N. 50 - Febbraio 2012
(LXXXI)
il michelangelo d’oriente
la vita e le opere di mimar sinan
di Paolo De Silvestri
L’architettura islamica, che mai smette di sorprendere e affascinare la sensibilità artistica occidentale, rimane nella maggioranza dei casi ‘opera anonima’, o la si lega al nome del committente con cui solitamente si tramanda il nome.
Sono
rari
i
casi
in
cui
l’architetto
o
l’artista
si
sovrappone
all’ombra
di
colui
che
ne
ha
ordinato
il
progetto,
e il
caso
più
significativo
resta
quello
di
Mimar
Sinan
(1494/1499-1588),
mimarbaşı,
ossia
architetto
capo
dell’impero
Ottomano
dal
1538
alla
morte,
la
cui
attività
si
svolse
continuativamente
durante
il
regno
di
ben
tre
sultani:
Solimano
il
Magnifico
(1494-1566,
sultano
dal
1520),
Selim
II
(1524-1574,
sultano
dal
1566)
e
Murad
III
(1546-1595,
sultano
dal
1574).
Se
in
Occidente
è
naturale
far
corrispondere
a
una
impresa
il
nome
del
suo
creatore
così
non
accadeva,
o
quasi,
in
Oriente
e la
celebrità
di
Sinan
la
si
può
meglio
percepire
se
si
considera
che
prima
di
lui
solo
un
altro
architetto
‘orientale’,
ma
in
tempi
assai
più
lontani,
aveva
visto
riconosciuto
ancora
vivente
il
suo
valore
professionale.
Bisogna
risalire
al
tempo
dei
faraoni
dell’Antico
Regno
(2007-2095
a.C.),
epoca
nella
quale
visse
Imhotep.
Questo
è il
nome
dell’architetto,
al
quale
è
dato
attribuire
il
progetto
della
prima
piramide,
quella
a
gradoni
di
Gioser
a
Saqqara,
e
per
le
cui
grandi
doti
artistiche
e di
ingegneria
fu
secondo
solo
al
faraone,
venendo
in
epoca
più
tarda
addirittura
divinizzato.
Sinan
visse
nel
fertile
Cinquecento,
coevo
di
Michelangelo,
Raffaello,
Leonardo
e
Palladio,
dei
quali
non
deve
essere
considerato
secondario,
progettando
e
costruendo
palazzi,
moschee,
hamam
(bagni),
porte,
medrese,
caravanserragli,
tombe,
ponti
e
acquedotti
in
tutto
l’impero.
È
difficile
stabilire
l’esatta
quantità
di
architetture
effettivamente
eseguite
ancora
egli
in
vita,
ma
nel
numero
totale
tra
quanto
realizzato
e
quanto
proseguito
dopo
la
morte
dagli
allievi
la
cifra
si
aggira
a
più
di
470
lavori!
Se
la
sua
fama
rimane
circoscritta
al
Vicino
Oriente
le
sue
opere
ne
hanno
varcato
i
confini,
riconosciute
universalmente
come
testimonianze
artistiche
di
maestria
e
abilità
ingegneristica.
Sinan
nacque
nel
villaggio
cristiano
di
Ağirnas
nella
provincia
di
Kayseri
dove
visse
fino
al
1512-1513,
anno
in
cui
venne
reclutato
secondo
la
pratica
del
devşirme
per
entrare
a
far
parte
dei
giannizzeri,
il
corpo
militare
dei
Yeniçeri,
letteralmente
nuove
truppe,
fondato
nel
XIV
secolo
dal
sultano
del
neonato
impero
Ottomano
Murad
I
(1326-1389,
sultano
dal
1359)
e
inizialmente
costituito
da
reclute
non
musulmane,
soprattutto
giovani
cristiani
o
altri
prigionieri
di
guerra.
Come
ogni
nuova
recluta
Sinan
fu
educato
al
lavoro
ma
soprattutto
a
familiarizzare
con
la
lingua,
la
religione
e i
costumi
ottomani
in
una
tenuta
agricola
fuori
Istanbul.
