N. 132 - Dicembre 2018
(CLXIII)
Ba’th siriano, Ba’th iracheno
un
unico
partito,
due
strategie
regionali
–
Parte
I
di
Olimpia
Capitano
Il
contesto
mediorientale
fu
teatro
di
una
traumatica
transizione
dalle
forme
di
governo
coloniale
degli
Stati
arabi
alla
loro
indipendenza:
i
tentativi
di
costruzione
nazionale
furono
avviati
senza
prendere
atto
né
di
quei
difetti
strutturali
legati
alla
stessa
eredità
coloniale,
né
delle
irrisolte
tensioni
sociali,
che
le
politiche
occidentali
di
divide
et
impera
avevano
alimentato
e
lasciato
crescere
come
edera.
I
processi
di
State
e
Nation
building
che
coinvolsero
il
Medio
oriente
restarono
legati
al
modello
europeo
di
Stato-nazione
e
furono
affidati
al
notabilato
locale,
protagonista
dei
governi
liberali
neo
coloniali.
Tutto
ciò
fece
percepire
queste
politiche
come
forzosamente
imposte
e
comportò
la
mancata
identificazione
tra
Stato
e
Nazione,
tanto
più
complessa
all’interno
di
realtà
sociali
che
erano
un
disomogeneo
mosaico
di
comunità
etnico
confessionali.
I
primi
tentativi
di
edificazione
nazionale
furono
basati
sull’imitazione
della
tradizione
liberale
e su
una
rielaborazione
più
affine
alla
cultura
mediorientale;
tuttavia
crollarono
rapidamente
sotto
le
spinte
della
rinnovata
pressione
degli
interessi
occidentali,
di
cicliche
criticità
economiche
e
dell’allargamento
dello
spazio
politico:
la
maggior
fruibilità
del
sistema
educativo
e
l’ampliamento
dell’arena
politica
furono
frutto
del
sistema
liberale
e
costituirono
al
tempo
stesso
il
terreno
in
cui
germogliarono
le
correnti
di
opposizione
che
lo
rovesciarono.
Anche
in
questa
fase
di
aperto
rifiuto
delle
forme
politiche
occidentali
si
finì
per
richiamarsi
a
esse;
d’altro
canto,
in
prospettiva
storica,
diversi
fattori
rendevano
complessi
altri
sviluppi.
Si
intende
ad
esempio
l’inserimento
in
strutture
statali
già
in
parte
compiute,
il
continuo
contatto
e
l’influenza
culturale
occidentale
e
quello
che
sarebbe
stato
l’inserimento
nelle
dinamiche
della
guerra
fredda.
Manifesto
comune
della
massa
anti-liberale
erano
un
indefinito
nazionalismo
e
anti-imperialismo,
che
poi
sarebbero
stati
tradotti
in
tante
e
diverse
linee
programmatiche.
Di
conseguenza,
la
condivisione
di
principi
ideologici
comuni
resta
soggetta
alla
loro
successiva
interpretazione
e
traduzione
nella
prassi
politica,
legata
a
molte
variabili
riassumibili
nelle
specifiche
classi
sociali
di
riferimento
con
i
tanti
interessi
contrapposti;
nei
soggetti
umani
che
guidano
questi
processi
e
nei
diversi
contesti
locali
e
contingenze
storiche.
Tutto
ciò
è
tanto
più
evidente
se
prendiamo
in
considerazione
gruppi
politici
che
vanno
a
costituire
organizzazioni
distinte,
ma
ciò
non
toglie
che
si
verifichi
anche
all’interno
di
una
medesima
formazione.
È il
caso
del
partito
Ba’th,
nato
all’interno
della
generale
matassa
di
opposizioni
medio
orientali
nazionaliste,
ma
legato
a
due
percorsi
in
larga
parte
discordi
nei
contesti
dove
arrivò
al
potere:
in
Siria,
dal
1963
ad
oggi,
e in
Iraq
dal
1968
al
2003.
Quello
che
si
intende
mostrare
e
dimostrare
è la
divergenza
di
percorsi
di
uno
stesso
partito
fondato
su
linee
guida
comuni
ma
con
esigenze
di
politica
interna
e
strategie
regionali
e
internazionali
spesso
distinte;
tutto
questo
in
un’ottica
elastica
e
continuamente
mutevole
a
seconda
della
specifica
contingenza
storica
e
degli
equilibri
di
potere
interni.
Il
popolo
arabo
visse
per
circa
un
trentennio
all’interno
di
sistemi
liberali
che,
nonostante
l’ascendente
occidentale,
comportarono
un
allargamento
dello
spazio
politico
e la
graduale
laicizzazione
e
apertura
del
sistema
scolastico,
incentivando
la
formazione
di
un
nuovo
strato
sociale,
rappresentato
dalla
classe
media
occidentalizzata
e
urbana
e
dagli
ufficiali
militari.
La
crescita
di
questa
nuova
forza
sociopolitica
la
avrebbe
portata
a
porsi
come
alternativa
alla
guida
dello
Stato.
