N. 132 - Dicembre 2018
(CLXIII)
SUI GOVERNI DEL REGNO D’ITALIA
Parte
II -
LA
SINISTRA
STORICA
di
Raffaele
Pisani
Già
nel
Parlamento
subalpino
vi
erano
alcuni
esponenti
di
una
sinistra
moderata
che
si
differenziava
dalla
maggioranza
di
centro-destra.
Urbano
Rattazzi
è
certamente
l’esponente
più
famoso
e il
suo
connubio
con
Cavour
permise
a
quest’ultimo
di
operare
agevolmente
nella
sua
azione
di
governo,
attuando
una
serie
di
impegnative
riforme.
Vi
era
anche
una
sinistra
rivoluzionaria
e
repubblicana
che
faceva
riferimento
a
Mazzini
e a
Garibaldi
che,
delusa
dagli
avvenimenti
del
1848-49
si
stava
parzialmente
orientando
verso
altre
prospettive.
Con
l’unificazione
si
face
avanti
una
giovane
sinistra
che
vedeva
il
Risorgimento
come
un
evento
ormai
concluso
ed
era
molto
attenta
allo
sviluppo
economico
che
cominciava
a
delinearsi.
Non
era
un
vero
e
proprio
partito,
come
non
lo
era
la
destra,
ad
entrambe
mancava
un
programma
ideologico
definibile
come
quello
dei
partiti
tradizionali
del
Novecento.
Si
trattava
piuttosto
di
gruppi
di
interesse
che
miravano
a
una
certa
linea
politica.
La
base
sociale
della
sinistra
era
pur
sempre
la
borghesia,
aperta
verso
il
basso
al
ceto
delle
professioni.
Nel
1876,
dopo
la
messa
in
minoranza
del
governo
Minghetti
sulla
questione
della
gestione
statale
delle
ferrovie,
il
re
nominò
primo
ministro
Agostino
Depretis,
che
governerà,
salvo
due
brevi
interruzioni
con
Cairoli,
fino
al
1887,
anno
della
morte.
La
destra
era
caduta
per
contrasti
interni
e la
sinistra
cominciò
a
governare
ancor
prima
che
il
corpo
elettorale
le
desse
ragione,
come
effettivamente
avvenne
con
le
elezioni
che
si
svolsero
alla
fine
dello
stesso
1876.
Abbiamo
già
detto
che
questa
sinistra
di
governo
era
molto
diversa
da
quella
radicale.
Ciò
contribuì
a
creare
una
situazione
nella
quale
si
attenuavano
le
differenze
della
destra
e
della
sinistra
di
governo,
anche
con
passaggi
significativi
da
una
parte
all’altra,
mentre
rimanevano
ininfluenti
le
frange
estreme
reazionarie
o
rivoluzionarie.
Il
fenomeno,
definito
con
il
termine
di
trasformismo,
portò
quindi
a
governi
con
solide
maggioranze
parlamentari,
ma
prive
di
effettiva
opposizione.
L’istruzione
pubblica
e
l’allargamento
della
base
elettorale
sono
obiettivi
strettamente
correlati
e i
governi
della
sinistra
cercarono
di
attuarli
entrambi.
Nel
1877
venne
promulgata
la
legge
Coppino
con
la
quale
si
ribadiva
l’obbligatorietà
della
scuola
elementare,
già
prevista
peraltro
nella
precedente
legislazione,
prevedendo
anche,
questa
è
una
novità,
delle
sanzioni
per
gli
inadempienti.
È
pur
vero
che
i
comuni
dovevano
istituire
e
gestire
le
scuole
elementari,
compatibilmente
con
le
risorse
locali.
In
certi
luoghi,
oltre
alle
risorse,
mancava
proprio
la
sensibilità
verso
il
problema
dell’istruzione,
alcuni
notabili
la
ritenevano
addirittura
dannosa,
cionondimeno
la
scolarità
aumentò
nel
corso
degli
ultimi
decenni
dell’Ottocento,
pur
con
grandi
differenze
tra
Nord
e
Sud
e
tra
città
e
zone
rurali.
Il
cittadino
istruito
poteva
partecipare
alla
vita
politica,
in
primo
luogo
con
il
voto.
Con
la
nuova
legge
elettorale
del
1882,
diminuiva
il
requisito
del
censo
(da
40 a
20
lire
di
imposte
annue
pagate)
e
rendeva
possibile
il
voto,
indipendentemente
dalla
contribuzione
fiscale,
a
chi
aveva
conseguito
la
licenza
elementare
o
comunque
dimostrava
di
saper
leggere
e
scrivere.
In
tal
modo
il
corpo
elettorale
raggiunse
il
7%
della
popolazione,
un
modesto
passo
in
avanti
verso
il
sistema
democratico.