Successivamente
entrò
nell’Acemi
Ocaği,
una
sorta
di
scuola
di
Palazzo,
dove
liberamente
scelse
di
praticare
il
mestiere
di
carpenteria,
lavorando
a
stretto
contatto
con
esperti
artigiani
e
capomastri
nella
costruzione
di
architetture
civili.
Tra
il
1521
e il
1538
partecipò
alle
campagne
militari
guidate
da
Solimano
il
Magnifico
in
diversi
luoghi
dell’Europa
e
dell’Oriente:
Belgrado,
Budapest,
Vienna,
in
Puglia,
a
Corfù
e
ancora
Baghdad,
Aleppo,
Damasco
e
tutto
l’Oriente
ottomano.
Questa
esperienza
di
viaggiò
si
rivelò
di
estrema
importanza
per
la
sua
formazione
culturale,
ed
egli
non
si
sottrasse
al
fascino
delle
diversità
architettoniche
e
delle
varietà
culturali
in
rapporto
alla
pratica
dell’edificazione
che
a
mano
a
mano
andava
scoprendo.
Sempre
in
queste
campagne
militari
ebbe
inoltre
la
possibilità
di
mettere
in
mostra
le
proprie
doti
ingegneristiche
che
gli
valsero
dapprima
gli
onori
militari,
nominato
haseki
cioè
ufficiale
della
guardia
personale
del
Sultano,
e
poi
il
riconoscimento
inizialmente
come
architetto
solo
sovrintendente,
subaşi,
e
dopo
la
morte
del
capo
architetto
Acem
Alisi
(1538)
con
la
carica
più
elevata
di
mimarbaşı,
architetto
capo
dell’impero
Ottomano.
È
tra
i
40-45
anni
che
il
genio
creativo
di
Sinan
ha
la
possibilità
di
esprimersi
compiutamente,
e
segnare
in
maniera
determinate
il
profilo
artistico
e
l’immagine
culturale
dell’architettura
ottomana.
Di
lui
restano
molte
opere
ma
solo
di
alcune
si
commenteranno
le
caratteristiche
architettoniche
e
decorative
perché
ritenute
di
maggior
significato
stilistico,
pur
nella
difficoltà
a
privilegiarne
una
in
rapporto
all’altra,
considerandole
tutte
di
alto
livello
espressivo.
Gli
esempi
che
emergono
con
maggior
evidenza,
anche
per
il
visitatore
più
disattento,
sono
le
moschee,
le
quali
per
dimensioni
e
collocazione
sovrastano
ogni
altra
architettura,
e le
rendono
quasi
simili
a
tanti
piccoli
castelli
che
dominano
l’immensa
metropoli.
Quando
si
indicano
le
strutture
religiose
è
necessario
premettere
che
non
ci
si
riferisce
solo
al
corpo
principale
della
moschea
ma
più
in
generale
ai
Külliyes,
cioè
i
complessi
religiosi
secondo
la
denominazione
in
lingua
turca.
La
moschea,
infatti,
fungeva
da
punto
di
raccordo
di
un
più
complesso
e
articolato
sistema
di
edifici
che
le
ruotano
intorno,
composto
da
cucine
pubbliche,
refettori,
convitto,
ospedale,
scuole
primarie,
hamam,
cimitero,
fontane,
negozi
e
strutture
per
la
distribuzione
dell’acqua.
Questo
microcosmo
urbano
bene
si
osserva
nel
caso
del
Süleymaniye
külliyes
(1550-1557),
eretto
su
incarico
del
sultano
Solimano
il
Magnifico
sul
terzo
dei
sette
colli
di
Istanbul,
dove
anticamente
si
trovava
il
Campidoglio
di
Bisanzio.
La
moschea
di
Solimano,
Süleymaniye
Camii,
secondo
i
poeti
turchi
rappresentazione
de
«lo
splendore
e la
gioia»
si
impone
alla
vista
da
ogni
punto
di
Istanbul.
