[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

176 / AGOSTO 2022 (CCVII)


contemporanea

smascherare l'anti-mitO
UNA NUOVA INTERPRETAZIONE DELLA VENEZIA AUSTRIACA

di Mauro Luciano Malo

 

Fino a qualche decennio fa quando si parlava di Austria e Venezia, e principalmente di Austria “a” Venezia, si era spesso assai influenzati nell’analisi generale dagli studi del secolo passato (l’Ottocento), orientati a descrivere il periodo asburgico come una “dominazione” sulla ex Serenissima a tinte prevalentemente negative.

 

Questa visione “distorta”, come ricorda Paul Ginsborg, venne costruita, non senza efficacia, dalla storiografia risorgimentale, volta a denigrare il nemico tradizionale e a presentarlo sotto la luce più sinistra. Gli stessi attori del Risorgimento, accesi rivali dell’Aquila bicipite, avevano nelle loro successive descrizioni, orientate a esaltare l’Unificazione del Regno d’Italia, volutamente “dimenticato” più aspetti.

 

L’acclamazione popolare di gran parte del territorio veneto al momento del mutamento di sudditanza dal governo napoleonico a quello austriaco, dopo il Congresso di Vienna, era stata omessa a favore di una costruzione di un modello di subordinazione atto a rimarcare per lo più la definitiva fine dell’indipendenza della Repubblica di San Marco e il mero passaggio da una autorità negativa a un’altra non certo migliore.

 

Quindi, quell’entusiasmo popolare che aveva invece dipinto i nuovi governanti non come conquistatori, ma alla stregua di veri e propri liberatori (i quali ponevano fine alla presenza delle truppe francesi nella città lagunare), aveva faticato a trovare un posto nelle pagine dei libri di storia. Gli autori di quei volumi, infatti, non ancora appagati dai numerosi silenzi, tacquero anche su un aspetto ulteriore: la considerazione positiva che gran parte della popolazione veneta aveva maturato sul governo austriaco.

 

Un periodo quindi vissuto generalmente come nient’affatto opprimente, tanto da rendere gli stessi cittadini veneti reticenti all’annessione alla neocostituita Italia vista come meno stabile e tanto diversa al suo interno soprattutto se posta in contrapposizione a un Impero che, seppur nella sua parabola discendente, garantiva maggiori margini di crescita e sicurezza.

 

Solo successivamente l’intero operato austriaco in Veneto fu non solo riesaminato ma ripresentato, riproposto ai lettori, sotto un’ottica più oggettiva, basata meno sulle emozioni e su una costruzione identitaria ma al contrario fondata sulle fonti documentarie. Innanzitutto si disinnescò il termine “dominazione” e lo si sostituì con “amministrazione” eliminando quella sfumatura oppressiva che il precedente vocabolo aveva fin lì mantenuto per il settantennio 1797-1866 (pur non interamente austriaco).

 

Si pose poi l’attenzione sull’effettiva presenza di autorità austriache a Venezia che, alla luce dei fatti, si rivelò assai «modesta ed evanescente» al contrario di quanto si era lungamente creduto. Gli impiegati dell’apparato esecutivo veneto furono in realtà nella grande maggioranza italiani e proprio per questo l’ampio margine di libertà che Venezia aveva mantenuto, anche sotto un governo straniero, aveva favorito, negli abitanti di metà ‘800, un immaginario positivo. Ci si trovò negli ultimi decenni del ‘900 di fronte quindi a un bivio che presentava da una parte una rappresentazione, in parte falsata, della realtà, costruita da una storiografia “passionale”, e dall’altra la riscoperta di “tracce inedite” che facevano reinterpretare necessariamente la storia di Venezia e del Veneto, ponendola in netto contrasto con quanto scritto e, per anni, pensato.

 

Un’analisi di Maria Rosa Di Simone sottolineò ulteriormente come il ritorno degli austriaci nel 1814 fu accolto da gran parte dei veneti con un atteggiamento di favore e sollievo, seppure fosse finito, con il loro arrivo a Venezia, un potere, quello francese, che fino a pochi anni prima si era presentato come Repubblica del Direttorio. Una “repubblica” però seguita dal colpo di stato napoleonico e dall’istituzione dell’Impero.