La
contestuale
introduzione
dei
collegi
plurinominali
aveva
lo
scopo
di
combattere
gli
interessi
personali
che
inevitabilmente
si
verificavano
tra
un
candidato
unico
e il
suo
ristretto
collegio
elettorale:
in
questo
modo
venne
ridotto
drasticamente
il
numero
dei
collegi.
La
politica
economica
della
sinistra
comportò
notevoli
cambiamenti
che
porteranno
all’abbandono
del
sistema
liberista
e
alla
nascita
dell’industria,
che
si
potrà
così
avvalere
del
protezionismo
statale.
La
situazione
internazionale
rendeva
possibile
l’afflusso
di
derrate
alimentari
a
basso
costo,
specie
cereali,
e
questo
metteva
in
difficoltà
l’agricoltura,
in
particolare
quella
del
Sud,
con
il
latifondo
diffuso
e la
coltivazione
delle
colture
di
pregio
ancora
poco
sviluppata.
Se
già
alla
fine
degli
anni
Settanta
si
cominciarono
ad
attuare
delle
misure
protezionistiche,
sarà
con
la
Tariffa
del
1887,
che
l’Italia
entrerà
nel
pieno
del
sistema
protezionistico,
con
un
innegabile
vantaggio
immediato
per
la
nascente
industria,
ma
con
ripercussioni
negative
per
la
popolazione.
Il
protezionismo
incise
inevitabilmente
nei
rapporti
internazionali
e,
per
quanto
ci
riguarda,
furono
soprattutto
le
relazioni
con
la
Francia
a
subire
un
deterioramento
fino
a
sfociare
in
una
guerra
commerciale.
Peggiorò
notevolmente
la
vita
delle
popolazioni
di
vaste
aree,
dal
Nord-Est,
al
Centro
al
Sud
d’Italia
e si
sviluppò
un
fortissimo
fenomeno
migratorio,
verso
il
Nord
Europa
e
verso
le
Americhe.
I
contrasti
commerciali
e
l’ulteriore
espansione
francese
nel
Mediterraneo
spinsero
l’Italia
nella
Triplice
Alleanza,
con
Germania
e
Austria,
accantonando
per
il
presente
la
questione
delle
terre
irredente.
Parve
inoltre
opportuno
alla
classe
che
governava
il
Paese
che
anche
l’Italia
si
dotasse
di
territori
coloniali,
per
facilitare
i
commerci,
reperire
le
materie
prime
necessarie
alla
nascente
industria
e
anche,
si
diceva,
per
orientare
il
flusso
migratorio
verso
terre
che
sarebbero
divenute
italiane.
L’inizio
non
fu
per
niente
agevole,
fra
i
pochi
territori
africani
non
occupati
da
potenze
europee
fu
individuata
una
zona
costiera
nel
Sud
del
Mar
Rosso.
Con
il
consenso
inglese
fu
dapprima
acquistata
dalla
Società
Rubattino
la
Baia
di
Assab
(1882),
successivamente,
con
l’intervento
diretto
del
governo,
venne
occupata
una
striscia
litoranea
comprendente
la
città
portuale
di
Massaua
(1885);
il
tentativo
di
penetrazione
nell’altopiano
etiopico
portò
al
primo
scacco
militare,
a
Dogali
(1887).
La
morte
di
Depretis
porterà
il
successore,
Francesco
Crispi,
a
incentivare
l’impegno
coloniale
italiano
nel
Corno
d’Africa.
Dal
1887
al
1896,
salvo
due
brevi
interruzioni
con
Rudinì
e
Giolitti,
l’Italia
fu
guidata
da
Crispi,
che
in
parte
continuò
la
linea
dei
governi
precedenti,
ma
introdusse
anche
delle
significative
novità.
Operò
per
ampliare
i
poteri
dell’esecutivo
a
spese
parlamento,
per
quattro
anni
tenne
per
sé,
oltre
alla
Presidenza
del
Consiglio,
i
ministeri
chiave
degli
interni
e
degli
esteri.
Allo
scopo
di
rendere
più
efficiente
l’amministrazione
dello
Stato,
promosse
il
varo
del
codice
penale,
Zanardelli,
noto
soprattutto
per
l’abolizione
della
pena
di
morte,
e
del
testo
unico
sulle
leggi
di
pubblica
sicurezza.
Le
norme
contro
gli
scioperi
consentivano
alle
autorità
di
polizia
e
alla
magistratura
di
operare
con
ampi
poteri
discrezionali.
