N. 115 - Luglio 2017
(CXLVI)
o fortuna, velut luna
i simboli apotropaici della Grecia e di Roma antica
di Alessandra Romeo
Da sempre l’uomo ha cercato e creato simboli di buon augurio, protezione e richiamo delle energie positive. Questa è una costante di ogni civiltà, dalla preistoria ai giorni nostri.
Nell’antica
Grecia
i
principali
simboli
apotropaici
erano
l’occhio,
il
gorgonèion
e
gli
organi
sessuali.
Fondamentale
per
questo
studio
è la
produzione
vascolare,
che
offre
un’ampia
varietà
di
raffigurazioni
esemplificative.
Celebri
tra
i
vasi
greci
sono
le
coppe
che
presentano
sulla
parete
esterna
due
grandi
occhi.
Bevendo,
esse
erano
avvicinate
al
viso
e
ciò
comportava
che
quest’ultimo
fosse
totalmente
coperto
dal
vaso.
Chi
si
trovava
di
fronte
al
bevitore,
quindi,
vedeva
solo
due
grandi
occhi:
il
vaso
diventa
come
una
maschera
posta
sul
viso
che
fissava
lo
spettatore.
Gli
occhi,
in
tal
modo,
fungevano
da
protezione
contro
i
malefici
del
vino,
gli
sguardi
maligni
degli
spettatori
che
osservano
chi
beve
e,
addirittura
un
mezzo
per
lanciare
agli
altri
il
malocchio
o
per
dare
la
sensazione
ai
convitati
di
essere
controllati
nonostante
il
volto
coperto.
Queste
kylikes
danno
una
parvenza
di
controllo
sulla
sorte
propria
e
altrui.
Un
esempio
è la
kylix
attica
del
VI
secolo
a.C.
conservata
al
The
Walter
Art
Museum
di
Baltimora
(inv.
48.37).
Come
simbolo
di
protezione,
l’occhio
è
presente
anche
in
contesti
ben
diversi:
la
guerra,
la
lotta
in
armi
e la
danza
in
armi,
la
cosiddetta
pirrica.
Lo
scopo
era
proteggersi
dalla
morte
e
dagli
attacchi
del
nemico,
ecco
perché
lo
troviamo
rappresentato
in
genere
sugli
scudi.
Un
altro
simbolo
apotropaico
è il
gorgonèion.
È la
testa
della
Gorgone
Medusa,
famosa
per
pietrificare
col
solo
sguardo
il
malcapitato
che
osava
guardarla
negli
occhi
e
per
essere
stata
recisa
da
Perseo.
La
testa
presenta
zanne
di
cinghiale
al
posto
dei
denti
e
serpenti
per
capelli.
È
l’incarnazione
della
morte,
di
fronte
alla
quale
si è
inermi,
come
pietrificati.
Moltissimi
sono
i
vasi
su
cui
è
rappresentato:
sia
come
attributo
della
dea
Atena,
che
lo
pone
sul
suo
petto
una
volta
donatole
da
Perseo,
sia
raffigurato
sugli
scudi
dei
guerrieri,
sia
come
una
vera
e
propria
maschera
contro
gli
influssi
maligni.
La
kylix
del
Gruppo
di
Leagros
(ABV
380.296)
proveniente
da
Cerveteri,
datata
al
525-500
a.C.
e
conservata
presso
il
Cabinet
des
Médailles
di
Parigi
(inv.
322),
offre
un
esempio
di
connubio
di
simboli
augurali.
In
essa,
infatti,
abbiamo
sia
gli
occhi
sul
lato
esterno,
che
il
gorgonèion
sul
tondo
interno.
Il
fallo
eretto,
infine,
è
presente
in
diversi
contesti
iconografici,
prima
fra
tutti
le
scene
erotiche
e di
corteggiamento
e in
ambito
dionisiaco.
Ha,
quindi,
diversi
significati
a
seconda
delle
scene
rappresentate:
simbolo
apotropaico,
di
fertilità
e
fecondità.
Esempi
sono
le
scene
in
cui
è
raffigurata
un’erma:
era
una
pietra
angolare
sormontata
da
una
testa
e da
una
parte
del
busto
scolpiti,
collocata
principalmente
lungo
le
strade,
negli
incroci,
sui
confini
delle
proprietà
terriere.
Raffigurava
in
origine
il
dio
Ermes
ed
era
simbolo
di
protezione
della
proprietà
terriera
e
dei
viaggiatori.
