filosofia & religione
SIMONE
WEIL E LO
“SRADICAMENTO”
UNA PARTECIPAZIONE ATTIVA
di Ilenia Luongo
Sistematizzare la riflessione di Simone
Weil è un’impresa. Lei stessa si
rifiutava di ragionare “per
compartimenti stagni”, poiché ogni
elemento è necessariamente relazione con
gli altri: la geometria, la religione,
la politica e la filosofia non possono
essere suddivise tra loro, altrimenti il
pensiero verrebbe condannato alla
sterilità.
I suoi principali riferimenti
filosofici, Platone e Marx,
possono apparire – ed effettivamente lo
sono – una strana accoppiata. Eppure,
nel suo schema anticonformista, per
certi versi anarchico, ma dotato di una
coerenza spiazzante, Simone Weil è
riuscita a far compenetrare
materialismo e spiritualità.
Anzi: il materialismo come chiave per
un’autentica spiritualità.
Simone Adolphine Weil
nasce a Parigi il 3 febbraio 1909, da
una ricca famiglia di ebrei agnostici.
Conduce i suoi studi presso la scuola
d’eccellenza Henri IV e in seguito
presso l’Écoles
Normales Superieurs, distinguendosi
da subito per straordinaria
intelligenza. L’anticonformismo di
Simone emerge sin dall’adolescenza,
tanto da portare il suo professore di
filosofia, Alain, a definirla “la
Marziana”. L’influenza del professor
Alain su Simone si riscontra nella
centralità che assume il pensiero greco
nella sua riflessione:
«Nulla
supera Platone»,
scriverà.
Nonostante le violente emicranie e la
salute cagionevole, partecipa
attivamente al contesto politico e
sociale del suo tempo. È vicina alla
sinistra e al sindacalismo
rivoluzionario; sempre in prima linea
nelle manifestazioni, agita con fierezza
la bandiera rossa; collabora con riviste
di sinistra radicale, battendosi per la
giustizia dei proletari, schiacciati
dalle disuguaglianze prodotte dal
sistema capitalistico; divide con loro
il suo stipendio di professoressa. Tutto
ciò non passa inosservato presso gli
ambienti accademici, dove svolge la sua
attività di insegnante: ne viene
allontanata ed erroneamente bollata come
“agitatrice alle dipendenze di Mosca”.
In questa prima fase di ateismo, di
pacifismo quasi “estremista” e di
vicinanza agli ambienti rivoluzionari,
lo scritto principale è Riflessioni
sulle cause della libertà e
dell’oppressione sociale, risalente
al 1934. In questi anni matura le sue
preoccupazioni circa l’eccessiva
burocratizzazione dei partiti comunisti,
nonché sulla piega totalitaria
assunta dal regime sovietico.
Ancora, in seguito agli eventi tedeschi
matura una disillusione sull’efficacia
dell’azione dei partiti comunisti.
In Germania, nel corso di un viaggio,
assiste con i propri occhi al fallimento
delle forze locali di sinistra, le più
sviluppate di tutta Europa, eppure
incapaci di organizzare adeguatamente la
base proletaria; le stesse forze che,
inoltre, non erano riuscite a condurre
una strenua opposizione a Hitler e
all’ascesa del nazismo nel paese.
Delusa dalla passività delle forze
comuniste e dalla difficoltà nel
concretizzare le proprie aspirazioni,
sceglie tuttavia di non discostarsi
dalla sua attività politica e sociale,
bensì di intensificarla. Prendendo un
anno di permesso per
“studi
personali”,
il 4 dicembre del 1934 si fa assumere
come operaia presso le officine
Alsthom di Parigi, dove lavora per
pochi mesi; una volta licenziata,
continua la sua esperienza di fabbrica
presso la Renault.
