infine, l’Assemblea, la quale aveva
il compito di garantire la presenza
di un membro di ogni stato aderente.
Intorno a questi tre pilastri, alla
Società delle Nazioni furono
affidate diverse altre agenzie e
commissioni, create per risolvere i
conflitti internazionali come, ad
esempio, la Commissione per il
Disarmo, il Comitato per la Salute e
quello per l’Organizzazione
internazionale del Lavoro, la
Commissione per i Rifugiati, la
Commissione internazionale di
Cooperazione intellettuale e il
Comitato per lo studio dei diritti
delle donne.
Quindi, è con questa struttura, che
dal 1920 al 1940, lavorò e operò
secondo la volontà dei suoi
fondatori, la Società delle Nazioni:
una stabile organizzazione per
studiare e risolvere le controversie
internazionali con l’obiettivo di
eliminare la guerra. Un paradosso
pensando al fatto che durante gli
anni del suo operato, scoppiò il
secondo conflitto mondiale. Ma non
bisogna fare l’errore, negli studi,
di limitare la propria analisi
soltanto all’evidenza del fallimento
della Società delle Nazioni.
Le
vittorie della Società delle Nazioni
esistono e sono state importanti. Ad
esempio, la soluzione alla crisi
greco-bulgara del 1925. Una crisi
scoppiata per via di alcuni problemi
alla frontiera che furono risolti
con un accordo di pace tra i due
popoli stanziati nei territori che
furono oggetto della contesa. Un
primo risultato, vittorioso,
dell’operato della Società delle
Nazioni che però, ottenne il maggior
risultato nella ricerca di una
soluzione al problema delle colonie.
La soluzione fu l’istituzione del
sistema dei mandati con cui la
Società delle Nazioni conferiva ad
alcuni paesi, un mandato, che
consisteva nell’assegnazione
dell’incarico di amministrazione dei
territori coloniali, mirata alla
realizzazione di un processo di
civilizzazione e di progresso per i
popoli che erano stanziati su quei
territori.
Di contro, come abbiamo detto, ci
sono stati dei fallimenti che sono
stati il prodotto di questioni di
carattere diverso. Una delle
critiche che veniva mossa più
frequentemente alla Società delle
Nazioni riguardava la sua prontezza
d’azione e il modo con cui
quest’azione veniva portata a
compimento. Questo perché le
decisioni erano lente visto che era
richiesto il voto unanime e quindi
il tutto, si trasformava in un vero
e proprio veto generalizzato.
Inoltre, la Società delle Nazioni
non disponeva di una propria forza
armata e questo comportava che ogni
paese avrebbe dovuto difendersi con
le proprie forze e risorse. Non un
paradosso così eclatante visto che
l’obiettivo da conquistare era
proprio quello di garantire una
tregua continua.
Un
aspetto militare e di risorse
fai-da-te che fu criticato anche da
Luigi Einaudi: «Che cosa è una
società nella quale alcuni associati
sacrificano vite e averi, altri
averi soltanto, altri soltanto vite,
mentre alcuni stanno a vedere e
taluno persino realizza guadagni non
piccoli, limitandosi a vendere
provviste di guerra e a far voti di
vittoria?».
Un altro problema che colpì la
Società delle Nazioni fu proprio la
partecipazione alla stessa Società.
Oltre gli Stati Uniti, le assenze e
le defezioni furono piuttosto
importanti. La defezione più gravosa
fu quella del Giappone nel 1931,
perché era conseguente a un
intervento da parte della Società
delle Nazioni, che si vide bocciare
il proprio operato. Si parla della
crisi della Manciuria del 1931, che
vide il territorio della Manciuria
essere conteso dalla Cina e dal
Giappone. Quest’ultimo si rifiutò di
far abbandonare il territorio alle
proprie truppe dopo l’abbandono di
quelle cinesi e per questo decise di
abbandonare la Società.
Uno
smacco anche all’autorità della
stessa Società che creò un
precedente che avrà ripercussioni su
un’altra questione che la Società
dovette fronteggiare, tra il
1935-1936, ovvero la conquista
dell’Etiopia da parte dell’Italia.
Una conquista che fu avvallata dagli
Stati Uniti e dalla Germania, uscita
dalla Società precedentemente nel
1933, con il Belpaese che incappò
soltanto in un’ammenda economica e
in sanzioni finanziarie. Se ne
deduce, che l’autorità e la stessa
credibilità della Società delle
Nazioni subirono un duro colpo e
bisogna anche notare come questi
eventi non saranno altro che le
prime scintille della successiva
Seconda guerra mondiale.
Il secondo conflitto mondiale è
stata la pietra tombale sulla
Società delle Nazioni. Durante gli
anni del conflitto, essa iniziò a
essere additata come “la malaticcia
creatura di Versailles”, “un inutile
ingombro”, “un’utopia completa”.
Tutti appellativi che miravano a
mostrare come fosse impensabile
ottenere la pace e la salvezza
attraverso un’associazione di
nazioni priva di forze armate ma
soprattutto un’associazione che
sembrava essere animata soltanto da
belle parole ma manchevole di
concretezza nell’operato.
Quindi, com’è il bilancio finale?
Che lezione ne può trarre l’ONU?
La Società delle Nazioni è stato un
esperimento sulla difficile strada
verso la costruzione di
un’organizzazione capace di svolgere
compiti tanto ardui e importanti.
Ogni stato è geloso della propria
sovranità e nessuno di essi vuole
lasciarne un pezzo; come da copione
nella diplomazia tra stati. Proprio
su questo punto bisogna fare una
precisazione. Il garantire la pace
perpetua non deve essere considerata
un’azione al pari di una chimera
irraggiungibile ma prima di tutto,
si deve iniziare a capire le poste
in gioco e le anime che guidano i
processi storici. Dove le anime
stanno per i popoli che sono il
motore dei vari processi storici.
Una volta compresi questi due
fattori, si può iniziare a parlare
di un’istituzione che riesca a
garantire i vari accordi e trattati
tra i vari stati.
Quale
periodo migliore di quello in cui
l’Occidente, ma possiamo dire il
mondo intero, è ripiombato nella
storia con quello strumento che fin
da Dante, doveva essere combattuto
con l’istituzione di un organo che
ne garantisse l’eliminazione? Che
esso, sia chiamata Monarchia
Universale, Società delle Nazioni,
Nazioni Unite, l’obiettivo
dell’organizzazione deve essere
quello di fissare dei principi che
però, quando verranno accettati da
tutti gli stati, quest’ultimi li
dovranno rispettare per il bene
comune.
In conclusione, su questo punto, non
si può non citare il premier
britannico Winston Churchill nel suo
discorso del 19 settembre 1946, dove
egli mise in luce tutto ciò: «La
Società delle Nazioni non è fallita
a causa dei suoi principi o delle
sue concezioni. Essa è fallita
perché gli stati che l’avevano
fondata hanno abbandonato i suoi
principi».