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N. 112 - Aprile 2017 (CXLIII)

SUl pericolo delle armi chimiche
IN difesa deI diritti umani

di Giovanna D'Arbitrio

 

Ogni giorno il mondo col fiato sospeso si chiede cosa potrebbe succedere se le grandi potenze non riuscissero a dialogare per sbloccare la difficile situazione in Siria. Difficile definire schieramenti e posizioni, rapporti tra Trump e Putin, nonché gli intricati interessi che s’intrecciano intorno a questa martoriata nazione. E così noi comuni mortali, lontani dai complicati circuiti economico-politici, ci torturiamo con inquietanti interrogativi ai quali son sappiamo rispondere: “Come si può generare pace con la guerra?

 

Come mai “solo” le armi chimiche segnano “la linea rossa” oltre la quale non si può andare? E le armi nucleari? E atrocità e orrori perpetrati con armi convenzionali non sono forse anch’essi da bandire? Perché i riflettori si puntano su paesi in cui sono concentrati forti interessi e se ne ignorano altri in condizioni peggiori? E che dire delle le orrende torture ancora tollerate in paesi civili? Chi costruisce mostruosi strumenti per infliggere crudeli sofferenze? Quando sarà abolita ovunque la pena di morte? Perché non si punta mai su istruzione, cultura e solidarietà per creare vivibilità invece che su violenza, morte e distruzione? E così via.

 

Le domande sono tante e restano senza risposte. Un fatto è certo: il progresso spirituale del genere umano ha ritmi lenti e cicliche ricadute in basso: ogni conquista verso un livello più alto costa lacrime e sangue. Difficile appare dunque la difesa dei diritti umani.

 

Nell’introduzione del rapporto di Amnesty International 2013, intitolato “I diritti umani non conoscono confini”, Salil Shetty, segretario generale di Amnesty, cita nei primi righi le seguenti parole di M.L. King: “L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque. Siamo tutti presi in una rete di reciprocità alla quale non si può sfuggire, legati a un unico destino. Qualsiasi cosa colpisca direttamente uno, colpisce indirettamente tutti”.

 

Secondo Salil, inoltre, il principio di “sovranità” delle nazioni si presta a manipolazioni, poiché lo si usa per rispettarlo o meno in base a vari interessi, poiché “gli stati si richiamano regolarmente alla sovranità, facendola corrispondere al controllo sugli affari interni senza interferenze esterne, per poter fare quello che vogliono. Si richiamano alla sovranità, comunque in modo pretestuoso, per nascondere o negare uccisioni di massa, genocidi, oppressione, corruzione, morte per fame o persecuzione di genere. Ma chi abusa del potere e dei propri privilegi non può più nascondere facilmente tali abusi”.

 

Egli fa notare poi che oggi è sempre più difficile nascondere la verità, poiché Le persone registrano con i telefoni cellulari e caricano in rete filmati che rivelano la realtà delle violazioni dei diritti umani in tempo reale e fanno luce sulla verità al di là della retorica ipocrita e delle giustificazioni autoreferenziali. Analogamente, le multinazionali e altri potenti attori privati sono più facilmente soggetti a controllo in quanto le conseguenze delle loro azioni, per quanto subdole o criminali, sono ormai difficili da nascondere.

 

E alla fine puntualizza che “un elemento chiave della protezione dei diritti umani è il diritto di tutte le persone di essere libere dalla violenza. Un altro elemento fondamentale è dato dai forti limiti imposti alla possibilità dello stato d’interferire nella nostra vita e in quella dei nostri familiari. Ciò comprende la protezione della nostra libertà d’espressione, associazione e coscienza” (Dal rapporto 2013 di Amnesty: http://rapportoannuale.amnesty.it/2013/introduzione).

 

Se paragoniamo tale rapporto a quello del 2016-17, colpisce il peggioramento della situazione internazionale in cui si mettono sotto accusa soprattutto le politiche di demonizzazione che alimentano divisioni e paura.



 

 

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