sionismo cristiano
SULLe origini escatologiche D'UN
conflitto / PARTE I
di Enrico Targa
Il sionismo cristiano è un’ideologia
che, in un contesto cristiano,
propugna il ritorno del popolo
ebraico in Terra Santa. Allo stesso
modo, si ritiene che la fondazione
dello Stato di Israele nel 1948
fosse in conformità con la profezia
biblica: che il ristabilimento della
sovranità ebraica nel Levante – il
“raduno escatologico di Israele” – è
un prerequisito per la seconda
venuta di Gesù Cristo.
Il termine cominciò a essere
utilizzato a metà del XX secolo, al
posto del restaurazionismo
cristiano, quando i sostenitori
dell’ideologia si radunarono insieme
ai sionisti a sostegno di una patria
nazionale ebraica. La difesa da
parte dei cristiani di una
restaurazione ebraica sorse dopo la
Riforma e affonda le sue radici
nell’Inghilterra del XVII secolo. La
storica israeliana contemporanea
Anita Shapira suggerisce che i
cristiani evangelici sionisti
inglesi “trasmisero questa nozione
ai circoli ebraici” intorno al 1840,
mentre il nazionalismo ebraico
all’inizio del XIX secolo fu
ampiamente accolto con ostilità da
parte degli ebrei britannici (gli
ideali cristiani filo-sionisti sono
stati generalmente comuni tra i
protestanti sin dalla Riforma).
Pur sostenendo un ritorno di massa
degli ebrei in Terra d’Israele, il
sionismo cristiano contemporaneo
presente nei circoli evangelici
soprattutto statunitensi afferma
un’idea parallela secondo cui i
rimpatriati dovrebbero essere
incoraggiati a rifiutare l’ebraismo
e ad adottare il Cristianesimo come
mezzo per adempiere alle profezie
bibliche. Comunque gli stessi
sondaggi suggeriscono una tendenza a
una diffusa sfiducia tra gli ebrei
nei confronti delle motivazioni dei
sionisti cristiani per quanto
riguarda il loro particolare
sentimento filo-ebraico e il loro
sostegno allo Stato ebraico
mostrando ancora una volta come
negli USA le motivazioni teologiche
vengono influenzate e patrocinate da
motivazioni di chiara matrice
geopolitica.
In ogni caso è innegabile che le
origini del sionismo cristiano sono
rintracciabili nel millenarismo
calvinista cinque-seicentesco: per
avere un esempio basta citare
l’opera di Thomas Brightman, un
puritano inglese, autore di un’opera
intitolata Shall They Return to
Jerusalem Again? del 1615 (una
delle prime opere restaurazioniste)
ma la difesa della restaurazione
della Palestina come patria
nazionale per gli ebrei fu sentita
per la prima volta tra gruppi
cristiani negli anni Ottanta del
Cinquecento in seguito alla Riforma
protestante.
Bisogna però fare un’ulteriore passo
indietro: i primi capi protestanti,
tra cui Martin Lutero e Giovanni
Calvino, non menzionarono alcuna
visione escatologica speciale che
includesse il ritorno degli ebrei in
Palestina (convertiti al
Cristianesimo o altro). Più in
generale, Lutero aveva sperato che
gli ebrei si convertissero al
Cristianesimo riformato, ma in
seguito denunciò duramente gli ebrei
nell’opera Degli ebrei e delle
loro menzogne del 1543. Seguendo
la dottrina della Chiesa cattolica e
della Chiesa ortodossa orientale,
Lutero e Calvino consideravano la
Chiesa cristiana come l’”Israele
spirituale” una dottrina nota come
la Teologia della sostituzione o
supersessionismo è la dottrina
cristiana, secondo cui la nuova
alleanza stabilita da Gesù avrebbe
sostituito l’antica alleanza
stabilita con Mosè e perciò oggi i
cristiani sono il vero popolo di
Dio. A essa si oppone la dottrina
secondo cui l’antica alleanza
resterebbe ancora in vigore per gli
ebrei.