Gli scritti risalenti alla fase operaia
della Weil costituiscono una preziosa
testimonianza dello
“sradicamento”
– tema centrale nel suo pensiero – e
dell’annichilimento dell’uomo nella
dimensione della fabbrica. Il
radicamento, il corrispondente
opposto, è inteso come il primo
bisogno fondamentale dell’anima:
semplificando, esprime la partecipazione
reale e attiva alla collettività di cui
si fa parte, la prima radice
dell’individuo.
L’esperienza della fabbrica rappresenta
una fase di straordinaria importanza
nell’evoluzione delle sue riflessioni,
eppure viene troppo spesso sacrificata
in nome della filosofia mistica
dell’“ultima Weil”. A spingerla verso
questa scelta è una sua profonda
convinzione: come lei stessa scrive:
«La
realtà della vita non è la sensazione: è
l’attività; voglio dire attività nel
pensiero e nell’azione. Coloro che
vivono di sensazioni sono parassiti in
confronto agli uomini lavoratori».
Nell’anno trascorso in fabbrica annota
ogni riflessione e sensazione. Il suo
corpo fragile è allo stremo; si rifiuta
di mangiare, nell’intento di condividere
le sofferenze degli oppressi; descrive
l’indicibile senso di stanchezza che la
accompagna e le condizioni disumane e
rischiose in cui il lavoro viene svolto
– scrive di avere una percezione di sé
pari a quella di un
“animale
da soma”.
Tuttavia, comprende soprattutto che
«l’oppressione,
a partire da un certo grado di
intensità, non genera una tendenza alla
rivolta, bensì una tendenza quasi
irresistibile alla più assoluta
sottomissione».
Inaspettatamente sperimenta su se stessa
la condizione di non poter pensare e di
non poter fare uso della propria
intelligenza, per dedicarsi unicamente
all’attività di produzione; in caso
contrario, la remunerazione giornaliera
sarebbe diminuita per una simile perdita
di tempo. In tal modo, il lavoratore
della fabbrica è del tutto alienato
rispetto al prodotto del suo lavoro e
all’azione che è tenuto a ripetere
meccanicamente.
La filosofa comprende, quindi, la
necessità di riformulare in toto
l’organizzazione interna della fabbrica
per impedire lo sradicamento. L’uomo
deve percepire come proprio il lavoro
svolto, partecipandovi, anzitutto,
mentalmente, in modo da recuperare la
sua dignità; una dignità schiacciata
dalla macchina e dal principio
taylorista della razionalizzazione della
produzione, in nome di una
«monomania
della contabilità».
Per Weil, infatti, una società giusta
deve necessariamente fondarsi sulla
spiritualità del lavoro, espressione
più alta della natura umana. Arriverà a
scrivere, nel 1942, che
«il
popolo ha bisogno di poesia come di
pane. Non già la poesia racchiusa nelle
parole. Ha bisogno che sia poesia la
sostanza quotidiana della sua stessa
vita».
Con questo stato d’animo avvia una fitta
corrispondenza con l’ingegnere Victor
Bernard e con Auguste Detoeuf,
fondatore dell’Alsthom, per tentare di
comunicare loro l’esperienza di fabbrica
vissuta e suggerire una serie di
cambiamenti che avrebbero garantito
all’operaio la partecipazione alla
gestione interna – risale al 1936
l’articolo Principi di un progetto
per un nuovo regime interno nelle
imprese industriali. La sua mente è
in continua ebollizione, così la sua
ricerca della verità non si ferma.
Nel 1936 parte alla volta di Barcellona,
prendendo parte alla guerra civile
spagnola contro l’esercito
franchista. Diversamente dalla fase
rivoluzionaria, la sua idea di guerra
appare radicalmente mutata: ora la si
giustifica per combattere il
nazifascismo.
La sua esperienza dura solo qualche
mese, complice la goffaggine della
giovane e la sua incapacità di usare le
armi.
Si tratta
di una nuova disillusione per Simone
Weil: la guerra, alla quale aveva preso
parte al fianco dei contadini affamati,
le appare in tutto il suo orrore
nient’altro che uno scontro tra
Germania, Italia e URSS. Le parole in
nome delle quali l’essere umano si
sacrifica le si mostrano in tutta la
loro vuotezza.
