Il castagno e la sua simbologia
TRA usi e tradizioni
di Giulia
Cesarini Argiroffo
Il castagno, Castanea sativa,
appartiene alla famiglia delle
Fagacee, vive nell’Europa
meridionale e orientale, soprattutto
nelle zone montane e collinari. È un
albero piuttosto adattabile tranne
che nei terreni calcarei. Esso può
raggiungere i 30 metri di altezza e
i 15 di circonferenza e vivere oltre
mille anni.
Già dal Neolitico l’Uomo iniziò a
usare edinteressarsi a questa
pianta, anche se la sua origine non
è molto chiara.
Nello specifico è noto che il suo
nomescientifico, in latino,”Castanea”,
identico al greco, deriva da
Castanis, una città del Pontosituata
in Asia Minore dalla quale la
piantas’importò, durante
l’Antichità, prima in Grecia poi in
Italia e in seguito nel resto
d’Europa.
La massima diffusione delle
coltivazioni di castagno cominciò
con gli Antichi Greci, proseguì con
gli Antichi Romani e durante il
Medioevo, in particolaregrazieai
monaci.Il castagno serviva
soprattutto per il suo frutto,come
risorsa alimentare e per il suo
legno, come materiale da costruzione
e per realizzare manufatti
artigianali. Infatti il legno del
castagno è duro, resistente ma
facile da lavorare.
Esistono diverse varietà di castagni
con le loro peculiarità.
In generaleil frutto è detto
“castagna”, un achenio, il cui seme
è ricco di amido. Un involucro
spinoso, detto ‘riccio’, li
racchiude. Una volta maturo il
riccio si apre dividendosi in
quattro valve. Le pareti del frutto,
il pericarpo, sono color marrone.
La castagna fin dall’Antichità fu
adoperata per il consumo alimentare,
oggigiorno lo è meno. Attualmente la
si usa principalmente per il consumo
diretto nei mesi autunnali come con
le caldarroste, per produrre la
farina di castagne, delle confetture
e per la creazione di dolci (come il
marron glacé, il castagnaccio, il
Panmorone) e altre pietanze.
Marginalmente si impiega anche come
mangime per gli animali domestici.
I Latini chiamavano le castagne”Iovisglandes”,
cioè “ghiande di Giove”, perché la
struttura dell’albero di cui erano
frutto evocava loro il dio supremo,
reggitore dell’universo. Infatti
esso ha un tronco corto ma possente
edhai rami che si allarganoin tutti
i sensi,ciòrende la chioma imponente
e l’aspetto esteriore del suo frutto
sull’albero ricorda un po’ quello
delle ghiande.
Per l’impollinazione, i castagni si
avvalgono principalmente degli
insetti, soprattutto delle api.
Queste ultime adorano il nettare dei
loro fiori e grazie ai quali
producono un peculiare miele,
piuttosto scuro, consumato
dall’Antichità ai giorni nostri.
Gli Antichi facevano largo consumo
delle castagne. Ad esempio, in
ambito gastronomico, ne sono
testimonianza per gli Antichi Romani
gli scritti di Plinio Il Vecchio,
Columella, Apicio e Marziale.
Nell’Alto Medioevo entrarono nel
patrimonio alimentare del popolo. Ad
esempio come elemento integrativo o
sostitutivo del grano grazie alla
farina che se ne ricavava, o come
frutti da minestra al pari dei
legumi o abbinati a essi, oppure in
molti altri modi.
Ottobre è il mese in cui le castagne
maturano. In passato, in epoca
contadina, nelle zone dei
castagnetiper il loro recupero si
mobilitava tutta la popolazione.
Questi frutti servivano come
alimentoe si celebrava tale raccolta
con delle feste. Tuttora ci sono
sagre e manifestazioni gastronomiche
in loro onore.
Per cristianizzareil Capodanno dei
Celti, che era posto nel cuore
dell’autunno e dopo la fine della
stagione agraria – infatti era
inteso come capo d’anno (agrario) –
la Chiesa stabilì due festività
religiose. Nello specifico,
s’istituirono la Festa di Ognissanti
e quella della Commemorazione dei
Defunti. Considerando che per secoli
le varie chiese cattoliche godevano
di una certa autonomia da Roma
inizialmente queste due festività si
celebrarono,a partire dal 998 d.