Ciò
significava
trovare
un
modo
per
rompere
le
tradizionali
cornici
sociali,
eliminare
il
monopolio
del
notabilato
sulle
principali
strutture
economiche
e
politiche,
e
cercare
sia
una
coesione
ideologica
che
allargasse
la
base
del
consenso
intorno
all’opposizione
anti
governativa,
sia
un
pretesto
per
il
rovesciamento.
Il
‘48
fu
una
svolta
in
questo
senso
e
“la
causa
palestinese”
divenne
lo
strumento
per
cementare
l’opposizione
contro
governi
denunciati
come
colpevoli
nel
protrarre
la
collaborazione
con
le
forze
neocoloniali:
il
nazionalismo
fu
riproposto
nei
termini
del
panarabismo,
inteso
come
fratellanza
e
unità
fra
gli
Stati
arabi
in
ottica
anti-imperialista
ed
anti-israeliana;
fu
lo
strumento
ideologico
per
risolvere
la
crisi
identitaria
del
nuovo
gruppo
politico
ed
estendere
la
propria
influenza
su
altre
classi
sociali,
cementando
il
consenso
intorno
a sé
sulla
base
di
teorie
dall’afflato
retorico
ed
emotivo.
Una
volta
strutturate
le
forze
di
opposizione
e il
bagaglio
ideologico
di
riferimento,
la
costante
instabilità
dei
governi
e la
politicizzazione
delle
forze
armate
fecero
il
resto.
Il
primo
colpo
di
stato
militare
fu
attuato
in
Iraq
nel
1936
e da
lì
fu
un
continuo
susseguirsi,
partendo
dalla
Siria
che
ne
collezionò
ben
tre
nel
1949,
fino
al
golpe
del
Liberi
ufficiali
in
Egitto
nel
1952.
Fu
in
questi
tre
Stati
arabi
che
i
tentativi
golpisti
andarono
a
termine
con
successo
e
portarono
all’istituzione
dei
cosiddetti
“regimi
radicali”,
descritti
come
tali
non
sulla
base
della
presa
dello
Stato
da
parte
di
una
giunta
militare,
o
per
l’esercizio
esclusivo
del
potere,
ma
in
relazione
all’adozione
di
linee
politiche
comuni,
che
puntavano
al
rovesciamento
delle
condizioni
sociali,
economiche,
culturali
e
politiche
interne.
I
comuni
denominatori
possono
essere
identificati
nella
condivisa
retorica
nazionalista,
panaraba
e
nettamente
anti-imperialista,
e
nella
promozione
di
politiche
di
giustizia
sociale
che
contribuissero
ad
emancipare
le
masse
arabe,
fornendo
eguali
diritti
ed
opportunità,
sia
civili
che
sociali.
Questa
forma
di
socialismo
arabo,
a
differenza
di
quello
occidentale,
doveva
essere
imprescindibilmente
legata
al
concetto
di
nazionalismo
e
alla
religione
islamica
e,
affinché
ciò
fosse
possibile,
i
diversi
regimi
trovarono
soluzioni
differenti.
Altri
elementi
comuni
si
possono
trovare
sia
nelle
forme
di
legittimazione
del
consenso,
sintetizzabili
nell’ideologia
panaraba
e
nel
ruolo
politico
centrale
dell’esercito,
sia
nel
fenomeno
dell’overstating,
ossia
nel
rafforzamento
dello
stato
nella
sua
funzione
di
monopolio
del
potere
a
discapito
di
quella
rappresentativa.
Su
questo
sfondo
comune
emerse
il
Partito
Ba’th
che
salì
al
potere
in
Siria
nel
1963
e in
Iraq
5
anni
dopo,
grazie
a
due
colpi
di
stato
militari.
Il
Partito
Ba’th
socialista
arabo
trae
le
sue
origini
dal
sodalizio
di
un
gruppo
di
damasceni
che
studiarono
a
Parigi
negli
anni
del
Mandato
francese
sulla
Siria
e
che
entrarono
in
diretto
contatto
con
le
correnti
culturali
europee.
I
suoi
fondatori
furono
due
figli
della
classe
media
mercantile,
il
cristiano
ortodosso
Michel
Aflaq
e il
mussulmano
sunnita
Salah
al-Din
al-Bitar.
Il
primo
nucleo
si
formò
nel
1942,
quando
i
due
lasciarono
l’insegnamento
per
darsi
alla
politica
attiva
poi,
nell’aprile
del
1947
abbiamo
testimonianza
della
formazione
ufficiale
del
Partito
e
del
suo
primo
Congresso.
Il
punto
era
trovare
un
modo
di
coniugare
i
principi
di
nazionalismo
e
socialismo
con
i
valori
della
propria
civiltà,
in
modo
tale
da
creare
un
credo
politico
che
rafforzasse
l’unione
del
mondo
arabo
in
funzione
anti-coloniale
e di
rinascita
(Ba’th
letteralmente
significa
resurrezione),
e
che
permettesse
di
superare
il
monopolio
politico
del
vecchio
notabilato
e le
divisioni
etno-confessionali.
Ciò
specialmente
grazie
all’elevazione
del
panarabismo
al
ruolo
di
religione
civile,
che
non
ripudiasse
l’Islam,
ma
che
assumesse
dimensione
prioritaria
sul
piano
comunitario.