[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 150 / GIUGNO 2020 (CLXXXI)


attualità

L’irrisolto dilemma siriano

Gli al-Assad al crocevia

di Gian Marco Boellisi

Il concetto di “tema caldo” o “crisi internazionale” percepito dall’opinione pubblica è una delle nozioni più relative esistenti nel mondo di oggi. Conflitti dall’impatto umanitario apocalittico possono essere facilmente ignorati mentre crisi locali o tematiche secondarie, se ben coperte dai media, possono avere una risonanza tale da scuotere la coscienza comune e non solo.

 

Un caso da manuale di quanto sia facile dimenticare la realtà che ci circonda per l’opinione pubblica è il conflitto in Siria. La guerra civile iniziata ormai 10 anni fa, è stata oggetto di attenzione da parte dei mass media in svariate circostanze. Nonostante ancora oggi il conflitto sia ben lontano dall’essere concluso, nei telegiornali della sera il tema Siria è praticamente assente da svariati mesi, e ciò avveniva ancora prima della pandemia.

 

Che sia per il fatto che l’opinione pubblica si sia annoiata nel sentire questa tematica o che sia per il fatto che i mass media occidentali non vedano alcun vantaggio nel raccontare la storia del popolo siriano, oggi la Siria giace nel dimenticatoio dell’Occidente insieme a un innumerevole elenco di altre questioni. Tuttavia, ora come è sempre stato, ciò che sta accadendo in Siria negli ultimi mesi è di fondamentale importanza per gli equilibri regionali, ma soprattutto globali. Per quanto il conflitto sembri essere arrivato a una fase di pseudo-equilibrio (ovviamente non eterna), sono in atto dinamiche che val la pena raccontare per avere più chiaro il destino di questo paese e quindi quello di tutta la regione.

 

Partiamo dal contesto. Sviluppatosi all’interno del cosiddetto movimento delle “Primavere Arabe”, la guerra civile siriana è un conflitto che insanguina la Siria da ormai 10 anni. Contando ufficialmente circa 400.000 morti, le ostilità sono passate attraverso diverse fasi, vedendovi partecipare diversi attori regionali e internazionali. Si è partiti da un’iniziale fase di proteste a una lotta armata tra forze governative e ribelli, per poi giungere alla nascita dello Stato Islamico e quindi al coinvolgimento di forse regionali, quali Iran e Libano, e internazionali, quali la Russia e svariati paesi della N.A.T.O.

 

Negli ultimi anni si è anche assistito a una roboante ascesa della Turchia nella regione la quale, nonostante abbia un’economia martoriata da anni e anni di malgoverno, sta cercando di focalizzare l’attenzione della propria popolazione verso dinamiche imperialiste “neo-ottomane”. Attualmente il conflitto sembra essere arrivato a una fase di equilibrio, raggiunto con una spartizione di zone d’influenza tra Russia e Turchia, gli unici attori internazionali rimasti in terra siriana a contare veramente qualcosa sul futuro del paese. È tuttavia improbabile che la situazione rimanga così a lungo, avendo entrambi gli schieramenti obiettivi ben precisi che possono essere raggiunti solo con lo scontro diretto con l’altra parte. Ma questa è materia del futuro.

 

Sebbene i combattimenti si siano momentaneamente interrotti, all’interno dello stato siriano sono in atto delle dinamiche fondamentali per il futuro del paese. Esse possono essere divise in due filoni principali: sociali e politiche.

 

Per quanto riguarda le problematiche sociali, quello che appare subito alla vista è la diffusione del Covid-19 all’interno del paese, il quale risulta essere uno dei classici esempi di “pioggia sul bagnato”. La Siria ha un sistema sanitario provato da 10 anni di guerra civile, incapace di reggere l’urto in queste condizioni di una pandemia globale. Inoltre, il fatto di non avere un paese unificato sotto un’unica bandiera, ha reso praticamente impossibile attuare le basilari norme anti-contagio e permesso al virus di viaggiare attraverso le centinaia di chilometri del paese. Non si ha ancora polso di quanto pesantemente il Covid-19 impatterà sulla popolazione siriana, ma questo potrebbe non essere il problema maggiore.