Nella seconda metà del Cinquecento
l’attenzione protestante sulla
sola scriptura e la più ampia
distribuzione della Bibbia in tutta
Europa nelle lingue vernacolari,
tuttavia, permise ai vari
protestanti radicali di interpretare
le scritture in modo completamente
autonomo, in un modo che non
rifletteva del tutto né
l’atteggiamento cattolico medievale
né la tradizione o le opinioni dei
primi leader protestanti stessi.
Pensiamo alle sette evangeliche che
presero il potere a Münster creando
la “Nuova Sion” dal 1534 al 1535 o
le atrocità commesse dai
Batenburger i quali ritenendosi
gli eletti da Dio presero possesso
di uomini e terre, in entrambi i
casi i luterani e le Chiese
ufficiali riformate presero le
distanze e in alcuni casi
parteciparono, insieme ai cattolici,
alla loro repressione.
Insieme a questo principio sacro per
i protestanti seguì una generale
influenza culturale ebraica tra i
protestanti più radicali, poiché
vedevano la venerazione dei santi
come idolatria e ponevano maggiore
attenzione sui profeti biblici
dell’Antico Testamento, spesso
nominando i loro figli Geremia,
Zaccaria, Daniele, Sansone
(campione, la cui forza era stata
donata direttamente da Dio, nella
lotta contro i Filistei) e altri.
In Inghilterra, protagonista più
avanti della nascita dello stato
d’Israele, Edoardo VI d’Inghilterra
inaugurò una politica
tendenzialmente favorevole alla
teologia calvinista allontanando la
Chiesa anglicana dalla liturgia e
dalla dottrina cattolica approvando
nel 1549 il Book of Common Prayer;
ciò permise ai protestanti
continentali come Martin Bucer e
Pietro Martire Vermigli d’insegnare
nelle prestigiose Università di
Cambridge e Oxford e d’infondere
un’esegesi biblica che prevedeva un
ruolo importante per gli ebrei,
convertiti al Cristianesimo, negli
ultimi tempi.
Le prime versioni della Bibbia
approvate dalla monarchia inglese e
dalla Chiesa anglicana includevano
la Grande Bibbia e la Bibbia dei
Vescovi (La Bibbia dei Vescovi in
inglese Bishops’ Bible è
un’edizione in inglese della Bibbia,
pubblicata sotto l’autorità della
Chiesa Anglicana nel 1568 e
rieditata, con sostanziali
modifiche, nel 1572, e nel 1602
costituì la base per la Bibbia di Re
Giacomo), tuttavia, un considerevole
numero di puritani inglesi e
presbiteriani scozzesi consideravano
i nuovi testi sacri (insieme all’episcopalianesimo
e all’establishment del
“protestantesimo dei principi”), in
generale, troppo ”romanisti” cioè
affini alla Bibbia utilizzata dai
cattolici che il Concilio di Trento
(1545-1563) stabilì definitivamente
come composta da 46 libri
dell’Antico Testamento e 27 del
Nuovo Testamento per un totale di 73
libri della Bibbia cattolica.
In risposta i dissidenti puritani e
presbiteriani emigrarono a Ginevra
negli anni Sessanta del Cinquecento
sotto il successore di Calvino,
Teodoro Beza e svilupparono una
traduzione della Bibbia chiamata
Bibbia di Ginevra, che conteneva
note a piè di pagina in riferimento
al Libro dei Romani, sostenendo
specificamente che alla fine dei
tempi gli ebrei si sarebbero
convertiti al Cristianesimo e
avrebbero riorientato l’attenzione
sulla Palestina come teatro
centrale. Questa visione venne
ripresa con forza dai puritani
inglesi (come Francis Kett, Edmund
Bunny, Thomas Draxe, Thomas
Brightman, Joseph Mede, William
Perkins, Richard Sibbes, Thomas
Goodwin, William Strong, William
Bridge, Henry Finch, John Owen e
Giles Fletcher), presbiteriani
scozzesi delle pianure (come George
Gillespie, Robert Baillie e Samuel
Rutherford) e perfino alcuni
protestanti continentali (come
Oliger Paulli, Isaac Vossius, Hugo
Grotius, Gerhard Vossius e David
Blondel).
