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filosofia & religione


N. 34 - Ottobre 2010 (LXV)

Simone Weil
Filantropia e fede di una filosofa

di Danilo Caruso

 

Simone Weil ebbe la ventura da viva di essere quasi unicamente conosciuta per i tratti caratteriali della sua ferma coerenza di principi pratici. La sua profonda e significativa figura è salita alla ribalta per le opere a partire dal secondo dopoguerra.

 

Nacque da una famiglia benestante di origine ebrea il 3 febbraio 1909 a Parigi (ebbe un fratello affermato matematico). Già all’epoca del liceo mostrò un’inclinazione alla ricerca filosofica. Studiò all’École normale supérieure: fu allieva dei filosofi Emile Chartier (Alain) e René Le Senne; dopo la laurea insegnò filosofia alle scuole superiori femminili (1931-38). Per via del suo impegno in dimostrazioni antitotalitarie fu sottoposta a spostamento di cattedra.

 

Come insegnante si mostrò aperta alle esigenze delle studentesse, lavorando gratuitamente più del dovuto e rimettendoci del proprio. Riguardo ad un efficace apprendimento teorizzò i primati della disinteressata-attenzione-verso-l’oggetto-di-studio e del piacere-della-conoscenza. Le basi della sua analisi filosofica si impiantano nella cornice di uno spiritualismo che dava risalto al concetto di “volontà” (effort, sforzo).

 

Il suo pensiero attraversò due momenti di sviluppo: il primo, che risentiva del clima storico della Rivoluzione bolscevica, fu caratterizzato più da interessi politico-sociali, quello successivo fu connotato da un’impronta mistico-religiosa. La sua matrice politica iniziale fu di sinistra radicale (ospiterà Trotzkij profugo, e non prenderà mai la tessera di alcun partito).

 

Riallacciandosi fortemente all’insieme sociale di provenienza cercò di mettere in atto le sue idee con la personale condotta, trascurando la pubblicazione di opere in vita (diede alle stampe degli articoli, firmandosi con uno pseudonimo, e poche poesie; tutto il corpus weiliano sarà pubblicato postumo).

 

Il suo spirito di carità la portò a lasciare temporaneamente la carriera d’insegnante, sollecitata dalla sua volontà di condividere la vita proletaria operaia, e così nel ‘34 entrò in uno stabilimento Renault, abbandonato l’anno successivo, dopo otto mesi, a causa di una pleurite (fece la fresatrice): in quel periodo devolse il grosso dei suoi guadagni ai disoccupati. Da quell’esperienza prese forma il saggio “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione”.

 

Secondo l’autrice nel sistema capitalista l’origine delle sperequazioni sta più al di là della questione della proprietà: sta nella dicotomia “lavoro intellettuale / lavoro manuale”. «Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante ed angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte».

 

L’aspetto settoriale della produzione provoca l’asservimento a questo tipo d’organizzazione e fa smarrire all’uomo la sua specifica dimensione complessiva nel frazionamento specialistico.

 

Benché secondo lei non sia possibile raggiungere un’assoluta liberazione, l’ideale della libertà è il termine cui tendere asintoticamente: l’inconsapevolezza individuale e l’appiattimento generale, che maturano in seguito alla presenza di poderosi apparati produttivi anche in quelle società in cui è intervenuta una modificazione rivoluzionaria, possono essere contrastati dall’intento di riavvicinare e combinare le mansioni creative e quelle di attuazione, e contemporaneamente ponendo il ruolo del lavoro alla base del vivere umano.

 

Elementi di questa analisi hanno anticipato contenuti del sindacalismo unitario della Repubblica sociale italiana e del pensiero di Herbert Marcuse (“L’uomo a una dimensione”). L’essere umano vive una scissione interiore in cui i lati spirituali ed intellettuali sono alienati provocando disagio.

 

La Weil sottolinea la soggettività dell’uomo, che deve essere rivitalizzata di fronte al suo stato passivo funzionale; perciò ella rivolse anche delle obiezioni ai gruppi marxisti, patrocinatori di una rivoluzione inautentica e di uno Stato antidemocratico, e a chi ambiva ad un cambiamento non preceduto da un intenso impegno pratico a migliorare le cose.

 

Pur essendo pacifista prese parte nel ‘36 alla guerra civile spagnola al servizio dell’anarchica Colonna Durruti (rimasta ustionata ad un piede dovette far ritorno in patria). La svolta in direzione di un interesse mistico-esistenziale risale al ‘37, quando allargò l’orizzonte del suo pensiero alla fede nel Cristianesimo cattolico: non è sufficiente la sola volontà umana a risanare la frattura tra realtà concreta e realtà ideale, la passione di Cristo ricompone tutto.