Scriverà nel 1942:
«In
quanto rivolta contro l’ingiustizia
sociale l’idea rivoluzionaria è buona e
sana. In quanto rivolta contro
l’infelicità essenziale (…) è una
menzogna».
Il 1937 è un anno centrale. Risale al
’37, infatti, la sua prima esperienza
mistica presso la piccola cappella
romanica di Santa Maria degli Angeli ad
Assisi, sentendo per la prima volta il
bisogno di inginocchiarsi. La produzione
dell’ultima Weil, ricca e complessa,
contiene accenti mistici e spirituali;
la religione diventa centrale nella sua
riflessione ed emerge il platonismo di
cui è intrisa la sua filosofia.
Nonostante ciò, stenta a definirla una
vera e propria conversione. Il
Cristianesimo, per Simone Weil, è la
religione degli oppressi; lei stessa ne
sente il richiamo, spinta da un amore
per la verità, per condividere fino allo
stremo l’esperienza degli ultimi.
Rifiuta, tuttavia, qualsiasi dogma
cattolico, rinunciando al battesimo e ai
sacramenti. La sua visione del
Cristianesimo non riflette le sole
tradizioni della chiesa cattolica:
scorge il dogma trinitario e le immagini
di Cristo nella tradizione greca,
egizia, scandinava e indù; ancora,
nell’alchimia, nella mitologia e nei
princìpi della geometria. Scrive a tal
proposito che
«un
pensiero religioso è autentico quando il
suo orientamento lo rende universale».
A seguito dell’occupazione nazista della
Francia e l’instaurazione del Regime
di Vichy, la famiglia Weil fugge in
America per via delle persecuzioni
contro gli ebrei. Simone, desiderosa di
prendere parte all’azione partigiana,
scrive a Maurice Schumann, un suo
vecchio compagno di studi, nonché
collaboratore del generale De Gaulle, a
capo del movimento Francia Libera. Gli
ultimi due anni di vita (1942-1943) li
trascorre a Londra, dove la
resistenza francese tesse le sue
fila, lavorando come redattrice addetta
ai servizi civili per Francia Libera.
Questa mansione, però, non la soddisfa;
propone quindi di essere paracadutata
sul suolo francese per combattere contro
l’occupazione nazista. Le si oppone un
rifiuto categorico. Ancora, propone un
progetto per una formazione di
infermiere di prima linea: un gruppo
ristretto di donne avrebbe dovuto
assistere sul campo i soldati caduti; un
contributo modesto, ma dal grande valore
simbolico e umanitario, da contrapporre
alla brutalità del nazismo. Le si
oppone, tuttavia, l’ennesimo rifiuto.
Il deterioramento delle condizioni
psicofisiche della Weil è rapido.
Impossibilitata a prendere parte attiva
alla liberazione, si ammala di
tubercolosi e compone numerosi saggi
ispirati tanto a concrete questioni
politiche, quanto al tema del rapporto
tra l’uomo e Dio. La prima radice,
uno scritto risalente al 1941-1942, ben
riassume il pensiero filosofico e
politico dell’ultima Weil, incentrato
sullo sradicamento dell’umanità a opera
della guerra, del totalitarismo e del
capitalismo e sulla necessità di
superarlo.
Muore nel Kent nel 1943, a soli 34 anni,
ammalata e gravemente denutrita, senza
poter assistere alla liberazione
d’Europa. Nei suoi ultimi testi aveva
espresso la necessità per la Francia di
trovare nella tragedia contemporanea l’humus
favorevole per rialzare la testa e
liberarsi dalla
“malattia
dello sradicamento”.
Riferimenti bibliografici:
R. Chenavier, Simone Weil.
L’attenzione al reale, Asterios,
Trieste 2016.
S. Weil, La prima radice, SE,
Milano 1990.
S. Weil, La condizione operaia,
SE, Milano 1994. |