Durante il regno di Elisabetta I
Stuart e di suo nipote Giacomo I
Stuart, il puritanesimo rimase ai
margini della vita politica inglese
opponendosi aspramente alla Chiesa
anglicana dominata dai laudiani, la
fazione che appoggiava le riforme
liturgiche dell’arcivescovo William
Laud, poi decapitato nel 1645
insieme al re Carlo I (sebbene i
presbiteriani, che avevano opinioni
molto simili ai puritani, avessero
stabilito la Chiesa di Scozia come
la più grande “Kirk” in Scozia
ispirata al padre fondatore del
calvinismo scozzese John Knox).
Durante la guerra civile inglese
(1642-1651), i puritani riempirono
le file dei parlamentari e del
New Model Army e sotto la guida
di Oliver Cromwell sconfissero i
realisti, giustiziarono Carlo I
d’Inghilterra e ottennero il
completo potere statale, istituendo
il Commonwealth d’Inghilterra tra il
1649 e il 1660. A seguito di questi
eventi e grazie al contributo, anche
di sangue, offerto per la causa
parlamentare, la corrente
minoritaria del puritanesimo
millenarista filosemita arrivò ad
avere un’influenza diretta sulla
politica così che un certo numero di
stretti consiglieri di Cromwell,
come John Dury, John Sadler e Hugh
Peter, entrarono in contatto con gli
ebrei residenti nei Paesi Bassi come
Menasseh ben Israel sostenendo il
reinsediamento ebraico in
Inghilterra (erano stati banditi dal
paese nel 1290 da Edoardo I
Plantageneto).
Sadler, il segretario di Cromwell,
sostenne addirittura che gli inglesi
erano una delle tribù perdute
d’Israele nel suo opuscolo The
Rights of the Kingdom (1649) e
quindi erano imparentati con gli
ebrei, dando inizio all’israelismo
britannico. Altri puritani come
Jeremiah Burroughs, Peter Bulkley,
John Fenwicke e John Cotton, alcuni
dei quali vivevano nella colonia
della baia del Massachusetts, videro
il rientro degli ebrei in
Inghilterra come un passo verso il
loro eventuale ritorno in Palestina
(eventi legati all’escatologia
millenarista, che accelererebbe la
seconda venuta di Gesù Cristo e
quindi il giudizio finale).
Johanna ed Ebenezer Cartwright, due
battisti che avevano trascorso del
tempo ad Amsterdam, sostenevano lo
stesso punto di vista e presentarono
una petizione al Consiglio di Guerra
di Thomas Fairfax nel gennaio 1649
per la riammissione degli ebrei e il
loro reinsediamento in Palestina o
terra d’Israele: «Questa nazione
d’Inghilterra, con gli abitanti dei
Paesi Bassi, sarà la prima e la più
pronta a trasportare i figli e le
figlie d’Israele sulle loro navi
nella terra promessa ai loro
antenati, Abramo, Isacco e Giacobbe
per un’eredità eterna». Bisogna
però ricordare che al di là
dall’ammissione voluta da Cromwell
il sistema giuridico inglese del
civil laws manteneva ancora in
vigore il bando di Edoardo I, e
formalmente l’emancipazione ebraica
si ebbe solo nel 1858, momento in
cui a Lionel de Rothschild venne
concesso di sedere alla Camera dei
Comuni dopo che la legge che
limitava il giuramento d’ufficio ai
cristiani venne cambiata.
