[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

190 / OTTOBRE 2023 (CCXXI)


filosofia & religione

sionismo cristiano
SULLe origini escatologiche D'UN conflitto / PARTE I
di Enrico Targa

 

Il sionismo cristiano è un’ideologia che, in un contesto cristiano, propugna il ritorno del popolo ebraico in Terra Santa. Allo stesso modo, si ritiene che la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 fosse in conformità con la profezia biblica: che il ristabilimento della sovranità ebraica nel Levante – il “raduno escatologico di Israele” – è un prerequisito per la seconda venuta di Gesù Cristo.

 

Il termine cominciò a essere utilizzato a metà del XX secolo, al posto del restaurazionismo cristiano, quando i sostenitori dell’ideologia si radunarono insieme ai sionisti a sostegno di una patria nazionale ebraica. La difesa da parte dei cristiani di una restaurazione ebraica sorse dopo la Riforma e affonda le sue radici nell’Inghilterra del XVII secolo. La storica israeliana contemporanea Anita Shapira suggerisce che i cristiani evangelici sionisti inglesi “trasmisero questa nozione ai circoli ebraici” intorno al 1840, mentre il nazionalismo ebraico all’inizio del XIX secolo fu ampiamente accolto con ostilità da parte degli ebrei britannici (gli ideali cristiani filo-sionisti sono stati generalmente comuni tra i protestanti sin dalla Riforma).

 

Pur sostenendo un ritorno di massa degli ebrei in Terra d’Israele, il sionismo cristiano contemporaneo presente nei circoli evangelici soprattutto statunitensi afferma un’idea parallela secondo cui i rimpatriati dovrebbero essere incoraggiati a rifiutare l’ebraismo e ad adottare il Cristianesimo come mezzo per adempiere alle profezie bibliche. Comunque gli stessi sondaggi suggeriscono una tendenza a una diffusa sfiducia tra gli ebrei nei confronti delle motivazioni dei sionisti cristiani per quanto riguarda il loro particolare sentimento filo-ebraico e il loro sostegno allo Stato ebraico mostrando ancora una volta come negli USA le motivazioni teologiche vengono influenzate e patrocinate da motivazioni di chiara matrice geopolitica.

 

In ogni caso è innegabile che le origini del sionismo cristiano sono rintracciabili nel millenarismo calvinista cinque-seicentesco: per avere un esempio basta citare l’opera di Thomas Brightman, un puritano inglese, autore di un’opera intitolata Shall They Return to Jerusalem Again? del 1615 (una delle prime opere restaurazioniste) ma la difesa della restaurazione della Palestina come patria nazionale per gli ebrei fu sentita per la prima volta tra gruppi cristiani negli anni Ottanta del Cinquecento in seguito alla Riforma protestante.

 

Bisogna però fare un’ulteriore passo indietro: i primi capi protestanti, tra cui Martin Lutero e Giovanni Calvino, non menzionarono alcuna visione escatologica speciale che includesse il ritorno degli ebrei in Palestina (convertiti al Cristianesimo o altro). Più in generale, Lutero aveva sperato che gli ebrei si convertissero al Cristianesimo riformato, ma in seguito denunciò duramente gli ebrei nell’opera Degli ebrei e delle loro menzogne del 1543. Seguendo la dottrina della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa orientale, Lutero e Calvino consideravano la Chiesa cristiana come l’”Israele spirituale” una dottrina nota come la Teologia della sostituzione o supersessionismo è la dottrina cristiana, secondo cui la nuova alleanza stabilita da Gesù avrebbe sostituito l’antica alleanza stabilita con Mosè e perciò oggi i cristiani sono il vero popolo di Dio. A essa si oppone la dottrina secondo cui l’antica alleanza resterebbe ancora in vigore per gli ebrei.

 

Nella seconda metà del Cinquecento l’attenzione protestante sulla sola scriptura e la più ampia distribuzione della Bibbia in tutta Europa nelle lingue vernacolari, tuttavia, permise ai vari protestanti radicali di interpretare le scritture in modo completamente autonomo, in un modo che non rifletteva del tutto né l’atteggiamento cattolico medievale né la tradizione o le opinioni dei primi leader protestanti stessi. Pensiamo alle sette evangeliche che presero il potere a Münster creando la “Nuova Sion” dal 1534 al 1535 o le atrocità commesse dai Batenburger i quali ritenendosi gli eletti da Dio presero possesso di uomini e terre, in entrambi i casi i luterani e le Chiese ufficiali riformate presero le distanze e in alcuni casi parteciparono, insieme ai cattolici, alla loro repressione.