 

L’alimentazione del popolo siriano si basa sulla produzione di grano, la quale anche quest’anno non è in grado di soddisfare la domanda interna. Nel periodo pre-conflitto la Siria produceva circa 4,1 milioni di tonnellate di grano all’anno, mentre l’anno scorso si è arrivati a mala pena a 2,2 milioni di tonnellate. Uno dei motivi principali di questo calo drastico nella produzione sarebbe una forte siccità che avrebbe colpito duramente le città di Hama, Hasakah, Raqqa, Aleppo e Deir e-Zor, le quali costituiscono insieme il 94% delle zone agricole del paese. Ciò porterà probabilmente 6,5 milioni di siriani ad avere scarsità di beni alimentari per i mesi a venire.

 

Proprio a causa di questa carestia, la FAO ha incluso la Siria tra i paesi maggiormente colpiti dall’insicurezza alimentare nel 2019. La mancanza di preparazione a un’eventualità del genere è dovuta anche agli scarsi investimenti nel periodo pre-conflitto da parte del governo di Bashar al-Assad nel settore agricolo, favorendo invece quello del terziario e della finanza. Nonostante il governo stia chiedendo grano ai suoi alleati esteri, non è certo che quanto arriverà soddisferà la domanda interna. Qualora Assad non dovesse risolvere la questione in tempi rapidi, è molto probabile che si assisterà a una nuova ondata di proteste, questa volta però non localizzate in una certa città, ma generali in tutto il paese, causate dalla mancanza di pane e generi alimentari basilari.

 

Oltre alla crisi alimentare, di certo non meno preoccupante è la crisi economica che sta affrontando la Siria. Con danni di guerra per un ammontare di 400 miliardi di dollari, i quali equivarrebbero a circa 30 anni di recessione, l’economia della Siria è letteralmente a pezzi. Per dare una misura di ciò, basti pensare che a gennaio sul mercato nero il tasso di cambio tra dollaro e lira era di uno a 940 mentre nelle scorse settimane è arrivato a 3.500 lire.

 

Questa svalutazione abissale ha reso inutilizzabili le banconote siriane per transazioni monetarie medio-grandi, al punto da usare addirittura il dollaro americano o la lira turca. Ad aggiungersi alle problematiche già presenti nell’economia siriana, l’entrata in vigore, dal 17 giugno 2020, del Caesar Act, legge americana firmata da Trump qualche mese fa che imporrà nuove sanzioni a chiunque aiuti il governo siriano a ricostruire il paese dalle ceneri della guerra. Inutile dirlo, l’obiettivo di questa legge sono le grandi rivali di quest’epoca degli Stati Uniti, ovvero Russia e Cina.

 

Oltre a un palese obiettivo politico e strategico, questa legge renderà ancora più difficile la ripresa dell’economia siriana, privandola parzialmente o totalmente di quegli aiuti essenziali per far sopravvivere la popolazione afflitta dalla guerra. Ovviamente gli Stati Uniti in questo modo cercano di far sollevare il popolo siriano contro Assad in maniera di attuare quel regime change che non sono riusciti a effettuare con la forza. Tuttavia in questa maniera l’unica a rimetterci veramente è solo ed esclusivamente la popolazione siriana.

 

Nonostante le sanzioni, sentori di malcontento dall’interno sono già avvertibili in queste settimane. Infatti gli abitanti della provincia di Suweida nel sud-ovest del paese hanno messo in atto proteste di piazza contro il carovita galoppante dei prezzi e contro la progressiva distruzione del welfare siriano. Tra tutte le richieste, vi era anche quella della rimozione stessa di Bashar al-Assad, la quale fino a oggi non era mai stata chiesta da parte della popolazione drusa che qui dimora.

 

Cercando in qualche modo di tappare gli innumerevoli buchi che si stanno venendo a creare in queste settimane, Assad ha rimosso il primo ministro Imad Khamis, sostituito dal vecchio ministro degli Affari Pubblici Hussein Arnous, e il ministro del Commercio Atef al-Naddaf, il quale è stato sostituto dal governatore della provincia di Homs Talal al-Barazi. Per quanto Assad si sia sforzato di attuare questo cambio di dirigenza, non è altro che un palliativo atto a guadagnare tempo per cercare di capire cosa fare veramente. Il vero problema è che il governo siriano non ha né la forza né la capacità (ma soprattutto la volontà essendo lo stato probabilmente parte del problema) di combattere i veri nemici del popolo siriano, ovvero rincaro dei prezzi, monopolio dei beni di prima necessità e mercato nero dilagante.

