attualità
L’irrisolto
dilemma siriano
Gli al-Assad al
crocevia
di Gian Marco Boellisi
Il concetto di “tema caldo” o “crisi
internazionale” percepito dall’opinione
pubblica è una delle nozioni più
relative esistenti nel mondo di oggi.
Conflitti dall’impatto umanitario
apocalittico possono essere facilmente
ignorati mentre crisi locali o tematiche
secondarie, se ben coperte dai media,
possono avere una risonanza tale da
scuotere la coscienza comune e non solo.
Un caso da manuale di quanto sia facile
dimenticare la realtà che ci circonda
per l’opinione pubblica è il conflitto
in Siria. La guerra civile iniziata
ormai 10 anni fa, è stata oggetto di
attenzione da parte dei mass media in
svariate circostanze. Nonostante ancora
oggi il conflitto sia ben lontano
dall’essere concluso, nei telegiornali
della sera il tema Siria è praticamente
assente da svariati mesi, e ciò avveniva
ancora prima della pandemia.
Che sia per il fatto che l’opinione
pubblica si sia annoiata nel sentire
questa tematica o che sia per il fatto
che i mass media occidentali non vedano
alcun vantaggio nel raccontare la storia
del popolo siriano, oggi la Siria giace
nel dimenticatoio dell’Occidente insieme
a un innumerevole elenco di altre
questioni. Tuttavia, ora come è sempre
stato, ciò che sta accadendo in Siria
negli ultimi mesi è di fondamentale
importanza per gli equilibri regionali,
ma soprattutto globali. Per quanto il
conflitto sembri essere arrivato a una
fase di pseudo-equilibrio (ovviamente
non eterna), sono in atto dinamiche che
val la pena raccontare per avere più
chiaro il destino di questo paese e
quindi quello di tutta la regione.
Partiamo dal contesto. Sviluppatosi
all’interno del cosiddetto movimento
delle “Primavere Arabe”, la guerra
civile siriana è un conflitto che
insanguina la Siria da ormai 10 anni.
Contando ufficialmente circa 400.000
morti, le ostilità sono passate
attraverso diverse fasi, vedendovi
partecipare diversi attori regionali e
internazionali. Si è partiti da
un’iniziale fase di proteste a una lotta
armata tra forze governative e ribelli,
per poi giungere alla nascita dello
Stato Islamico e quindi al
coinvolgimento di forse regionali, quali
Iran e Libano, e internazionali, quali
la Russia e svariati paesi della
N.A.T.O.
Negli ultimi anni si è anche assistito a
una roboante ascesa della Turchia nella
regione la quale, nonostante abbia
un’economia martoriata da anni e anni di
malgoverno, sta cercando di focalizzare
l’attenzione della propria popolazione
verso dinamiche imperialiste
“neo-ottomane”. Attualmente il conflitto
sembra essere arrivato a una fase di
equilibrio, raggiunto con una
spartizione di zone d’influenza tra
Russia e Turchia, gli unici attori
internazionali rimasti in terra siriana
a contare veramente qualcosa sul futuro
del paese. È tuttavia improbabile che la
situazione rimanga così a lungo, avendo
entrambi gli schieramenti obiettivi ben
precisi che possono essere raggiunti
solo con lo scontro diretto con l’altra
parte. Ma questa è materia del futuro.
Sebbene i combattimenti si siano
momentaneamente interrotti, all’interno
dello stato siriano sono in atto delle
dinamiche fondamentali per il futuro del
paese. Esse possono essere divise in due
filoni principali: sociali e politiche.
Per quanto riguarda le problematiche
sociali, quello che appare subito alla
vista è la diffusione del Covid-19
all’interno del paese, il quale risulta
essere uno dei classici esempi di
“pioggia sul bagnato”. La Siria ha un
sistema sanitario provato da 10 anni di
guerra civile, incapace di reggere
l’urto in queste condizioni di una
pandemia globale. Inoltre, il fatto di
non avere un paese unificato sotto
un’unica bandiera, ha reso praticamente
impossibile attuare le basilari norme
anti-contagio e permesso al virus di
viaggiare attraverso le centinaia di
chilometri del paese. Non si ha ancora
polso di quanto pesantemente il Covid-19
impatterà sulla popolazione siriana, ma
questo potrebbe non essere il problema
maggiore.