Sinan
per
celebrare
il
suo
sultano
prese
a
esempio
la
basilica
di
Santa
Sofia,
ispiratrice
sia
per
le
forme
sia
per
il
significato
simbolico
che
una
simile
impresa
avrebbe
conferito
al
committente:
alla
grandezza
raggiunta
da
Giustiniano,
che
dopo
aver
visto
conclusa
Santa
Sofia
avrebbe
esclamato
di
aver
così
superato
la
magnificenza
di
Roma,
Solimano
consegnava
ai
posteri
un’architettura
ancora
più
grandiosa,
confermando
il
suo
attributo
di
Magnifico
non
solo
nella
storia
civile
ma
anche
in
quella
artistica.
Sinan
inoltre
era
convinto
che
l’architettura
ottomana
dovesse
non
solo
eguagliare
quella
bizantina
ma
superarla
con
l’introduzione
di
tecniche
costruttive
nuove,
mediate
dalle
commistioni
con
l’architettura
selgiuchide
e
islamica
in
genere.
Si
tratta
della
più
grande
struttura
a
pianta
quadrata
da
lui
costruita.
Il
cortile
porticato
misura
216
metri
di
lunghezza
per
144
di
larghezza
e
nel
recinto
sono
state
riutilizzate
24
colonne
provenienti
dall’Ippodromo
costruito
da
Settimio
Severo
nel
203.
La
sala
di
preghiera
è
coperta
da
una
cupola
alta
53
metri
bucata
da
trentadue
finestre,
decorata
a
intonaco
e
affiancata
da
due
semicupole
poggianti
anch’esse
sui
quattro
massicci
pilastri
centrali.
Le
navate
laterali
hanno
entrambi
una
galleria
sostenuta
da
archi
a
sesto
lievemente
acuto
su
colonne
di
porfido.
Sorprende
e
colpisce
la
vastità
(3100
mq)
e
l’essenzialità
delle
decorazioni
geometriche
e
floreali
arabesque,
in
continuo
movimento
percettivo
grazie
alle
suggestive
sfumature
di
luce
che
filtra
naturalmente
e
alla
sobrietà
delle
tinte
sulle
quali
prevale
la
tonalità
del
giallo
in
tutte
le
sue
innumerevoli
gradazioni.
Sinan
volle
essere
sepolto
nel
grande
complesso
imperiale
e
costruì
per
sé
nel
1587
come
una
piccola
edicola
la
tomba
che
tuttora
ospita
le
sue
spoglie.
Fuori
dal
recinto
del
complesso,
sull’angolo
nord-ovest,
la
sua
tomba
è
preceduta
da
una
fontana
a
base
ottagonale
con
una
iscrizione
commemorativa
di
Mustafà
–
Saî
Çelebi
che
ne
celebra
l’intera
opera.
Se
il
complesso
voluto
da
Solimano
attrae
per
la
grandezza,
in
misure
ridotta
ma
con
un
perfetto
sistema
di
equilibrio
nei
rapporti
proporzionali
la
Sokollu
Mehmet
Paşa
Camii
resta
l’opera
principe
nella
vasta
produzione
di
moschee
di
Sinan
a
Istanbul.
Progettata
nel
1571
su
incarico
della
figlia
del
sultano
Selim
II,
moglie
del
visir
Sokollu
Mehmet
Paşa,
è
posta
sotto
l’antico
Ippodromo
bizantino
e si
affacciata
sul
Mar
di
Marmara.
L’edificio
si
espande
in
un
misurato
e
studiato
rapporto
tra
spazio
e
forma,
amplificando
nelle
misure
perfette
la
misticità
del
luogo.
La
cupola
poggia
su
sei
pilastri
perfettamente
integrati
al
perimetro
della
struttura,
conferendo
in
maniera
decisa
l’impronta
a
navata
unica,
con
le
gallerie
laterali
armoniosamente
integrate
al
corpo
principale.