 

Per quanto riguarda invece l’aspetto politico, negli ultimi mesi si è assistito a crescenti divergenze all’interno del clan Assad, tali da far intuire un possibile dissenso nei confronti del presidente, e anche una possibile differenza di vedute con lo storico alleato russo, la quale potrebbe essere un problema non indifferente per la sopravvivenza del regime.

 

In merito ai dissidi interni alla famiglia al potere, recentemente hanno destato scalpore alcuni video di dissenso pubblicati su Facebook da Rami Makhlouf, cugino del presidente Bashar al-Assad e gestore di Syriatel, ovvero una delle due compagnie di telefonia cellulare siriane, nonché uno degli uomini più ricchi del paese, tanto che secondo alcune stime si pensa controlli circa il 20% dell’economia nazionale. Makhlouf era stato accusato di corruzione un anno fa, quindi rimosso dalla dirigenza di Syriatel ed espropriato di numerosi beni e aziende. Tuttavia nelle ultime settimane le azioni contro di lui si sono ulteriormente acuite. Infatti 7 dipendenti di Syriatel, tra cui direttori e tecnici specializzati, sarebbero stati arrestati ad Aleppo e a Tartus con l’ausilio tra l’altro della polizia militare russa. Questi 7 arresti sarebbero stati fatti a valle di altri 28 tra i dipendenti della Syriatel in altre città della Siria.

 

Sembra quindi che le fortune di Rami Makhlouf siano finite, e non di certo per vera corruzione, ma più probabilmente per opinioni contrastanti con il cugino a capo della nazione sulla direzione verso cui incanalare la Siria nel post-conflitto. Tra le varie opinioni note di Makhlouf, risulta di particolare interesse l’affermazione di voler proteggere l’etnia alauita, di cui sia lui che il presidente Bashar al-Assad fanno parte e che rappresenta circa il 10% della popolazione nazionale, dalle ingerenze sunnite nella regione. Questo è un fattore da tenere in considerazione, specie se si pensa che sunnita non è altri che la moglie di Assad, Asma, denominata dal giornale Vogue “la Rosa del Deserto”. Asma potrebbe effettivamente avere un ruolo cruciale nel futuro della Siria, ma ci torneremo più avanti.

 

Per quanto riguarda invece le divergenze con Mosca, la Siria attualmente si trova in una posizione estremamente vaga. La Russia di Putin è entrata nel conflitto in Siria nel 2015 su richiesta ufficiale del governo siriano per contenere sia i ribelli antigovernativi sia l’avanzata dello Stato Islamico nell’est del paese. Ovviamente il Cremlino è intervenuto inviando uomini e risorse in quello che sapeva essere un conflitto estremamente complicato, conscio di poter chiedere praticamente qualsiasi cosa in cambio in caso di vittoria. La Siria infatti è fondamentale per le strategie russe nel Mediterraneo, considerando che qui vi è l’unica base militare russa al di fuori dei propri confini nazionali. Con grande probabilità gli obiettivi principali di Mosca sono stati e sono tuttora i contratti nel campo dell’edilizia per l’immensa opera di ricostruzione che dovrà avvenire nel post-conflitto nonché proventi e diritti sull’estrazione petrolifera e anche sfruttamento degli immensi giacimenti di fosfati di cui la Siria è estremamente ricca.

 

Nonostante questa alleanza di vecchia data tra Russia e Siria, che risale ai tempi della Guerra Fredda, Assad nell’ultimo anno ha dimostrato una certa insofferenza ai dettami provenienti da Mosca, agendo in più di un’occasione di testa propria. Un esempio fra tutti possono essere le iniziative militari a Idlib, le quali hanno cercato di riportare in mani governative quella fetta di territorio ancora in possesso dei miliziani islamisti supportati dalla Turchia. Questo ha causato non poco sconcerto ai piani alti del Cremlino, tant’è che lo stesso Putin ha dovuto spendere la propria parola in più occasioni per riportare i turchi a più miti consigli ed evitare così un’escalation delle ostilità fuori dal proprio controllo.