L’alimentazione del popolo siriano si
basa sulla produzione di grano, la quale
anche quest’anno non è in grado di
soddisfare la domanda interna. Nel
periodo pre-conflitto la Siria produceva
circa 4,1 milioni di tonnellate di grano
all’anno, mentre l’anno scorso si è
arrivati a mala pena a 2,2 milioni di
tonnellate. Uno dei motivi principali di
questo calo drastico nella produzione
sarebbe una forte siccità che avrebbe
colpito duramente le città di Hama,
Hasakah, Raqqa, Aleppo e Deir e-Zor, le
quali costituiscono insieme il 94% delle
zone agricole del paese. Ciò porterà
probabilmente 6,5 milioni di siriani ad
avere scarsità di beni alimentari per i
mesi a venire.
Proprio a causa di questa carestia, la
FAO ha incluso la Siria tra i paesi
maggiormente colpiti dall’insicurezza
alimentare nel 2019. La mancanza di
preparazione a un’eventualità del genere
è dovuta anche agli scarsi investimenti
nel periodo pre-conflitto da parte del
governo di Bashar al-Assad nel settore
agricolo, favorendo invece quello del
terziario e della finanza. Nonostante il
governo stia chiedendo grano ai suoi
alleati esteri, non è certo che quanto
arriverà soddisferà la domanda interna.
Qualora Assad non dovesse risolvere la
questione in tempi rapidi, è molto
probabile che si assisterà a una nuova
ondata di proteste, questa volta però
non localizzate in una certa città, ma
generali in tutto il paese, causate
dalla mancanza di pane e generi
alimentari basilari.
Oltre alla crisi alimentare, di certo
non meno preoccupante è la crisi
economica che sta affrontando la Siria.
Con danni di guerra per un ammontare di
400 miliardi di dollari, i quali
equivarrebbero a circa 30 anni di
recessione, l’economia della Siria è
letteralmente a pezzi. Per dare una
misura di ciò, basti pensare che a
gennaio sul mercato nero il tasso di
cambio tra dollaro e lira era di uno a
940 mentre nelle scorse settimane è
arrivato a 3.500 lire.
Questa svalutazione abissale ha reso
inutilizzabili le banconote siriane per
transazioni monetarie medio-grandi, al
punto da usare addirittura il dollaro
americano o la lira turca. Ad
aggiungersi alle problematiche già
presenti nell’economia siriana,
l’entrata in vigore, dal 17 giugno 2020,
del Caesar Act, legge americana
firmata da Trump qualche mese fa che
imporrà nuove sanzioni a chiunque aiuti
il governo siriano a ricostruire il
paese dalle ceneri della guerra. Inutile
dirlo, l’obiettivo di questa legge sono
le grandi rivali di quest’epoca degli
Stati Uniti, ovvero Russia e Cina.
Oltre a un palese obiettivo politico e
strategico, questa legge renderà ancora
più difficile la ripresa dell’economia
siriana, privandola parzialmente o
totalmente di quegli aiuti essenziali
per far sopravvivere la popolazione
afflitta dalla guerra. Ovviamente gli
Stati Uniti in questo modo cercano di
far sollevare il popolo siriano contro
Assad in maniera di attuare quel
regime change che non sono riusciti
a effettuare con la forza. Tuttavia in
questa maniera l’unica a rimetterci
veramente è solo ed esclusivamente la
popolazione siriana.
Nonostante le sanzioni, sentori di
malcontento dall’interno sono già
avvertibili in queste settimane. Infatti
gli abitanti della provincia di Suweida
nel sud-ovest del paese hanno messo in
atto proteste di piazza contro il
carovita galoppante dei prezzi e contro
la progressiva distruzione del welfare
siriano. Tra tutte le richieste, vi era
anche quella della rimozione stessa di
Bashar al-Assad, la quale fino a oggi
non era mai stata chiesta da parte della
popolazione drusa che qui dimora.
Cercando in qualche modo di tappare gli
innumerevoli buchi che si stanno venendo
a creare in queste settimane, Assad ha
rimosso il primo ministro Imad Khamis,
sostituito dal vecchio ministro degli
Affari Pubblici Hussein Arnous, e il
ministro del Commercio Atef al-Naddaf,
il quale è stato sostituto dal
governatore della provincia di Homs
Talal al-Barazi. Per quanto Assad si sia
sforzato di attuare questo cambio di
dirigenza, non è altro che un palliativo
atto a guadagnare tempo per cercare di
capire cosa fare veramente. Il vero
problema è che il governo siriano non ha
né la forza né la capacità (ma
soprattutto la volontà essendo lo stato
probabilmente parte del problema) di
combattere i veri nemici del popolo
siriano, ovvero rincaro dei prezzi,
monopolio dei beni di prima necessità e
mercato nero dilagante.