 

Insieme a questo principio sacro per i protestanti seguì una generale influenza culturale ebraica tra i protestanti più radicali, poiché vedevano la venerazione dei santi come idolatria e ponevano maggiore attenzione sui profeti biblici dell’Antico Testamento, spesso nominando i loro figli Geremia, Zaccaria, Daniele, Sansone (campione, la cui forza era stata donata direttamente da Dio, nella lotta contro i Filistei) e altri.

 

In Inghilterra, protagonista più avanti della nascita dello stato d’Israele, Edoardo VI d’Inghilterra inaugurò una politica tendenzialmente favorevole alla teologia calvinista allontanando la Chiesa anglicana dalla liturgia e dalla dottrina cattolica approvando nel 1549 il Book of Common Prayer; ciò permise ai protestanti continentali come Martin Bucer e Pietro Martire Vermigli d’insegnare nelle prestigiose Università di Cambridge e Oxford e d’infondere un’esegesi biblica che prevedeva un ruolo importante per gli ebrei, convertiti al Cristianesimo, negli ultimi tempi.

 

Le prime versioni della Bibbia approvate dalla monarchia inglese e dalla Chiesa anglicana includevano la Grande Bibbia e la Bibbia dei Vescovi (La Bibbia dei Vescovi in inglese Bishops’ Bible è un’edizione in inglese della Bibbia, pubblicata sotto l’autorità della Chiesa Anglicana nel 1568 e rieditata, con sostanziali modifiche, nel 1572, e nel 1602 costituì la base per la Bibbia di Re Giacomo), tuttavia, un considerevole numero di puritani inglesi e presbiteriani scozzesi consideravano i nuovi testi sacri (insieme all’episcopalianesimo e all’establishment del “protestantesimo dei principi”), in generale, troppo ”romanisti” cioè affini alla Bibbia utilizzata dai cattolici che il Concilio di Trento (1545-1563) stabilì definitivamente come composta da 46 libri dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo Testamento per un totale di 73 libri della Bibbia cattolica.

 

In risposta i dissidenti puritani e presbiteriani emigrarono a Ginevra negli anni Sessanta del Cinquecento sotto il successore di Calvino, Teodoro Beza e svilupparono una traduzione della Bibbia chiamata Bibbia di Ginevra, che conteneva note a piè di pagina in riferimento al Libro dei Romani, sostenendo specificamente che alla fine dei tempi gli ebrei si sarebbero convertiti al Cristianesimo e avrebbero riorientato l’attenzione sulla Palestina come teatro centrale. Questa visione venne ripresa con forza dai puritani inglesi (come Francis Kett, Edmund Bunny, Thomas Draxe, Thomas Brightman, Joseph Mede, William Perkins, Richard Sibbes, Thomas Goodwin, William Strong, William Bridge, Henry Finch, John Owen e Giles Fletcher), presbiteriani scozzesi delle pianure (come George Gillespie, Robert Baillie e Samuel Rutherford) e perfino alcuni protestanti continentali (come Oliger Paulli, Isaac Vossius, Hugo Grotius, Gerhard Vossius e David Blondel).

 

Durante il regno di Elisabetta I Stuart e di suo nipote Giacomo I Stuart, il puritanesimo rimase ai margini della vita politica inglese opponendosi aspramente alla Chiesa anglicana dominata dai laudiani, la fazione che appoggiava le riforme liturgiche dell’arcivescovo William Laud, poi decapitato nel 1645 insieme al re Carlo I (sebbene i presbiteriani, che avevano opinioni molto simili ai puritani, avessero stabilito la Chiesa di Scozia come la più grande “Kirk” in Scozia ispirata al padre fondatore del calvinismo scozzese John Knox).

 

Durante la guerra civile inglese (1642-1651), i puritani riempirono le file dei parlamentari e del New Model Army e sotto la guida di Oliver Cromwell sconfissero i realisti, giustiziarono Carlo I d’Inghilterra e ottennero il completo potere statale, istituendo il Commonwealth d’Inghilterra tra il 1649 e il 1660. A seguito di questi eventi e grazie al contributo, anche di sangue, offerto per la causa parlamentare, la ​​corrente minoritaria del puritanesimo millenarista filosemita arrivò ad avere un’influenza diretta sulla politica così che un certo numero di stretti consiglieri di Cromwell, come John Dury, John Sadler e Hugh Peter, entrarono in contatto con gli ebrei residenti nei Paesi Bassi come Menasseh ben Israel sostenendo il reinsediamento ebraico in Inghilterra (erano stati banditi dal paese nel 1290 da Edoardo I Plantageneto).