Una figura determinante per i
successivi sviluppi del sionismo
cristiano fu il francese Isaac La
Peyrère, un calvinista ugonotto
proveniente da una famiglia di
conversos portoghesi (ebrei
sefarditi convertitesi,
forzatamente, al Cristianesimo
cattolico) considerato da molti
studiosi delle scienze religiose il
progenitore del sionismo cristiano
del XVII secolo che influenzò i
riformati di entrambi i lati della
Manica. Fu autore della teoria del
preadamitismo, una teoria
anticipatrice del poligenismo che
sostiene che dall’analisi della
Bibbia si possa dedurre che prima
ancora di Adamo esistessero
simultaneamente molte coppie umane.
La Peyrère nella sua opera
millenarista Du rappel des juifs
(1643) scrisse di un ritorno ebraico
in Palestina, predisse la
costruzione del Terzo Tempio di
Salomone e il ruolo nella
governance mondiale di
Gerusalemme: tutti dovevano dare il
loro contributo per favorire la
Seconda Venuta del Messia (parusia).
La Peyrère seguì da vicino gli
sviluppi del regime di Oliver
Cromwell (soprattutto i dissidenti
riuniti sotto varie denominazioni:
Diggers, Levellers,
Fith Monarchists) sognando di
rovesciare Luigi XIV di Francia e
sostituirlo con il principe di Condé
(per il quale lavorò come
segretario) come parte di un
progetto messianico millenarista
proto-sionista. Dopo la
pubblicazione del libro di La
Peyrère, Menasseh Ben Israel,
residente ad Amsterdam, informò il
suo amico Petrus Serrarius (uno
stretto collaboratore di John Dury),
dell’importanza delle teorie,
mostrando una prima interazione tra
gli ebrei del XVII secolo e i
cristiani sionisti.
Altri millenaristi protestanti
continentali entusiasti delle teorie
di La Peyrère furono i tedeschi
Abraham von Franckenberg (uno
studente della Kabbalah) e Paul
Felgenhauer (lo stesso Menasseh Ben
Israel sarà l’autore di La
speranza d’Israele nel 1652). Le
suggestioni millenariste portarono
Serrarius a sostenere tra i
protestanti di Amsterdam il
messaggio di Sabbatai Zevi
autoproclamatosi Messia, come
proclamato da Nathan di Gaza (i suoi
seguaci, i Sabbatei, avevano sede
nell’Impero Ottomano ma godeva di un
sostegno significativo in tutta la
diaspora ebraica).
Rimossi dal potere nella stessa
Inghilterra, i puritani millenaristi
che si erano trasferiti in Nord
America continuarono ad avere
un’eredità culturale più profonda
nella società lo stesso vale per gli
altri esponenti rimasti in patria
come John Cotton o Growth Mather,
uno dei primi presidenti
dell’Università di Harvard, che fu
un forte sostenitore della
restaurazione degli ebrei in
Palestina (autore di numerose opere,
la più notevole a questo riguardo fu
Il mistero della salvezza
d’Israele, 1669). Anche il puritano
Roger Williams, sostenitore della
libertà religiosa (anche per gli
ebrei) nella colonia di Rhode Island
da lui fondata, è stato citato come
proto-sionista nei discorsi dei
successivi leader sionisti ebrei
come Stephen S. Wise fondatore nel
1909 della National Association
for the Advancement of Colored
People, a causa del suo commento
secondo cui “ho desiderato
ardentemente qualche commercio con
gli stessi ebrei, per la cui dura
misura temo che le nazioni e
l’Inghilterra abbiano ancora un
conto da pagare”.
Ai richiami della parusia e
del ritorno degli ebrei in Terra
Santa non rimasero estranei nemmeno
i filosofi (all’epoca la filosofia
naturale implicava conoscenze
matematiche tipiche dello scienziato
moderno) protagonisti della
rivoluzione scientifica del XVII
secolo: menziono, tra i tanti, solo
Sir Isaac Newton e Baruch Spinoza.