L’elettività
dei
sindaci,
nei
centri
con
più
di
10mila
abitanti
e
delle
deputazioni
provinciali,
sono
da
considerarsi
delle
caute
aperture
democratiche,
peraltro
ridimensionate
dal
rafforzamento
delle
funzioni
del
prefetto.
L’idea
di
un’Italia
forte,
capace
di
imporsi
come
grande
potenza
nello
scacchiere
mondiale,
mal
si
conciliava
con
le
masse
di
poveri
che
emigravano
per
cercare
condizioni
di
vita
accettabili
all’estero.
Era
chiaro
che
sarebbe
stato
pressoché
impossibile
orientare
un
numero
significativo
d’italiani
sull’acrocoro
etiope,
una
volta
che
questo
fosse
stato
conquistato.
D’altra
parte
sappiamo
che
le
motivazioni
per
le
conquiste
coloniali
sono
anche
di
altra
natura
e il
prestigio
internazionale
poteva
essere
un
motivo
sufficiente
per
tentare
l’impresa.
I
buoni
rapporti
con
il
nuovo
sovrano
etiope,
Menelik
II,
che
era
stato
attivamente
sostenuto
nella
successione
al
trono,
portarono
alla
firma
del
Trattato
di
Uccialli,
con
il
quale
all’Italia
era
riconosciuta
la
fascia
litoranea
sul
Mar
Rosso
e,
secondo
l’interpretazione
italiana,
pure
il
protettorato
sull’Etiopia.
Le
ingenti
spese
per
questa
politica
coloniale,
per
nulla
ripagate
dalle
risorse
dei
rispettivi
territori,
suscitarono
forti
opposizioni
nel
parlamento,
tanto
da
provocare
la
caduta
del
governo,
nel
1891.
Nei
due
anni
che
seguirono
la
Presidenza
del
Consiglio
passò
dal
conservatore
Rudinì
al
progressita
Giolitti,
quest’ultimo
nel
suo
breve
periodo
di
governo
cercò
di
attuare
delle
misure
che
rendessero
progressive
le
imposte,
ebbe
inoltre
un
atteggiamento
di
apertura
verso
il
movimento
dei
lavoratori.
La
sua
azione
fu
interpretata
come
debolezza
nei
confronti
di
chi
minacciava
l’ordine
sociale.
Prevalse
il
timore
degli
ambienti
conservatori,
lo
scandalo
della
Banca
Romana
fornì
l’occasione
per
farlo
cadere
e
far
di
nuovo
ritornare
Crispi
alla
guida
del
governo.
Questi
operò
subito
una
severa
politica
fiscale
e
represse
con
durezza,
fino
allo
stato
d’assedio,
le
varie
agitazioni;
promosse
anche
le
leggi
antianarchiche
miranti
a
mettere
fuori
legge
il
Partito
socialista.
In
politica
estera
decise
di
giocare
la
carta
dell’espansione
coloniale,
con
la
benevola
neutralità
delle
potenze
della
Triplice
Alleanza,
ma
con
il
disappunto
della
Francia
e
pure
con
una
certa
preoccupazione
dell’Inghilterra.
La
penetrazione
italiana
in
Etiopia
andò
incontro
a
una
prima
sconfitta
nel
dicembre
del
1895,
sull’Amba
Alagi;
nei
primi
mesi
del
1896
cadeva
il
presidio
italiano
a
Makallé,
nonostante
ciò
e
senza
che
fosse
stato
studiato
adeguatamente
un
piano,
le
truppe
italiane
si
inoltrarono
all’interno
dell’Etiopia
e
trovarono
in
gran
parte
la
morte
o la
prigionia
nella
disastrosa
battaglia
di
Adua
(marzo
1896).
Crispi
non
sopravvisse
politicamente
a
questa
disfatta,
peraltro
accompagnata
da
un
malcontento
generale
che
sfociava
in
violente
manifestazioni
antigovernative.
Seguirà
un
periodo
molto
travagliato,
con
i
governi
reazionari
di
Rudinì
e
Pelloux,
durante
i
quali
verranno
represse
le
manifestazioni
popolari
e si
cercherà
pure
di
limitare
sensibilmente
le
prerogative
liberal-borghesi
sulle
quali
si
era
costituito
lo
Stato
italiano.
Il
parlamento
riuscirà
a
sventare
questo
tentativo
eversivo
e
con
i
successivi
governi:
Saracco,
Zanardelli
e
poi
Giolitti
si
entrerà
in
una
nuova
fase
storica.
Riferimenti
bibliografici:
AA.VV,
Il
Parlamento
italiano
1861
–
1988,
Vol.
V
La
sinistra
al
potere.
Da
Depretis
a
Crispi,
Nuova
Cei,
Milano
1989;
Romano
S.,
Crispi,
Bompiani,
Milano
1986.