 

Una dimostrazione dei sempre maggiori contrasti tra i due alleati può essere trovata in un articolo dell’agenzia di stampa appartenente a Yevgeny Pregozhin, uomo reso celebre dalle cronache per essere denominato lo “chef di Putin” nonché proprietario della famigerata compagnia di contractor Wagner. L’agenzia ha infatti messo in evidenza la corruzione dilagante nell’economia siriana e di come questo aberrante fenomeno sia causato esclusivamente dalla dirigenza siriana attualmente al potere, portando così a essere inefficaci i svariati miliardi di dollari di investimenti russi nel paese.

 

È stato anche diffuso un sondaggio effettuato da una fittizia società di ricerca secondo la quale il 32% della popolazione siriana sarebbe contro Assad e che non sarebbe intenzionata a votarlo nelle prossime elezioni. Per quanto simili dati siano dei numeri che quasi sicuramente non rispecchiano affatto la vera volontà dei cittadini siriani, è interessante comprendere come questo sondaggio non sarebbe mai stato pubblicato senza il placet del Cremlino e che quindi vi è una volontà più che esplicita nello screditare, per ora parzialmente, ma in futuro chissà, la leadership siriana al governo.

 

In questo enorme calderone di problematiche, si può scorgere seppur inaspettatamente una possibile soluzione, ovvero la moglie del presidente: Asma al-Assad. Sia dal punto di vista degli affari interni sia da quello degli esteri la leadership di Bashar al-Assad sta risultando sempre più fragile nell’ultimo periodo, motivo per cui diversi analisti hanno paventato l’ipotesi di un cambio di figura al comando del paese senza però intaccare il nome della famiglia al-Assad. Un compromesso quindi, tra il vecchio nome familiare e sulla presa che questo inevitabilmente ancora ha in Siria e un volto nuovo che potrebbe portare una ventata di freschezza nelle relazioni internazionali, ma non solo.

 

Una potenziale presidenza di Asma tuttavia porterebbe a svariati interrogativi di difficile risposta. Primo fra tutti si tratterebbe di una figura femminile al potere, concetto ancora molto poco diffuso nelle logiche mediorientali e quindi potrebbe far meno presa sul popolo di quanto si creda. In secondo luogo bisognerebbe vedere se effettivamente le Cancellerie estere sarebbero favorevoli a una permanenza degli al-Assad al potere, soprattutto dopo tutti gli anni passati a cercare di delegittimare la famiglia siriana agli occhi del mondo. Questa invece rimane una conditio sine qua non per gli alleati di Damasco, in particolar modo Russia, Iran e Libano, i quali non hanno alcuna intenzione di mollare la presa sull’alleato siriano dopo aver versato così tanto sangue per esso.

 

A favore di Asma si può dire sicuramente che è una donna estremamente colta, emancipata e sofisticata, nonché di una bellezza rinomata. Guarita recentemente da un cancro, ha sempre goduto di grande stima da parte di tutte le Cancellerie e si è sempre mostrata una grande comunicatrice quando necessario. Nonostante sia una figura ignota all’opinione pubblica mondiale, sarebbe sicuramente una carta interessante da giocare nell’immenso scacchiere siriano. Al momento risulta meramente un’ipotesi, ma nell’infinita mutevolezza del conflitto siriano potrebbe darsi che il momento di Asma al-Assad sia più vicino di quanto si possa credere.

 

In conclusione, nonostante i riflettori siano momentaneamente spenti sul conflitto siriano ciò non vuol dire che le complesse dinamiche da qui sempre in atto si siano fermate. Bashar al-Assad ha numerose sfide di varia natura da affrontare nei prossimi mesi e, sebbene abbia cercato di temporeggiare sulla maggior parte di esse, ora ciò non è più possibile. Che la si voglia mettere dal lato degli affari interni o da quello degli esteri, la sostanza non cambia: ciò di cui la Siria ora ha bisogno sono azioni concrete che vadano verso l’interesse dei cittadini, a cui troppo a lungo è stato chiesto di sopportare sacrifici immensi che noi tutti possiamo solo immaginare.

 

Qualunque siano le politiche di Assad nei prossimi mesi, il presidente dovrà sicuramente stare attento al proprio alleato russo, il quale più passa il tempo e più chiederà gli interessi di ciò che ha investito in sangue e miliardi di dollari nella guerra civile. Bashar al-Assad se vuole sopravvivere politicamente a questo conflitto dovrà giungere quanto meno a un compromesso con Mosca, altrimenti le strade che si potrebbero aprire potrebbero veramente essere tra le più disparate, compresa quella che conduce all’attuale First Lady Asma al-Assad.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]