Suggestivo
è il
vivace
rivestimento
in
maiolica
del
mihrāb,
una
sorta
di
abside
che
indica
la
qibla,
cioè
la
direzione
della
Mecca
verso
cui
ogni
mussulmano
rivolge
le
proprie
preghiere.
È
questa
l’unica
struttura
in
cui
la
Medrese,
la
scuola
di
Corano,
è
distribuita
nel
cortile
e
non
edificata
autonomamente.
Altre
importanti
architetture,
spesso
anch’esse
parti
di
progetti
più
ampi,
sono
gli
hamam.
I
bagni
turchi,
gioielli
di
ingegneria
idraulica
dedicati
all’igiene,
alla
cura
e al
benessere
del
corpo
e
della
mente
furono,
e
ancora
restano,
il
fiore
all’occhiello
della
cultura
ottomana.
I
più
bei
esempi
ai
quali
lavorò
Sinan
sono
il
Süleymaniye
Hamam
(1577),
nel
complesso
omonimo,
il
Valide
Sultan
Hamam,
all’interno
dell’Harem
nel
palazzo
Topkapi
e
riservato
come
dice
il
nome
stesso
alla
madre
del
sultano,
ma
quello
meglio
conservato
si
trova
tra
la
basilica
di
Santa
Sofia
e la
moschea
Blu,
con
una
struttura
unica
e
isolata
da
altri
edifici:
l’Ayasofya-Haseki
Hürrem
Sultan
Hamam
(1556)
detto
di
Roxelana.
Voluto
da
Solimano
il
Magnifico
in
onore
della
favorita
dell’harem
e
amata
moglie
di
origini
russe,
in
questo
bagno
turco
Sinan
per
creare
due
ambienti
distinti
dedicati
rispettivamente
agli
uomini
e
alle
donne
ha
dato
vita
a
una
struttura
nella
quale
i
due
corpi
maggiori
di
fabbrica
posti
alle
estremità
sono
accostati
in
un
gioco
di
riflesso,
che
si
ripete
anche
nei
due
corpi
inferiori
più
interni:
la
pietra
si
specchia
nella
pietra.
Come
architetto
capo
della
Sublime
Porta,
Sinan
costruì
dunque
moschee,
tombe,
hamam,
e
inoltre
ponti,
restaurò
e
intervenne
su
monumenti
antichi;
disegnò
mercati
coperti
e
progettò
opere
idrauliche
come
acquedotti,
canali,
fontane
pubbliche,
abbeveratoi
e
edifici
di
pubblico
servizio
come
khan
o
carvanseray
(caravanserragli)
per
i
commercianti
e i
viandanti
in
viaggio.
Importanti
furono
anche
i
lavori
per
il
rifacimento
di
alcune
parti
del
Topkapı
Saray,
la
cittadella
del
Sultano
all’imbocco
del
Corno
d’Oro,
andata
in
rovina
dopo
che
un
incendio
nel
1574
ne
aveva
distrutto
buona
parte.
Sotto
la
sua
direzione,
quella
che
può
essere
considerata
come
la
scuola
di
architettura
ottomana
diede
vita
a
opere
ancora
oggi
ammirate
per
originalità
e
bellezza.
Eleganza,
semplicità,
rigore
matematico,
attenzione
alla
luce
che
plasma
la
forma
uniti
alla
rinuncia
di
se
stesso
a
favore
della
sua
missione
caratterizzarono
il
pensiero
umano
e
professionale
di
questo
architetto,
che
anche
per
queste
ultime
specifiche
caratteristiche,
e
non
solo
per
il
genio
creativo,
sarà
definito
il
Michelangelo
d’Oriente.
Riferimenti
Bibliografici:
G. Goodwin,
A
History
of
Ottoman
Architecture,
Thames
&
Hudson,
London
1971;
R.
Gunay,
Sinan.
The
Architect
and
his
Works,
YEM
Yain,
Istanbul
2007.