 

Sadler, il segretario di Cromwell, sostenne addirittura che gli inglesi erano una delle tribù perdute d’Israele nel suo opuscolo The Rights of the Kingdom (1649) e quindi erano imparentati con gli ebrei, dando inizio all’israelismo britannico. Altri puritani come Jeremiah Burroughs, Peter Bulkley, John Fenwicke e John Cotton, alcuni dei quali vivevano nella colonia della baia del Massachusetts, videro il rientro degli ebrei in Inghilterra come un passo verso il loro eventuale ritorno in Palestina (eventi legati all’escatologia millenarista, che accelererebbe la seconda venuta di Gesù Cristo e quindi il giudizio finale).

 

Johanna ed Ebenezer Cartwright, due battisti che avevano trascorso del tempo ad Amsterdam, sostenevano lo stesso punto di vista e presentarono una petizione al Consiglio di Guerra di Thomas Fairfax nel gennaio 1649 per la riammissione degli ebrei e il loro reinsediamento in Palestina o terra d’Israele: «Questa nazione d’Inghilterra, con gli abitanti dei Paesi Bassi, sarà la prima e la più pronta a trasportare i figli e le figlie d’Israele sulle loro navi nella terra promessa ai loro antenati, Abramo, Isacco e Giacobbe per un’eredità eterna». Bisogna però ricordare che al di là dall’ammissione voluta da Cromwell il sistema giuridico inglese del civil laws manteneva ancora in vigore il bando di Edoardo I, e formalmente l’emancipazione ebraica si ebbe solo nel 1858, momento in cui a Lionel de Rothschild venne concesso di sedere alla Camera dei Comuni dopo che la legge che limitava il giuramento d’ufficio ai cristiani venne cambiata.

 

Una figura determinante per i successivi sviluppi del sionismo cristiano fu il francese Isaac La Peyrère, un calvinista ugonotto proveniente da una famiglia di conversos portoghesi (ebrei sefarditi convertitesi, forzatamente, al Cristianesimo cattolico) considerato da molti studiosi delle scienze religiose il progenitore del sionismo cristiano del XVII secolo che influenzò i riformati di entrambi i lati della Manica. Fu autore della teoria del preadamitismo, una teoria anticipatrice del poligenismo che sostiene che dall’analisi della Bibbia si possa dedurre che prima ancora di Adamo esistessero simultaneamente molte coppie umane. La ​​Peyrère nella sua opera millenarista Du rappel des juifs (1643) scrisse di un ritorno ebraico in Palestina, predisse la costruzione del Terzo Tempio di Salomone e il ruolo nella governance mondiale di Gerusalemme: tutti dovevano dare il loro contributo per favorire la Seconda Venuta del Messia (parusia).

 

La ​​Peyrère seguì da vicino gli sviluppi del regime di Oliver Cromwell (soprattutto i dissidenti riuniti sotto varie denominazioni: Diggers, Levellers, Fith Monarchists) sognando di rovesciare Luigi XIV di Francia e sostituirlo con il principe di Condé (per il quale lavorò come segretario) come parte di un progetto messianico millenarista proto-sionista. Dopo la pubblicazione del libro di La Peyrère, Menasseh Ben Israel, residente ad Amsterdam, informò il suo amico Petrus Serrarius (uno stretto collaboratore di John Dury), dell’importanza delle teorie, mostrando una prima interazione tra gli ebrei del XVII secolo e i cristiani sionisti.

 

Altri millenaristi protestanti continentali entusiasti delle teorie di La Peyrère furono i tedeschi Abraham von Franckenberg (uno studente della Kabbalah) e Paul Felgenhauer (lo stesso Menasseh Ben Israel sarà l’autore di La speranza d’Israele nel 1652). Le suggestioni millenariste portarono Serrarius a sostenere tra i protestanti di Amsterdam il messaggio di Sabbatai Zevi autoproclamatosi Messia, come proclamato da Nathan di Gaza (i suoi seguaci, i Sabbatei, avevano sede nell’Impero Ottomano ma godeva di un sostegno significativo in tutta la diaspora ebraica).