Per quanto riguarda invece l’aspetto
politico, negli ultimi mesi si è
assistito a crescenti divergenze
all’interno del clan Assad, tali da far
intuire un possibile dissenso nei
confronti del presidente, e anche una
possibile differenza di vedute con lo
storico alleato russo, la quale potrebbe
essere un problema non indifferente per
la sopravvivenza del regime.
In merito ai dissidi interni alla
famiglia al potere, recentemente hanno
destato scalpore alcuni video di
dissenso pubblicati su Facebook da Rami
Makhlouf, cugino del presidente Bashar
al-Assad e gestore di Syriatel,
ovvero una delle due compagnie di
telefonia cellulare siriane, nonché uno
degli uomini più ricchi del paese, tanto
che secondo alcune stime si pensa
controlli circa il 20% dell’economia
nazionale. Makhlouf era stato accusato
di corruzione un anno fa, quindi rimosso
dalla dirigenza di Syriatel ed
espropriato di numerosi beni e aziende.
Tuttavia nelle ultime settimane le
azioni contro di lui si sono
ulteriormente acuite. Infatti 7
dipendenti di Syriatel, tra cui
direttori e tecnici specializzati,
sarebbero stati arrestati ad Aleppo e a
Tartus con l’ausilio tra l’altro della
polizia militare russa. Questi 7 arresti
sarebbero stati fatti a valle di altri
28 tra i dipendenti della Syriatel
in altre città della Siria.
Sembra quindi che le fortune di Rami
Makhlouf siano finite, e non di certo
per vera corruzione, ma più
probabilmente per opinioni contrastanti
con il cugino a capo della nazione sulla
direzione verso cui incanalare la Siria
nel post-conflitto. Tra le varie
opinioni note di Makhlouf, risulta di
particolare interesse l’affermazione di
voler proteggere l’etnia alauita, di cui
sia lui che il presidente Bashar
al-Assad fanno parte e che rappresenta
circa il 10% della popolazione
nazionale, dalle ingerenze sunnite nella
regione. Questo è un fattore da tenere
in considerazione, specie se si pensa
che sunnita non è altri che la moglie di
Assad, Asma, denominata dal giornale
Vogue “la Rosa del Deserto”. Asma
potrebbe effettivamente avere un ruolo
cruciale nel futuro della Siria, ma ci
torneremo più avanti.
Per quanto riguarda invece le divergenze
con Mosca, la Siria attualmente si trova
in una posizione estremamente vaga. La
Russia di Putin è entrata nel conflitto
in Siria nel 2015 su richiesta ufficiale
del governo siriano per contenere sia i
ribelli antigovernativi sia l’avanzata
dello Stato Islamico nell’est del paese.
Ovviamente il Cremlino è intervenuto
inviando uomini e risorse in quello che
sapeva essere un conflitto estremamente
complicato, conscio di poter chiedere
praticamente qualsiasi cosa in cambio in
caso di vittoria. La Siria infatti è
fondamentale per le strategie russe nel
Mediterraneo, considerando che qui vi è
l’unica base militare russa al di fuori
dei propri confini nazionali. Con grande
probabilità gli obiettivi principali di
Mosca sono stati e sono tuttora i
contratti nel campo dell’edilizia per
l’immensa opera di ricostruzione che
dovrà avvenire nel post-conflitto nonché
proventi e diritti sull’estrazione
petrolifera e anche sfruttamento degli
immensi giacimenti di fosfati di cui la
Siria è estremamente ricca.
Nonostante questa alleanza di vecchia
data tra Russia e Siria, che risale ai
tempi della Guerra Fredda, Assad
nell’ultimo anno ha dimostrato una certa
insofferenza ai dettami provenienti da
Mosca, agendo in più di un’occasione di
testa propria. Un esempio fra tutti
possono essere le iniziative militari a
Idlib, le quali hanno cercato di
riportare in mani governative quella
fetta di territorio ancora in possesso
dei miliziani islamisti supportati dalla
Turchia. Questo ha causato non poco
sconcerto ai piani alti del Cremlino,
tant’è che lo stesso Putin ha dovuto
spendere la propria parola in più
occasioni per riportare i turchi a più
miti consigli ed evitare così
un’escalation delle ostilità fuori dal
proprio controllo.
Una dimostrazione dei sempre maggiori
contrasti tra i due alleati può essere
trovata in un articolo dell’agenzia di
stampa appartenente a Yevgeny Pregozhin,
uomo reso celebre dalle cronache per
essere denominato lo “chef di Putin”
nonché proprietario della famigerata
compagnia di contractor Wagner.
