antica
AGATOCLE DI SIRACUSA,
il "figlio del destino"
STORIA DI UN TIRANNO
di Guglielmo Montuori
La Magna Grecia (Μεγάλη
῾Ελλάς),
complesso delle colonie greche
dell’Italia meridionale peninsulare sorte a partire dall’VIII sec
a.C., diventa molto presto una vera potenza nella
realtà geopolitica del Mediterraneo del
tempo. Preliminarmente è necessario
precisare che le nuove città-Stato si
muoveranno sempre in ordine sparso e
senza giungere mai a una vision
politica unitaria; secondariamente, è
opportuno sottolineare che il termine
“colonia” non deve far pensare a un
rapporto di subordinazione tra la nuova
città fondata e la madrepatria, come
accadrà con l’imperialismo europeo in
epoca moderna, perché le poleis
svolgeranno sempre un’attività politica
autonoma.
Fra le poleis che esprimono tale
vocazione,
spostandoci peraltro nella Sicilia
Greca,
troviamo Siracusa,
quella che
Cicerone definisce la più grande delle
città greche e la più bella di tutte le
città; nota anche come Pentapoli per i
suoi cinque quartieri, Siracusa svolgerà
un ruolo di primo piano nel confronto
militare dapprima con Cartagine e poi
con Roma. Uno dei personaggi di spicco
della politica siracusana è
Agatocle,
tiranno della città dal 317-316 a.C. e
Basileus di Sicilia dal 307 a.C. circa.
Figlio di un fuoriuscito di Reggio
stabilitosi a Siracusa, nasce con
un’aura particolare: lo storico Diodoro
lo definisce "figlio del destino", per
tutta una serie di presagi che sembrano
vedere in questo bambino, una volta
cresciuto, il flagello di Cartagine.
Agatocle divenne un valente oratore e
dimostrò molto presto sia le sue
capacità strategico-militari in qualità
di ufficiale, sia la sua abilità
diplomatica esplicitata attraverso
un’accorta rete di alleanze e di
matrimoni politici. Egli, infatti, fece
sposare sua figlia Lanassa con Pirro, re
dell’Epiro, e strinse rapporti con il
faraone d’Egitto Tolomeo I Soter,
sposando la figlia della regina Berenice
I, Teossena, principessa adottiva del
faraone, imparentandosi così con
l’ultima dinastia di faraoni, la
dinastia greca dei Tolomei.
Esiliato due volte dalla città aretusea,
a causa degli scontri politici interni
alla città, scontri nei quali egli
divenne il capo dei democratici, fu
dapprima "custode della pace" delle
città del regno siracusano e poi si fece
proclamare stratega autocratore. Publio
Cornelio Scipione Africano il Maggiore,
richiesto un giorno da amici chi fossero
secondo lui i più grandi statisti che
unissero saggezza e ardimento, rispose
senza incertezza: “Agatocle e Dionisio,
i siciliani”.
Personaggio dal multiforme ingegno, uomo
dalla volontà ferrea e grande stratega
nell’accezione più ampia del termine,
Agatocle saprà opporsi ai Cartaginesi
portando le ostilità sul suolo africano
e assediando la loro stessa città. Gli
eventi che seguirono si svolsero
nell’arco di quattro anni, dal 310 al
307 a. C.. In quel momento, nessuno
avrebbe potuto pensare che il conflitto,
nato in terra siracusana, si sarebbe
esteso al continente africano, mettendo
in discussione equilibri secolari. Dopo
avere eliminato i suoi nemici, il
tiranno cerca di ingraziarsi il popolo
distribuendo terre e ponendo fine alle
persecuzioni politiche, tanto da
apparire inizialmente come un difensore
della democrazia.
Perseguendo intanto l’idea di riunire
sotto il suo comando tutte le città
greche della Sicilia, inizia una serie
di guerre locali contro Messana, Gela e
Agrigento che gli resistono con
l’appoggio dei fuorusciti politici
siracusani. Alla fine Agatocle ha
ragione di Gela e Messana, ma non di
Agrigento. Chiamati al contempo dagli
esuli siracusani, i Cartaginesi inviano
contro Agatocle una poderosa armata al
comando di Amilcare, figlio di Giscone;
Agatocle non può che trincerarsi nella
città di Gela, dove, poco prima, ha
mandato a morte 4000 cittadini rei di
tradimento. La volontà di potenza di
Agatocle è al culmine. Amilcare, però,
quasi ignorando quella sorta di campo
trincerato che è appunto Gela, si muove
verso oriente conquistando senza colpo
ferire Leontini, Càtana, Tauromenio e
Messana.
