[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 203 / NOVEMBRE 2024 (CCXXXIV)


ambiente

Il castagno e la sua simbologia
TRA usi e tradizioni

di Giulia Cesarini Argiroffo

 

Il castagno, Castanea sativa, appartiene alla famiglia delle Fagacee, vive nell’Europa meridionale e orientale, soprattutto nelle zone montane e collinari. È un albero piuttosto adattabile tranne che nei terreni calcarei. Esso può raggiungere i 30 metri di altezza e i 15 di circonferenza e vivere oltre mille anni.

 

Già dal Neolitico l’Uomo iniziò a usare edinteressarsi a questa pianta, anche se la sua origine non è molto chiara.

 

Nello specifico è noto che il suo nomescientifico, in latino,”Castanea”, identico al greco, deriva da Castanis, una città del Pontosituata in Asia Minore dalla quale la piantas’importò, durante l’Antichità, prima in Grecia poi in Italia e in seguito nel resto d’Europa.

 

La massima diffusione delle coltivazioni di castagno cominciò con gli Antichi Greci, proseguì con gli Antichi Romani e durante il Medioevo, in particolaregrazieai monaci.Il castagno serviva soprattutto per il suo frutto,come risorsa alimentare e per il suo legno, come materiale da costruzione e per realizzare manufatti artigianali. Infatti il legno del castagno è duro, resistente ma facile da lavorare.

 

Esistono diverse varietà di castagni con le loro peculiarità.

In generaleil frutto è detto “castagna”, un achenio, il cui seme è ricco di amido. Un involucro spinoso, detto ‘riccio’, li racchiude. Una volta maturo il riccio si apre dividendosi in quattro valve. Le pareti del frutto, il pericarpo, sono color marrone.

 

La castagna fin dall’Antichità fu adoperata per il consumo alimentare, oggigiorno lo è meno. Attualmente la si usa principalmente per il consumo diretto nei mesi autunnali come con le caldarroste, per produrre la farina di castagne, delle confetture e per la creazione di dolci (come il marron glacé, il castagnaccio, il Panmorone) e altre pietanze. Marginalmente si impiega anche come mangime per gli animali domestici.

 

I Latini chiamavano le castagne”Iovisglandes”, cioè “ghiande di Giove”, perché la struttura dell’albero di cui erano frutto evocava loro il dio supremo, reggitore dell’universo. Infatti esso ha un tronco corto ma possente edhai rami che si allarganoin tutti i sensi,ciòrende la chioma imponente e l’aspetto esteriore del suo frutto sull’albero ricorda un po’ quello delle ghiande.

 

Per l’impollinazione, i castagni si avvalgono principalmente degli insetti, soprattutto delle api. Queste ultime adorano il nettare dei loro fiori e grazie ai quali producono un peculiare miele, piuttosto scuro, consumato dall’Antichità ai giorni nostri.

 

Gli Antichi facevano largo consumo delle castagne. Ad esempio, in ambito gastronomico, ne sono testimonianza per gli Antichi Romani gli scritti di Plinio Il Vecchio, Columella, Apicio e Marziale.

 

Nell’Alto Medioevo entrarono nel patrimonio alimentare del popolo. Ad esempio come elemento integrativo o sostitutivo del grano grazie alla farina che se ne ricavava, o come frutti da minestra al pari dei legumi o abbinati a essi, oppure in molti altri modi.

 

Ottobre è il mese in cui le castagne maturano. In passato, in epoca contadina, nelle zone dei castagnetiper il loro recupero si mobilitava tutta la popolazione. Questi frutti servivano come alimentoe si celebrava tale raccolta con delle feste. Tuttora ci sono sagre e manifestazioni gastronomiche in loro onore.