 

Il nuovo imperatore di Francia (e di mezza Europa) era tutt’altro che orientato a concedere autonomie ai territori sotto la sua corona, anzi il controllo periferico delle aree venne mantenuto saldamente. La città lagunare e il suo entroterra preferirono pertanto, giunta l’occasione, entrare nell’orbita di un diverso Impero con la speranza, non completamente disattesa, di riacquistare pace, ripresa economica, conservazione dei vecchi rapporti sociali e autonomia amministrativa.

 

Atteggiamenti positivi, gioiosi, vennero manifestati fin da subito soprattutto perché con il passaggio dal governo francese a quello austriaco Venezia veniva eretta a co-capitale (insieme a Milano) del neocostituito Regno Lombardo-Veneto. In questo modo, la città lagunare, si affrancava dalla diretta e sgradita subordinazione alla città lombarda, quest’ultima designata centro dei territori italiani durante il precedente periodo francese.

 

In aggiunta, ancora Di Simone, evidenziò il risentimento della popolazione veneta nei confronti dei francesi che avevano lungamente considerato l’ex territorio marciano come «mezzo di scambio e di arricchimento»; un «sentimento filoasburgico alimentato [inoltre] dal buon ricordo della prima amministrazione austriaca». Si comprende quindi come fosse piuttosto il periodo francese quello ad essere considerato dai contemporanei un vero e proprio “dominio”.

 

La liberazione dalle istituzioni napoleoniche aveva anzi promosso una delegazione di deputati veneti a Vienna, giunti nella sede dell’imperatore al fine di essere uditi da Francesco I; l’oggetto della missione fu proprio quello di dichiarare la gratificazione del popolo veneto nei confronti della nuova amministrazione. Ma non finì qui: come per le armate austriache anche la legislazione asburgica, civile e penale, estesa al nuovo territorio fu accolta, se non con aperto entusiasmo, almeno senza grandi difficoltà dalle comunità venete.

 

Esemplificativo dello spirito, delle attese e delle speranze riposte sul diritto austriaco fu per l’appunto il titolo di un’opera del giurista vicentino Giovanni Maria Negri che nel 1815 pubblicava Dei difetti del codice civile italico che porta il titolo di codice Napoleone e dei pregj del codice civile austriaco: un’esaltazione dello jus asburgico e un aperto attacco al diritto napoleonico. Ma già prima del Negri, Giuseppe Boerio nella sua Pratica del processo criminale «aveva illustrato in forma di dialogo il codice penale austriaco del 1803 valorizzandone i pregi».

 

L’entusiasmo dimostrato per la legislazione asburgica non poteva essere ricondotto solo all’intenzione di compiacere i dominatori del momento ma rifletteva il sincero apprezzamento per un sistema ritenuto più razionale e moderno di quello vigente che, allo stesso tempo, per molti aspetti appariva non troppo distante dalle antiche consuetudini locali. Sebbene col passare degli anni si fossero manifestati alcuni malcontenti e proteste contro la legislazione asburgica ritenuta eccessivamente intricata, confusa e poco snella, nel complesso il diritto austriaco si radicò tanto profondamente nella società veneta che si presentarono forti resistenze ad abbandonare le vecchie normative anche al momento dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866; i diritti erano stati generalmente rispettati e separarsi dai vecchi codici non fu facile.

 

L’abilità delle maggiori autorità di corte, in particolare il Cancelliere Metternich, fu quella di estendere attraverso un sistema di lievi e progressive trasformazioni le necessarie modifiche per la realtà veneziana e il Veneto. In questo modo la capitale della sezione orientale del Regno Lombardo-Veneto e il suo entroterra si modificarono lentamente e parzialmente senza provocare un aperto e diretto malcontento indirizzato contro la politica asburgica.