Siracusa, a questo punto, è gravemente
minacciata e sembra destinata alla più
catastrofica delle capitolazioni.
Agatocle, tuttavia, non dispera:
sovvertendo le usuali strategie del
tempo ed eludendo la sorveglianza
cartaginese, al comando di una flotta di
60 navi e di 15.000 soldati, sbarca in
Africa, dove punta direttamente contro
Cartagine. I Cartaginesi reagiscono
prontamente: raccolti alla meglio 40.000
uomini comandati da Bomilcare e Annone,
affrontano Agatocle che esce vittorioso
dallo scontro. Per Cartagine adesso la
situazione è critica, con i Siracusani
in patria; i loro alleati Libifenici,
Libi e Numidi passano dalla parte di
Siracusa, mentre Agatocle continua a
mietere vittorie.
I suoi successi africani rincuorano i
difensori di Siracusa guidati da
Antandro, fratello di Agatocle. In un
cruento scontro, le milizie siracusane
sgominano quelle cartaginesi, uccidendo
Amilcare, il loro condottiero. In
Africa, nel frattempo, la marcia
vittoriosa di Agatocle è rallentata
dalle defezioni degli alleati; ha, a
portata di mano, Cartagine ma non può
bloccarla dal mare per mancanza di navi.
Opera allora una manovra diversiva
contro le città fortificate della costa
e contro Utica, costringendole alla
resa. Adesso Agatocle, però, deve
interrompere l’avventura africana per
precipitarsi in Sicilia, dove,
approfittando dell’assenza del tiranno
nell’isola, è sorto un movimento
nazionale e autonomistico contro i
Punici e i Siracusani, capeggiato da
Agrigento.
Quando Agatocle rientra in Sicilia, la
situazione è migliorata: il movimento è
già contenuto e controllato e i suoi
capi sono stati sconfitti. Agatocle
ritorna in Africa con l’intento di
piegare Cartagine: qui ha l’amara
sorpresa di vedere la sua potenza
dissolta e disfatta. I suoi soldati,
senza la sua guida, pur comandati da suo
figlio Arcagato, si sono lasciati
battere più volte dai Cartaginesi;
Agatocle decide di rientrare in Sicilia
per sostenere l’ultima battaglia contro
Dinocrate, il capo dei fuoriusciti
siracusani. Vince ancora una volta e
riuscirà a ridurre in suo potere con
l’aiuto dello stesso Dinocrate, passato
nel frattempo dalla sua parte, tutte le
città greche, tranne l’irriducibile
Agrigento.
Muore di malattia nel 289 a.C. quando si
accingeva a preparare una seconda
spedizione in Africa contro Cartagine; a
tal fine, aveva attuato imponenti
preparativi, allestendo una flotta di
200 navi. Prima di morire, Agatocle
decide di restaurare la democrazia
nominando suo erede il popolo
siracusano. Il governo agatocleo fu
sempre dominato da una strategia
alternante momenti di tranquillità e
prudenza a momenti di aggressione: come
hanno evidenziato gli storici moderni,
questa linea politica gli consentiva
spesso non soltanto di contenere gli
avversari, ma anche di disorientarli,
depotenziandone progetti e iniziative.
Con Agatocle sparisce un uomo che non
conobbe ostacoli nella sua azione
politico-militare, sia contro le città
siceliote, sempre in contesa tra di
loro, sia contro Cartagine, fondando un
forte impero che riuscì a contrastare la
politica espansionistica dei
Cartaginesi, obbligandoli a ridisegnare
i loro progetti di conquista e la loro
vocazione all’imperialismo. Da ultimo,
non è da dimenticare che Agatocle per
primo, a seguito dell’audace campagna
d’Africa che presenta connotazioni che
ci richiamano l’epopea di Alessandro
Magno, assume in Sicilia il titolo
regale e adotta modelli comportamentali
che, ispirati alla condotta dei Diadochi
del tempo, rafforzano il prestigio
internazionale del Basileus. |