Newton,propugnatore d’idee religiose
molto radicali (antitrinitario,
sostenitore dell’unitarianismo e
negatore dell’esistenza dei demoni)
dedicò anni della sua vita allo
studio della teologia e
dell’alchimia (inclusa la Kabbalah;
la biblioteca personale di Newton fu
acquistata da un altro grande
personaggio, l’economista John
Maynard Keynes appassionato di
esoterismo) e predisse un ritorno
degli ebrei in Palestina
propedeutico alla ricostruzione di
Gerusalemme alla fine del XIX secolo
e l’erezione del Terzo Tempio nel XX
secolo o nel XXI secolo, che porterà
alla fine del mondo non più tardi
del 2060.
Gli scritti di Newton furono
imbarazzanti e pericolosi
(l’antitrinitarismo e il
cattolicesimo non erano contemplati
dell’Atto di Tolleranza del 1689, ma
bisognerà attendere il 1828 per i
primi e il 1829 per i secondi) per i
suoi sostenitori che cercarono di
sostenerlo come uomo di ragione e di
scienza contro Leibniz (per
quest’ultimo, a differenza di
Newton, la potenza immessa dal Dio
nell’Universo è infinita e non c’è
modo che si esaurisca nel tempo) e
mentre l’Università di Cambridge
erediterà i suoi documenti
scientifici eviterà di conservare
quelli privati (molti di questi,
raccolti da Abraham Yahuda, riposano
ora nella Biblioteca Nazionale
d’Israele dal 1967).
Nel 1698 con l’ascesa degli Hannover
sul trono della Gran Bretagna e il
diffondersi delle idee illuministe
gran parte dell’élite del XVIII
secolo adottò come modello culturale
il filellenismo, guardando indietro
alla cultura e alle filosofie del
mondo classico come ispirazione per
l’età georgiana (fu un periodo della
storia dell’Inghilterra, di norma
definito come il periodo che va dal
regno di Giorgio I a quello di
Giorgio IV, fra il 1714 e il 1830
includendo anche il periodo della
Reggenza di Giorgio IV come Principe
di Galles durante l’infermità di suo
padre Giorgio III) piuttosto che
intrattenere fantasie millenariste
basate sull’Antico Testamento
ebraico (malgrado gli ebrei stessi
godessero di una significativa
tolleranza nell’impero britannico ).
A partire dagli anni Trenta del
Settecento stava lentamente
crescendo un movimento religioso che
nel corso del tempo avrebbe
scatenato una seconda ondata di
sionismo protestante: ciò fu
accelerato in Germania dal Pietismo
fondato da Philipp Spener
(1635-1705) e basato su una visione
mistica e spesso millenarista del
luteranesimo che profetizzava la
“conversione degli ebrei e la caduta
del papato come preludio del trionfo
della Chiesa”. Uno dei seguaci di
Spener, Nicolaus Zinzendorf, diffuse
questa dottrina nella Chiesa della
Moravia, collegandola al ritorno
degli ebrei in Palestina modificando
la liturgia della Moravia per
includere una preghiera “per
restaurare la tribù di Giuda a suo
tempo e benedire le sue primizie tra
noi”.
John e Charles Wesley, primi leader
del Metodismo ispirandosi ai
pietisti e ai Moravi di Zinzendorf
promossero un ritorno degli ebrei in
Palestina; anche il battista inglese
John Gill, che si muoveva in
ambienti simili a quelli dei Wesley,
scrisse opere che esprimevano punti
di vista simili. Nel 1771, il
ministro evangelico John Eyre,
fondatore dell’Evangelical
Magazine e della London
Missionary Society, stava
promuovendo una versione più
sviluppata di queste opinioni con le
sue Osservazioni sulle profezie
relative alla restaurazione degli
ebrei.
Sempre in Inghilterra la questione
del ritorno degli ebrei in terra
Santa fu perorata dal VII conte di
Shaftesbury Anthony Ashley-Cooper,
influenzato dall’anglicanesimo
evangelico e dalle opinioni del suo
professore Edward Bickersteth
(1786-1850), fu uno dei primi
politici britannici a sostenere
seriamente il ritorno degli ebrei
nella Palestina ottomana come
politica ufficiale. La conquista
della Grande Siria nel 1831 da parte
di Muhammad Ali d’Egitto cambiò le
condizioni in cui operava la
politica di potenza europea nel
Vicino Oriente. Come conseguenza di
questo cambiamento, Shaftesbury
riuscì a persuadere il ministro
degli Esteri Palmerston a inviare un
console britannico, James Finn, a
Gerusalemme nel 1838.