 

Ella però sino alla fine mantenne una prospettiva speculativa di apertura universalistica verso le altre religioni, non escluse dal contatto della Grazia, e rifiutò l’idea del battesimo, e di entrare nel corpo della Chiesa, che accusava di essere stata nei secoli un sistema di potere totalitario e persecutorio, che nella sua rigida circoscrizione lascia fuori della prospettiva della salvezza una considerevole parte di storia e di umanità.

 

«Il problema della fede non si pone affatto. Finché un essere umano non è stato conquistato da Dio, non può avere fede, ma solo una semplice credenza; e che egli abbia o no una simile credenza, non ha nessuna importanza: infatti arriverà alla fede anche attraverso l’incredulità. La sola scelta che si pone all’uomo è quella di legare o meno il proprio amore alle cose di quaggiù». Nella visione omerica della guerra (“L’Iliade o il poema della forza”, manoscritto del ‘39) la filosofa francese rileva un sentimento di equanimità nei confronti dei contendenti, sentimento che attribuisce all’intera Grecità. Questa società antica al cospetto della pulsione distruttiva, generatrice di lutti e rovine, replicava con le eccellenze dell’animo (le virtù).

 

Simone Weil ricollega, tramite il comune spirito di pietà davanti alla sorte umana, tale schema al Cristianesimo, in cui la subordinazione alla forza, che sfugge al controllo dell’uomo, è combattuta dall’azione della Grazia. L’umanità è stata e rimane indistintamente vittima della violenza, tuttavia peggiore è l’infelicità causata dalla percezione del necessario allontanamento di Dio dal creato per dargli spazio di vita in quanto diverso da Lui.

 

«Dio crea se stesso e si conosce perfettamente allo stesso modo in cui noi costruiamo e conosciamo miserevolmente degli oggetti fuori di noi. Ma prima di tutto Dio è amore. Prima di tutto Dio ama se stesso. Quest’amore, quest’amicizia in Dio è la Trinità. Tra i termini uniti da questa relazione di amore divino, c’è qualcosa di più che una vicinanza: c’è vicinanza infinita, identità. Ma a causa della creazione, dell’incarnazione e della passione, è anche una distanza infinita. La totalità dello spazio, la totalità del tempo interpongono il loro spessore e pongono una distanza infinita fra Dio e Dio».

 

In un’ottica impregnata dall’eretico rifiuto cataro della realtà materiale, la scoperta dell’apparente insignificanza della storia, carica dei suoi mali, può disorientare l’uomo, tuttavia in essa egli può trovare il luogo per procedere al disallontanamento dal divino, quella decreazione (presentante suggestioni eckhartiane, ed induistiche da “Il canto del beato”) in cui l’io si annichilisce a vantaggio dell’ingresso di Dio: amarLo e ritornare a Lui sono gli scopi del progetto creativo divino, «essere nulla per essere al proprio vero posto nel tutto».

 

Poiché Dio si manifesta nell’ordine naturale, la natura da cui trae ispirazione l’arte può essere veicolo di moralità nella testimonianza che la presenza del bello dà a favore dell’attuabilità dell’ideale.

 

La Weil individuò il fondatore del pensiero mistico in Occidente in Platone (“Dio in Platone” del ‘40) giudicandolo un precursore di punti che saranno poi della teologia cristiana: il rapporto tra Dio e l’amore, ed il suo intervento salvifico, per mezzo della Grazia, nella storia dell’uomo (che si aggiunge alle virtù).

 

Scoppiata la seconda guerra mondiale, dopo l’occupazione tedesca della Francia, lasciò Parigi e si trasferì a Marsiglia: a causa della legislazione razziale della Repubblica di Vichy non poté insegnare nelle scuole.

 

Lavorò alla raccolta dell’uva. Presa ripetutamente di mira dalle forze dell’ordine subì vari interrogatori ma non l’arresto. Nel ‘42 con i familiari si trasferì negli USA, per poi prontamente ritornare in Inghilterra, spinta dal suo desiderio di opporsi alle ideologie totalitarie. Operò nel comitato “France libre”.

 

Morì per le complicazioni di una tubercolosi il 24 agosto 1943 ad Ashford dopo un’esistenza di autentica partecipazione al disagio (soffriva di mal di testa e praticava digiuni per solidarietà).

 

Altre opere di Simone Weil: “Cinque lettere a uno studente”, “I catari e la civiltà mediterranea”, “Il chicco di melagrana”, “Israele e i Gentili”, “L’amicizia pura”, “L’amore di Dio”, “L’attesa di Dio”, “L’ombra e la grazia”, “La condizione operaia”, “La conoscenza soprannaturale”, “La fonte greca”, “La Grecia e le intuizioni precristiane”, “La prima radice”, “Lettera a un religioso”, “Lezioni di filosofia”, “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”, “Oppressione e libertà”, “Pensieri disordinati sull’amore di Dio”, “Primi scritti filosofici”, “Professione di fede”, “Progetto di una formazione di infermiere di prima linea”, “Quaderni”, “Sul colonialismo”, “Sulla scienza”, “Venezia salvata”.



 

 

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