C.,solo in Francia. Poi gradualmente
si diffusero in tutta Europa e a
Roma giunsero soltanto nel XIV
secolo. Nel 1475 Papa Sisto IV le
rese obbligatorie per la Chiesa
Universale. Durante la ricorrenza
dei Defunti vi era la credenza,
diffusa ancora adesso in alcune zone
italiane ed europee, secondo cui i
morti tornavano a casa una volta
l’anno e mangiavano il cibo che si
preparava per loro. Così fin dal
Medioevo si pensava che le castagne
fossero simbolicamente uno dei cibi
adatti per i morti.
A tal proposito, come notava
Cattabiani, esistevano tradizioni in
passato riguardanti questi
fruttichein taluni casi si
conservano tutt’oggi.
Ad esempio, nella Vienne, in
Francia, durante la notte che
precedeva la Commemorazione dei
Defunti ci si riuniva nei castagneti
per cuocere le castagne. Ancor oggi,
a Marsiglia, in Francia, si dice che
bisogna nascondere qualcuno di
questi frutti sotto il cuscino per
evitare che gli spiriti dei morti
vengano di notte a tirare il
malcapitato per i piedi. Una volta
in Piemonte, maanche in altre zone
dell’Europa celtica, nella notte tra
il 1 e 2 novembre i contadini
lasciavano delle castagne su una
tavola di casa perché i poveri morti
se ne potessero nutrire. In Friuli e
in Veneto la notte fra il 1 e il 2
novembre si consumavano i cibi dei
morti tra cui le castagne, il tutto
secondo unaparticolare tradizione.
Durante il Giorno dei Morti in
Piemonte (ma anche specificatamente
a Venezia, nell’odierno Veneto), si
mangiavano questi frutti con un
rituale specifico. Così come il
giorno di San Martino (l’11
novembre) ancora oggi nella pianura
padana si celebra questa festività
con un banchetto in cui sono
presenti. Come recita un proverbio
piemontese “Oca, castagne e vino,
tieni tutto per San Martino” (inteso
per il banchetto). In Valle d’Aosta,
nel pomeriggio di Ognissanti, nei
caffè e nelle osterie si offrivano
caldarroste agli avventori, mentre
nelle famiglie era in uso cospargere
questi frutti di grappa e di
zucchero e servirli in tavola alla
fiamma.
In Liguria nel giorno dei Defunti si
mangiavano i “ballotti”, cioè
castagne fresche bollite con la
scorza. In Brianza, come notava
Cattabiani, si consumavano lesse sia
il giorno di Ognissanti che il
giorno della Giubianna, che era il
giorno del giovedì grasso che si
dedicava alle donne. A Ferrara
questi fruttisi mangiavano il giorno
di San Martino brindando
ironicamente alla gloria degli
uomini sposati e al patrono delle
loro corna. Inoltre in occasione
della sagra di San Giuseppe (19
marzo) era in uso per gli uomini
fidanzati regalare alla propria
fidanzata la “mistoca”, una
frittella di castagne che
simboleggiava la fine dell’inverno.
Se in precedenza la gente elogiava
questi frutti indiscutibilmente, con
il Rinascimento le persone
dell’epoca diventarono più critiche
nei loro confronti decantandone
tanto i pregi quanto i difetti.
Infatti gradualmente divenne cibo
voluttuario venduto dagli ambulanti
nelle vie cittadine, lo testimonia
un’incisione della fine del XVI
secolo nel repertorio degli
ambulanti. Questo un po’ come
avviene al giorno d’oggi, seppure in
maniera molto più contenuta rispetto
a quanto accadeva in passato.
Nell’Antichità e per secoli fu
difficile tingere le stoffe. Ad
esempio per ottenere il colore nero
furono diverse le sostanze che si
impiegarono, fra queste molte erano
di natura vegetale a base di
cortecce o di radici ricche di
tannino come quelle del castagno. La
resa però era fin da subito
insoddisfacente e instabile e
l’aspetto di tali abiti risultava
smorto, sgradevole e sporco. Inoltre
tali capi d’abbigliamento
resistevano male all’effetto del
sole ai lavaggi e all’uso
prolungato, nel giro di poco
tendevano a scolorirsi, a
opacizzarsi e a sbiadirsi. In
sostanza però dall’Antichità fino al
Medioevo i prodotti neri adoperati
dai tintori erano raramente dei veri
e propri neri piuttosto tendevano a
essere marroni, grigi, blu scuri e
non distribuiti in maniera regolare
sulla stoffa e ciò conferiva ai capi
un colore sgradevole.