 

Rimossi dal potere nella stessa Inghilterra, i puritani millenaristi che si erano trasferiti in Nord America continuarono ad avere un’eredità culturale più profonda nella società lo stesso vale per gli altri esponenti rimasti in patria come John Cotton o Growth Mather, uno dei primi presidenti dell’Università di Harvard, che fu un forte sostenitore della restaurazione degli ebrei in Palestina (autore di numerose opere, la più notevole a questo riguardo fu Il mistero della salvezza d’Israele, 1669). Anche il puritano Roger Williams, sostenitore della libertà religiosa (anche per gli ebrei) nella colonia di Rhode Island da lui fondata, è stato citato come proto-sionista nei discorsi dei successivi leader sionisti ebrei come Stephen S. Wise fondatore nel 1909 della National Association for the Advancement of Colored People, a causa del suo commento secondo cui “ho desiderato ardentemente qualche commercio con gli stessi ebrei, per la cui dura misura temo che le nazioni e l’Inghilterra abbiano ancora un conto da pagare”.

 

Ai richiami della parusia e del ritorno degli ebrei in Terra Santa non rimasero estranei nemmeno i filosofi (all’epoca la filosofia naturale implicava conoscenze matematiche tipiche dello scienziato moderno) protagonisti della rivoluzione scientifica del XVII secolo: menziono, tra i tanti, solo Sir Isaac Newton e Baruch Spinoza. Newton,propugnatore d’idee religiose molto radicali (antitrinitario, sostenitore dell’unitarianismo e negatore dell’esistenza dei demoni) dedicò anni della sua vita allo studio della teologia e dell’alchimia (inclusa la Kabbalah; la biblioteca personale di Newton fu acquistata da un altro grande personaggio, l’economista John Maynard Keynes appassionato di esoterismo) e predisse un ritorno degli ebrei in Palestina propedeutico alla ricostruzione di Gerusalemme alla fine del XIX secolo e l’erezione del Terzo Tempio nel XX secolo o nel XXI secolo, che porterà alla fine del mondo non più tardi del 2060.

 

Gli scritti di Newton ​​furono imbarazzanti e pericolosi (l’antitrinitarismo e il cattolicesimo non erano contemplati dell’Atto di Tolleranza del 1689, ma bisognerà attendere il 1828 per i primi e il 1829 per i secondi) per i suoi sostenitori che cercarono di sostenerlo come uomo di ragione e di scienza contro Leibniz (per quest’ultimo, a differenza di Newton, la potenza immessa dal Dio nell’Universo è infinita e non c’è modo che si esaurisca nel tempo) e mentre l’Università di Cambridge  erediterà i suoi documenti scientifici eviterà di conservare quelli privati (molti di questi, raccolti da Abraham Yahuda, riposano ora nella Biblioteca Nazionale d’Israele dal 1967).

Nel 1698 con l’ascesa degli Hannover sul trono della Gran Bretagna e il diffondersi delle idee illuministe gran parte dell’élite del XVIII secolo adottò come modello culturale il filellenismo, guardando indietro alla cultura e alle filosofie del mondo classico come ispirazione per l’età georgiana (fu un periodo della storia dell’Inghilterra, di norma definito come il periodo che va dal regno di Giorgio I a quello di Giorgio IV, fra il 1714 e il 1830 includendo anche il periodo della Reggenza di Giorgio IV come Principe di Galles durante l’infermità di suo padre Giorgio III) piuttosto che intrattenere fantasie millenariste basate sull’Antico Testamento ebraico (malgrado gli ebrei stessi godessero di una significativa tolleranza nell’impero britannico ).

 

A partire dagli anni Trenta del Settecento stava lentamente crescendo un movimento religioso che nel corso del tempo avrebbe scatenato una seconda ondata di sionismo protestante: ciò fu accelerato in Germania dal Pietismo fondato da Philipp Spener (1635-1705) e basato su una visione mistica e spesso millenarista del luteranesimo che profetizzava la “conversione degli ebrei e la caduta del papato come preludio del trionfo della Chiesa”. Uno dei seguaci di Spener, Nicolaus Zinzendorf, diffuse questa dottrina nella Chiesa della Moravia, collegandola al ritorno degli ebrei in Palestina modificando la liturgia della Moravia per includere una preghiera “per restaurare la tribù di Giuda a suo tempo e benedire le sue primizie tra noi”.

 

John e Charles Wesley, primi leader del Metodismo ispirandosi ai pietisti e ai Moravi di Zinzendorf promossero un ritorno degli ebrei in Palestina; anche il battista inglese John Gill, che si muoveva in ambienti simili a quelli dei Wesley, scrisse opere che esprimevano punti di vista simili. Nel 1771, il ministro evangelico John Eyre, fondatore dell’Evangelical Magazine e della London Missionary Society, stava promuovendo una versione più sviluppata di queste opinioni con le sue Osservazioni sulle profezie relative alla restaurazione degli ebrei.