Shaftesbury divenne presidente della
London Society for Promoting
Christianity Amongst the Jewish,
di cui Finn era un membro di spicco.
Fervente cristiano e leale alla
corona inglese, Shaftesbury
sosteneva che un ritorno degli ebrei
avrebbe portato vantaggi politici ed
economici alla Gran Bretagna senza
fornire un’analisi politica ed
economica ma affermando
semplicemente che assecondando la
volontà di Dio la corona inglese ne
avrebbe tratto dei benefici. Nel
gennaio 1839, Shaftesbury pubblicò
un articolo sulla Quarterly
Review, che, sebbene
inizialmente commentasse le
Lettere su Egitto, Edom e Terra
Santa del 1838 di Lord Lindsay,
fornì la prima proposta per mano di
un importante politico per
reinsediare gli ebrei in Palestina.
Il 28 settembre 1791, durante la
prima fase della rivoluzione,
l’Assemblea Nazionale Costituente di
Francia emancipò la sua popolazione
ebraica. I 40.000 ebrei che vivevano
in Francia al tempo
dell’emancipazione, ottennero una
parificazione completa quali
cittadini, furono ammessi a tutte le
cariche ed ebbero il diritto di voto
conformemente alle leggi, sebbene
con alcuni problemi; dovettero
confrontarsi con le opportunità e
sfide offerte dall’emancipazione. La
parità civica da loro ottenuta
divenne un modello per gli altri
ebrei europei. Il provvedimento fu
sostenuto caldamente da diversi
politici: Honoré Gabriel Riqueti de
Mirabeau, il vescovo costituzionale
Abbé Henri Grégoire, Maximilien de
Robespierre, Adrien Duport, Antoine
Barnave e il conte Stanislas de
Clermont-Tonnerre, sostenitore come
molti dell’assimilazione pubblica
della “nazione ebraica”, e della
libertà privata di praticare il
culto, atteggiamento diffuso nel
sentimento laicista illuminista.
Grégoire e Robespierre si distinsero
in particolare per il loro favore
verso gli ebrei.
Durante la campagna Egitto-Siria
delle guerre rivoluzionarie
francesi, Bonaparte invitò “tutti
gli ebrei dell’Asia e dell’Africa a
riunirsi sotto la sua bandiera per
ristabilire l’antica Gerusalemme”.
Bonaparte figlio della Rivoluzione
era laico e l’ideale del sionismo,
nel suo disegno politico,aveva una
finalità pragmatica; secondi alcuni
storici la strategia napoleonica in
sostegno del sionismo potrebbe aver
avuto origine da Thomas Corbet
(1773-1804), un emigrato protestante
anglo-irlandese che, come membro del
partito La Società repubblicana
degli Irlandesi Uniti, era un
esponente del movimento giacobino,
impegnato in attività rivoluzionarie
contro gli inglesi e prestò servizio
nell’esercito francese.
Nel febbraio 1790 scrisse una
lettera al Direttorio francese,
allora sotto la guida del mecenate
di Napoleone Paul Barras, nella
lettera affermava: «Ti
raccomando, Napoleone, d’invitare il
popolo ebraico a unirsi alla tua
conquista in Oriente, alla tua
missione di conquistare la terra
d’Israele (…) Le loro ricchezze non
li consolano della loro difficoltà.
Attendono con impazienza l’epoca del
loro ristabilimento come nazione».
La dottoressa Milka Levy-Rubin,
curatrice della Biblioteca Nazionale
d’Israele, ha attribuito la
motivazione di Corbet a un sionismo
protestante basato su temi
premillenaristi, secondo cui la
Seconda Venuta di Cristo si
verificherà prima del regno
millenario, il quale è un regno
letterale di 1.000 anni.