 

Per cristianizzareil Capodanno dei Celti, che era posto nel cuore dell’autunno e dopo la fine della stagione agraria – infatti era inteso come capo d’anno (agrario) – la Chiesa stabilì due festività religiose. Nello specifico, s’istituirono la Festa di Ognissanti e quella della Commemorazione dei Defunti. Considerando che per secoli le varie chiese cattoliche godevano di una certa autonomia da Roma inizialmente queste due festività si celebrarono,a partire dal 998 d. C.,solo in Francia. Poi gradualmente si diffusero in tutta Europa e a Roma giunsero soltanto nel XIV secolo. Nel 1475 Papa Sisto IV le rese obbligatorie per la Chiesa Universale. Durante la ricorrenza dei Defunti vi era la credenza, diffusa ancora adesso in alcune zone italiane ed europee, secondo cui i morti tornavano a casa una volta l’anno e mangiavano il cibo che si preparava per loro. Così fin dal Medioevo si pensava che le castagne fossero simbolicamente uno dei cibi adatti per i morti.

A tal proposito, come notava Cattabiani, esistevano tradizioni in passato riguardanti questi fruttichein taluni casi si conservano tutt’oggi.

 

Ad esempio, nella Vienne, in Francia, durante la notte che precedeva la Commemorazione dei Defunti ci si riuniva nei castagneti per cuocere le castagne. Ancor oggi, a Marsiglia, in Francia, si dice che bisogna nascondere qualcuno di questi frutti sotto il cuscino per evitare che gli spiriti dei morti vengano di notte a tirare il malcapitato per i piedi. Una volta in Piemonte, maanche in altre zone dell’Europa celtica, nella notte tra il 1 e 2 novembre i contadini lasciavano delle castagne su una tavola di casa perché i poveri morti se ne potessero nutrire. In Friuli e in Veneto la notte fra il 1 e il 2 novembre si consumavano i cibi dei morti tra cui le castagne, il tutto secondo unaparticolare tradizione.

 

Durante il Giorno dei Morti in Piemonte (ma anche specificatamente a Venezia, nell’odierno Veneto), si mangiavano questi frutti con un rituale specifico. Così come il giorno di San Martino (l’11 novembre) ancora oggi nella pianura padana si celebra questa festività con un banchetto in cui sono presenti. Come recita un proverbio piemontese “Oca, castagne e vino, tieni tutto per San Martino” (inteso per il banchetto). In Valle d’Aosta, nel pomeriggio di Ognissanti, nei caffè e nelle osterie si offrivano caldarroste agli avventori, mentre nelle famiglie era in uso cospargere questi frutti di grappa e di zucchero e servirli in tavola alla fiamma.

 

In Liguria nel giorno dei Defunti si mangiavano i “ballotti”, cioè castagne fresche bollite con la scorza. In Brianza, come notava Cattabiani, si consumavano lesse sia il giorno di Ognissanti che il giorno della Giubianna, che era il giorno del giovedì grasso che si dedicava alle donne. A Ferrara questi fruttisi mangiavano il giorno di San Martino brindando ironicamente alla gloria degli uomini sposati e al patrono delle loro corna. Inoltre in occasione della sagra di San Giuseppe (19 marzo) era in uso per gli uomini fidanzati regalare alla propria fidanzata la “mistoca”, una frittella di castagne che simboleggiava la fine dell’inverno.

 

Se in precedenza la gente elogiava questi frutti indiscutibilmente, con il Rinascimento le persone dell’epoca diventarono più critiche nei loro confronti decantandone tanto i pregi quanto i difetti.

 

Infatti gradualmente divenne cibo voluttuario venduto dagli ambulanti nelle vie cittadine, lo testimonia un’incisione della fine del XVI secolo nel repertorio degli ambulanti. Questo un po’ come avviene al giorno d’oggi, seppure in maniera molto più contenuta rispetto a quanto accadeva in passato.

 

Nell’Antichità e per secoli fu difficile tingere le stoffe. Ad esempio per ottenere il colore nero furono diverse le sostanze che si impiegarono, fra queste molte erano di natura vegetale a base di cortecce o di radici ricche di tannino come quelle del castagno. La resa però era fin da subito insoddisfacente e instabile e l’aspetto di tali abiti risultava smorto, sgradevole e sporco. Inoltre tali capi d’abbigliamento resistevano male all’effetto del sole ai lavaggi e all’uso prolungato, nel giro di poco tendevano a scolorirsi, a opacizzarsi e a sbiadirsi. In sostanza però dall’Antichità fino al Medioevo i prodotti neri adoperati dai tintori erano raramente dei veri e propri neri piuttosto tendevano a essere marroni, grigi, blu scuri e non distribuiti in maniera regolare sulla stoffa e ciò conferiva ai capi un colore sgradevole.