 

Sempre in Inghilterra la questione del ritorno degli ebrei in terra Santa fu perorata dal VII conte di Shaftesbury Anthony Ashley-Cooper, influenzato dall’anglicanesimo evangelico e dalle opinioni del suo professore Edward Bickersteth (1786-1850), fu uno dei primi politici britannici a sostenere seriamente il ritorno degli ebrei nella Palestina ottomana come politica ufficiale. La conquista della Grande Siria nel 1831 da parte di Muhammad Ali d’Egitto cambiò le condizioni in cui operava la politica di potenza europea nel Vicino Oriente. Come conseguenza di questo cambiamento, Shaftesbury riuscì a persuadere il ministro degli Esteri Palmerston a inviare un console britannico, James Finn, a Gerusalemme nel 1838.

 

Shaftesbury divenne presidente della London Society for Promoting Christianity Amongst the Jewish, di cui Finn era un membro di spicco. Fervente cristiano e leale alla corona inglese, Shaftesbury sosteneva che un ritorno degli ebrei avrebbe portato vantaggi politici ed economici alla Gran Bretagna senza fornire un’analisi politica ed economica ma affermando semplicemente che assecondando la volontà di Dio la corona inglese ne avrebbe tratto dei benefici. Nel gennaio 1839, Shaftesbury pubblicò un articolo sulla Quarterly Review, che, sebbene inizialmente commentasse le Lettere su Egitto, Edom e Terra Santa del 1838 di Lord Lindsay, fornì la prima proposta per mano di un importante politico per reinsediare gli ebrei in Palestina.

 

Il 28 settembre 1791, durante la prima fase della rivoluzione, l’Assemblea Nazionale Costituente di Francia emancipò la sua popolazione ebraica. I 40.000 ebrei che vivevano in Francia al tempo dell’emancipazione, ottennero una parificazione completa quali cittadini, furono ammessi a tutte le cariche ed ebbero il diritto di voto conformemente alle leggi, sebbene con alcuni problemi; dovettero confrontarsi con le opportunità e sfide offerte dall’emancipazione. La parità civica da loro ottenuta divenne un modello per gli altri ebrei europei. Il provvedimento fu sostenuto caldamente da diversi politici: Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau, il vescovo costituzionale Abbé Henri Grégoire, Maximilien de Robespierre, Adrien Duport, Antoine Barnave e il conte Stanislas de Clermont-Tonnerre, sostenitore come molti dell’assimilazione pubblica della “nazione ebraica”, e della libertà privata di praticare il culto, atteggiamento diffuso nel sentimento laicista illuminista. Grégoire e Robespierre si distinsero in particolare per il loro favore verso gli ebrei.

 

Durante la campagna Egitto-Siria delle guerre rivoluzionarie francesi, Bonaparte invitò “tutti gli ebrei dell’Asia e dell’Africa a riunirsi sotto la sua bandiera per ristabilire l’antica Gerusalemme”. Bonaparte figlio della Rivoluzione era laico e l’ideale del sionismo, nel suo disegno politico,aveva una finalità pragmatica; secondi alcuni storici la strategia napoleonica in sostegno del sionismo potrebbe aver avuto origine da Thomas Corbet (1773-1804), un emigrato protestante anglo-irlandese che, come membro del partito La Società repubblicana degli Irlandesi Uniti, era un esponente del movimento giacobino, impegnato in attività rivoluzionarie contro gli inglesi e prestò servizio nell’esercito francese.

 

Nel febbraio 1790 scrisse una lettera al Direttorio francese, allora sotto la guida del mecenate di Napoleone Paul Barras, nella lettera affermava: «Ti raccomando, Napoleone, d’invitare il popolo ebraico a unirsi alla tua conquista in Oriente, alla tua missione di conquistare la terra d’Israele (…) Le loro ricchezze non li consolano della loro difficoltà. Attendono con impazienza l’epoca del loro ristabilimento come nazione».

 

La dottoressa Milka Levy-Rubin, curatrice della Biblioteca Nazionale d’Israele, ha attribuito la motivazione di Corbet a un sionismo protestante basato su temi premillenaristi, secondo cui la Seconda Venuta di Cristo si verificherà prima del regno millenario, il quale è un regno letterale di 1.000 anni.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]