 

Un esempio di questi lievi mutamenti può essere individuato nella lingua: tolte le cariche al vertice del sistema di governo Lombardo-Veneto di lingua chiaramente tedesca, tutti gli altri ambiti amministrativi, giurisdizionali, e relativi all’istruzione scolastica, preservarono all’opposto la lingua locale, l’italiano. Una peculiarità che differenziava il piccolo territorio veneziano – congiuntamente a quello lombardo – dal resto dell’Impero uniformemente adattato all’uso della lingua tedesca. La piccola regione quindi non solo venne risparmiata da una imposizione linguistica che probabilmente si sarebbe rivelata destabilizzante, ma fu anzi sostenuta dalla corona imperiale al mantenimento della propria identità e delle proprie tradizioni (si pensi al “sistema Metternich”).

 

Ulteriormente in lingua italiana, e con impiego di giudici locali, si svolsero i tanto temuti processi penali, ancor più terrorizzanti per la loro natura inquisitoria (segreti e senza la presenza di avvocati difensori) che si pensava avrebbe leso i diritti dell’imputato. Condanne a morte, carcere duro e giustizia inflessibile al contrario delle credenze furono applicati in rare occasioni, ma alimentarono numerose leggende basate su fucilazioni, tribunali militari e ordini draconiani del Feldmaresciallo Radetzky.

 

Certo, è innegabile che anche questi aspetti furono presenti, ma assai più circoscritti nella ferocia, nel tempo e nello spazio di quanto si potesse pensare; furono invece abilmente eretti, col tempo, a manifesto di una falsa oppressione e di un falso rigore asburgico in territorio italiano.

 

Al contrario la realtà era ben fotografata dalle descrizioni del magistrato Antonio Salvotti che riteneva il sistema della giustizia asburgica sostanzialmente inadeguato e blando e volto tutt’al più a lasciare gran parte dei delinquenti locali impuniti. Infatti, contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, i temuti processi penali presentavano indiscutibili regole di garanzia volte a evitare abusi di potere o errori di giudizio da parte della magistratura; il sistema di prove legali negative, allora in uso, non faceva che imbrigliare il libero convincimento del giudice, costituendo un sistema assai favorevole alle assoluzioni e all’opposto complicato ai fini di una condanna.

 

In conclusione il governo asburgico in Veneto appariva quindi come tendenzialmente più orientato a lasciare autonomie che non a imporre regole, ordinamenti, costrizioni rigide, quasi in una sorta di ideale linea di continuità con la precedente politica della Serenissima nei confronti dei suoi vecchi domini di terraferma. D’altra parte è innegabile che alcuni aspetti impositivi e sgraditi alla popolazione della ex Repubblica marciana furono presenti anche durante il periodo asburgico, ma ciò che si vuole qui sottolineare è quanto l’interesse degli studiosi venne posto quasi esclusivamente, dopo l’Unificazione, su tematiche che esaltavano il Regno d’Italia e presentavano sotto la luce più oscura l’Impero d’Austria.

 

Non a caso lo stesso Marco Meriggi sosteneva negli anni ’80 del Novecento, in una breve nota di uno dei suoi saggi pionieri sul Lombardo-Veneto, che gli storici interessati allo stesso piccolo Regno italiano avevano fino agli anni ’60 volto la propria attenzione a ricerche e documentazione attinenti al Risorgimento. Appare evidente quindi che il filone scelto rimarcava la volontà di mettere in rilievo il punto di rottura, di scontro, con gli austriaci e di celebrare la coesione della popolazione italiana determinata a “cacciare l’invasore” dalle proprie terre per porre fine a una insopportabile oppressione. Per di più, sottolineava ancora Meriggi, tutti gli episodi studiati erano, in questo modo, «suscettibili di essere inseriti, anello dopo anello, in una catena di “prodromi”, di momenti preparativi a quello che veniva considerato l’esito “naturale”, il destino obbligato della storia delle province italiane dell’Impero asburgico: l’unificazione nazionale».

 

La nascita di una narrazione storiografica alternativa sullo stesso “territorio veneziano” (nel senso più ampio) ha posto in evidenza alcune nuove realtà, in precedenza lasciate sullo sfondo o persino dimenticate, confutandone delle altre; il venir meno dell’appassionato interesse per l’esaltazione dell’Unificazione e del Risorgimento sostituito da una nuova letteratura più imparziale ha fatto emergere, a mio avviso, una sorta di “nuova” storia della Venezia asburgica, liberata dalle precedenti letture “anti-mitiche”.     

 

 

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