 

Per questa ragione per secoli queste cromie furono relegate alle classi sociali più umili, povere, ai lavoratori ritenuti più degradanti come gli artigiani che si sporcavano le mani esercitando la loro professione (ad esempio fabbri, tintori, carbonai, ecc…). Fino a circa il XIV secolo non si fu in grado in Occidente di tingere le stoffe nere in maniera stabile, brillante e duratura poi le sorti del colore nero cambiarono diventando di moda. Il castagno comune si usava anche per tingere gli abiti anche di altri colori tra cui il marrone. Anche in pittura le cortecce e le radici del castagno si adoperarono per produrre pigmenti.

 

“Marrone” è la varietà di un frutto di castagno, esso è grosso, ovale, non schiacciato da un lato come la castagna comune, perché se ne forma uno solo per riccio. Questo nome comparve nel XVI secolo ed è di etimologia incerta, da esso deriva anche il termine “marrone”inteso come colore, che venne coniato all’incirca nel XVIII secolo. Marrone (come cromia) è sinonimo di castano, ma è d’uso generico perché evoca tante gradazioni. Questa tinta per secoli ha simboleggiato la povertà e l’umiltà. Ad esempio era tipico degli abiti monastici e dopo la Riforma protestante lo si riteneva un “colore onesto”, degno di un buon cristiano – a differenza dei colori sgargianti tipici della Chiesa Romana “dissoluta”.

 

Anticamente, come testimonia Ariosto, la scorza di castagna indicava una particolare tonalità del marrone (prima della coniazione del termine). Il termine “marrone” ha anche ispirato alcune espressioni negative come “marronare” o “smarronare” (dire spropositi) oppure “marronata” (clamoroso sproposito) e altre ancora. Inoltre molti sono i modi di dire e proverbi (positivi o negativi) che hanno la castagna come soggetto.

 

Nell’Antichità dal castagno (radici, cortecce, foglie e frutti) si ricavavano anche cosmetici e medicamenti così anche nei secoli successivi. Tuttora in alcuni prodotti di erboristeria è possibile trovarlo.

 

Soprattutto agli inizi del XX secolo i tannini estratti dalle cortecce e dal legno del castagno si usavano nelle concerie industriali ma già con il 1940 si ricorsero ad altre sostanze.

 

Le castagne in passato hanno rappresentato un’importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani, d’alta collina. Così il castagno è un albero che si collega fortemente all’ambiente campagnolo e contadino dell’Europa meridionale, con tale accezione infatti nel corso dei secoli molti pittori, poeti e scrittori ne hanno fatto riferimento nelle loro opere.

 

Attualmente il castagno è simbolo di previdenza, invita a pensare in previsione di quella che sarà la vecchiaia. Sognare il suo frutto pare che segnali il pericolo di essere vittime di una brutalità di avvenimenti spiacevoli. Se si sogna di “raccogliere castagne o tirarle nel fuoco” pare che annunci sforzi inutili non disgiunti da rischi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Cattabiani, Alfredo, Florario, Mondadori, Milano 2016.

Cattabiani, Alfredo, Lunario, Mondadori, Milano 2002.

Coupal, Marie, I simboli dei sogni. Analisi psicologica, psicoanalitica, esoterica e mitologica, Il Punto d’Incontro, Vicenza 2000.

Pastoureau, Michel, Nero. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, Milano 2008.

Pastoureau, Michel, Verde. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, Milano 2008.

Pastoureau, Michel, Simonnet, Dominique, Il piccolo libro dei colori, Ponte alle Grazie, Milano 2006.

Pastoureau, Michel, I colori del nostro tempo, Ponte alle Grazie, Milano 2010. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]