Esemplificativo
è il
cratere
a
calice
del
Pittore
di
Pantoxena
(ARV²
1050.4),
proveniente
da
Camarina,
datato
al
terzo
venticinquennio
del
V
secolo
a.C.
e
conservato
al
Museo
Archeologico
Regionale
Paolo
Orsi
di
Siracusa
(inv.
22934).
L’erma
è
raffigurata
con
uno
skyphos
e il
caduceo,
attributo
di
Ermes,
alla
presenza
di
una
menade
con
tirso
e un
satiro
con
torcia
e un
kantharos.
Reperti
apotropaici
sono
anche
le
teste
fittili
di
Acheloo.
Egli
era
un
dio
fluviale
dell’Etolia.
Sulla
sua
nascita
le
fonti
non
son
concordi,
alle
volte
è
indicato
come
figlio
di
Oceano
e
Teti,
altre
come
figlio
di
Helios
e
della
Terra,
altre
ancora
di
Poseidone.
Il
mito
narra
che
in
origine
il
nome
era
Forbante,
ma
un
giorno
un
uomo
di
nome
Acheloo
fu
ferito
a
morte
da
una
freccia
e
cadde
nelle
sue
acque
e da
allora
il
fiume
ne
prese
il
nome.
Egli
aveva
il
dono
della
metamorfosi
e
nella
lotta
contro
Herakles
per
la
mano
di
Deianira,
figlia
di
Eneo,
re
di
Calidone
in
Etolia,
il
dio
assunse
le
sembianze
di
un
toro.
Herakles
riuscì
a
strappare
una
delle
sue
corna
ed
Acheloo
si
arrese
all’eroe.
Il
dio,
tuttavia,
volle
indietro
il
suo
corno
e in
cambio
ne
donò
all’eroe
uno
della
capra
Amaltea,
la
nutrice
di
Zeus,
che
donava
fiori
e
frutti
ed è
da
identificare
nella
famosa
cornucopia,
ossia
corno
dell’abbondanza
(cfr.
Apollod.
Bibliotheca
1,
8,
1;
2,
7,
5;
D.
S.
4,
35,
3
ss.;
S.
Tr.
9-21;
Hyg.
fab.
31).
Un
esempio
nella
tradizione
vascolare
attica
della
mitica
lotta
è il
cratere
a
colonnette
conservato
presso
il
Musée
du
Louvre
(inv.
G
365),
proveniente
da
Agrigento
e
datato
intorno
al
450
a.C.
circa.
Il
vaso
mostra
il
dio
ormai
sconfitto
e,
come
a
enfatizzare
la
perdita
subita,
un
corno
potorio
ai
piedi
di
Herakles.
L’effigie
barbata
del
dio
con
corna
taurine
assunse,
quindi,
valore
apotropaico
in
tutta
la
Grecia.
Un
esempio
è l’appliqué
greco-orientale
a
forma
della
testa
del
dio,
conservata
al
Thorvaldsens
Museum
di
Copenaghen
e
datata
al
500
a.C.
circa.
In
epoca
romana,
infine,
i
simboli
principali
erano
gli
astragali,
le
mani
apotropaiche,
il
gorgonèion,
i
falli
eretti
e la
cornucopia.
Quest’ultima
è
raffigurata
in
ben
138
gemme
romane
dell’Archivio
Beazley
e
gli
schemi
iconografici
seguiti
sono
essenzialmente
due:
un
personaggio,
divino
o
umano,
con
una
cornucopia
piena
di
frutti,
oppure
il
semplice
corno
augurale.
L’oggetto
per
antonomasia
del
buon
augurio,
tuttavia,
rimane
il
tintinnabulum,
con
sonagli
alle
estremità
e
posizionato
sull’uscio
di
casa
per
allontanare
le
influenza
negative.
Uno
degli
esempi
più
belli
è
l’esemplare
polifallico
che
presenta
cinque
falli,
simbolo
anche
di
opulenza,
quattro
dei
quali
posizionati
come
se
fossero
delle
corna,
proveniente
da
Pompei
e
conservato
al
Museo
Archeologico
di
Napoli
(inv.
27854).
Riferimenti
bibliografici:
ABV:
J.
D.
Beazley,
Attic
Black-Figure
Vase-Painters
Oxford
1956.
ARV²:
J.
D.
Beazley,
Attic
Red-Figure
Vase-Painters,
Oxford
1963.