Per questa ragione per secoli queste
cromie furono relegate alle classi
sociali più umili, povere, ai
lavoratori ritenuti più degradanti
come gli artigiani che si sporcavano
le mani esercitando la loro
professione (ad esempio fabbri,
tintori, carbonai, ecc…). Fino a
circa il XIV secolo non si fu in
grado in Occidente di tingere le
stoffe nere in maniera stabile,
brillante e duratura poi le sorti
del colore nero cambiarono
diventando di moda. Il castagno
comune si usava anche per tingere
gli abiti anche di altri colori tra
cui il marrone. Anche in pittura le
cortecce e le radici del castagno si
adoperarono per produrre pigmenti.
“Marrone” è la varietà di un frutto
di castagno, esso è grosso, ovale,
non schiacciato da un lato come la
castagna comune, perché se ne forma
uno solo per riccio. Questo nome
comparve nel XVI secolo ed è di
etimologia incerta, da esso deriva
anche il termine “marrone”inteso
come colore, che venne coniato
all’incirca nel XVIII secolo.
Marrone (come cromia) è sinonimo di
castano, ma è d’uso generico perché
evoca tante gradazioni. Questa tinta
per secoli ha simboleggiato la
povertà e l’umiltà. Ad esempio era
tipico degli abiti monastici e dopo
la Riforma protestante lo si
riteneva un “colore onesto”, degno
di un buon cristiano – a differenza
dei colori sgargianti tipici della
Chiesa Romana “dissoluta”.
Anticamente, come testimonia
Ariosto, la scorza di castagna
indicava una particolare tonalità
del marrone (prima della coniazione
del termine). Il termine “marrone”
ha anche ispirato alcune espressioni
negative come “marronare” o
“smarronare” (dire spropositi)
oppure “marronata” (clamoroso
sproposito) e altre ancora. Inoltre
molti sono i modi di dire e proverbi
(positivi o negativi) che hanno la
castagna come soggetto.
Nell’Antichità dal castagno (radici,
cortecce, foglie e frutti) si
ricavavano anche cosmetici e
medicamenti così anche nei secoli
successivi. Tuttora in alcuni
prodotti di erboristeria è possibile
trovarlo.
Soprattutto agli inizi del XX secolo
i tannini estratti dalle cortecce e
dal legno del castagno si usavano
nelle concerie industriali ma già
con il 1940 si ricorsero ad altre
sostanze.
Le castagne in passato hanno
rappresentato un’importante risorsa
alimentare per le popolazioni rurali
degli ambienti forestali montani,
d’alta collina. Così il castagno è
un albero che si collega fortemente
all’ambiente campagnolo e contadino
dell’Europa meridionale, con tale
accezione infatti nel corso dei
secoli molti pittori, poeti e
scrittori ne hanno fatto riferimento
nelle loro opere.
Attualmente il castagno è simbolo di
previdenza, invita a pensare in
previsione di quella che sarà la
vecchiaia. Sognare il suo frutto
pare che segnali il pericolo di
essere vittime di una brutalità di
avvenimenti spiacevoli. Se si sogna
di “raccogliere castagne o tirarle
nel fuoco” pare che annunci sforzi
inutili non disgiunti da rischi.
Riferimenti bibliografici:
Cattabiani,
Alfredo, Florario, Mondadori,
Milano 2016.
Cattabiani,
Alfredo, Lunario, Mondadori,
Milano 2002.
Coupal,
Marie, I simboli dei sogni.
Analisi psicologica, psicoanalitica,
esoterica e mitologica, Il Punto
d’Incontro, Vicenza 2000.
Pastoureau,
Michel, Nero. Storia di un colore,
Ponte alle Grazie, Milano 2008.
Pastoureau,
Michel, Verde. Storia di un
colore, Ponte alle Grazie,
Milano 2008.
Pastoureau,
Michel, Simonnet, Dominique, Il
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Pastoureau,
Michel, I colori del nostro tempo,
Ponte alle Grazie, Milano 2010.