L’agenzia ha infatti messo in evidenza
la corruzione dilagante nell’economia
siriana e di come questo aberrante
fenomeno sia causato esclusivamente
dalla dirigenza siriana attualmente al
potere, portando così a essere
inefficaci i svariati miliardi di
dollari di investimenti russi nel paese.
È stato anche diffuso un sondaggio
effettuato da una fittizia società di
ricerca secondo la quale il 32% della
popolazione siriana sarebbe contro Assad
e che non sarebbe intenzionata a votarlo
nelle prossime elezioni. Per quanto
simili dati siano dei numeri che quasi
sicuramente non rispecchiano affatto la
vera volontà dei cittadini siriani, è
interessante comprendere come questo
sondaggio non sarebbe mai stato
pubblicato senza il placet del Cremlino
e che quindi vi è una volontà più che
esplicita nello screditare, per ora
parzialmente, ma in futuro chissà, la
leadership siriana al governo.
In questo enorme calderone di
problematiche, si può scorgere seppur
inaspettatamente una possibile
soluzione, ovvero la moglie del
presidente: Asma al-Assad. Sia dal punto
di vista degli affari interni sia da
quello degli esteri la leadership di
Bashar al-Assad sta risultando sempre
più fragile nell’ultimo periodo, motivo
per cui diversi analisti hanno paventato
l’ipotesi di un cambio di figura al
comando del paese senza però intaccare
il nome della famiglia al-Assad. Un
compromesso quindi, tra il vecchio nome
familiare e sulla presa che questo
inevitabilmente ancora ha in Siria e un
volto nuovo che potrebbe portare una
ventata di freschezza nelle relazioni
internazionali, ma non solo.
Una potenziale presidenza di Asma
tuttavia porterebbe a svariati
interrogativi di difficile risposta.
Primo fra tutti si tratterebbe di una
figura femminile al potere, concetto
ancora molto poco diffuso nelle logiche
mediorientali e quindi potrebbe far meno
presa sul popolo di quanto si creda. In
secondo luogo bisognerebbe vedere se
effettivamente le Cancellerie estere
sarebbero favorevoli a una permanenza
degli al-Assad al potere, soprattutto
dopo tutti gli anni passati a cercare di
delegittimare la famiglia siriana agli
occhi del mondo. Questa invece rimane
una conditio sine qua non per gli
alleati di Damasco, in particolar modo
Russia, Iran e Libano, i quali non hanno
alcuna intenzione di mollare la presa
sull’alleato siriano dopo aver versato
così tanto sangue per esso.
A favore di Asma si può dire sicuramente
che è una donna estremamente colta,
emancipata e sofisticata, nonché di una
bellezza rinomata. Guarita recentemente
da un cancro, ha sempre goduto di grande
stima da parte di tutte le Cancellerie e
si è sempre mostrata una grande
comunicatrice quando necessario.
Nonostante sia una figura ignota
all’opinione pubblica mondiale, sarebbe
sicuramente una carta interessante da
giocare nell’immenso scacchiere siriano.
Al momento risulta meramente un’ipotesi,
ma nell’infinita mutevolezza del
conflitto siriano potrebbe darsi che il
momento di Asma al-Assad sia più vicino
di quanto si possa credere.
In conclusione, nonostante i riflettori
siano momentaneamente spenti sul
conflitto siriano ciò non vuol dire che
le complesse dinamiche da qui sempre in
atto si siano fermate. Bashar al-Assad
ha numerose sfide di varia natura da
affrontare nei prossimi mesi e, sebbene
abbia cercato di temporeggiare sulla
maggior parte di esse, ora ciò non è più
possibile. Che la si voglia mettere dal
lato degli affari interni o da quello
degli esteri, la sostanza non cambia:
ciò di cui la Siria ora ha bisogno sono
azioni concrete che vadano verso
l’interesse dei cittadini, a cui troppo
a lungo è stato chiesto di sopportare
sacrifici immensi che noi tutti possiamo
solo immaginare.
Qualunque siano le politiche di Assad
nei prossimi mesi, il presidente dovrà
sicuramente stare attento al proprio
alleato russo, il quale più passa il
tempo e più chiederà gli interessi di
ciò che ha investito in sangue e
miliardi di dollari nella guerra civile.
Bashar al-Assad se vuole sopravvivere
politicamente a questo conflitto dovrà
giungere quanto meno a un compromesso
con Mosca, altrimenti le strade che si
potrebbero aprire potrebbero veramente
essere tra le più disparate, compresa
quella che conduce all’attuale First
Lady Asma al-Assad. |