N. 36 - Dicembre 2010
(LXVII)
sidi bou said
Meraviglia azzurra
di Giulia Gabriele
Sotto
un
cielo
bianco
di
nuvole
e
serenamente
azzurro,
si
arricciano
case
bianche
e
azzurre.
Questi
sono
i
colori
di
un
villaggio,
considerato
una
perfetta
riproduzione
di
un
borgo
arabo-andaluso,
le
cui
origini
risalgono
ai
Cartaginesi.
Questa
è
Sidi
Bou
Said,
la
città
azzurra.
Situata
a
pochi
chilometri
a
nord
di
Tunisi
su
una
rocca
a
strapiombo
sul
Mediterraneo,
prende
questo
nome
dal
suo
santo
patrono
Bou
Said
Khalaf
el
Beji,
che
vi
si
ritirò
in
preghiera
intorno
al
1220
e in
onore
del
quale
fu
eretto,
dietro
al
celeberrimo
Café
des
Nattes
(Caffè
delle
stuoie),
un
marabutto
(mausoleo
a
cupola).
Tipici
di
questa
cittadina
sono
i
fiori
delle
buganvillee
e di
gelsomino,
grazie
ai
quali,
tra
maggio
e
ottobre,
è
possibile
passeggiare
per
le
stradine,
linde
e
ordinate,
inebriati
dal
loro
dolce
aroma,
che
accoglie
e
trascina
il
turista-viaggiatore
nei
vicoli
luminosi
del
villaggio,
nei
suoi
caffè
dove
si
beve
dell’ottimo
tè
(il
già
citato
Caffè
delle
stuoie
–
dove
gli
avventori
seggono,
privi
delle
scarpe
–
per
esempio,
è
famoso
per
quello,
squisito,
alla
menta
e
pinoli),
tra
le
bancarelle
del
mercato
pigolanti
di
voci
e a
osservare
il
Mediterraneo,
che
lambisce
la
roccia
della
città
azzurra.
I
piani
rialzati
delle
abitazioni
sono
forniti
di
verande
in
legno
lavorato,
che
fungono
anche
(e
soprattutto)
da
veli
protettivi
per
i
raggi
solari,
dalle
quali
le
donne
potevano
(e
possono)
guardare
la
vita
che
scorre
nelle
vie
senza,
però,
esser
viste.
La
strada
principale,
ordinatamente
affollata
di
negozi,
termina
davanti
al
Café
des
Nattes,
dietro
al
quale
si
erge
il
faro,
costruito
nel
1860
sul
punto
più
alto
del
colle.
Tutto
il
borgo
è
posto
a
vincolo
conservativo
e
gli
abitanti
non
possono
che
ridipingere,
qualora
ce
ne
fosse
bisogno,
l’esterno
delle
loro
abitazioni
o
dei
loro
esercizi
commerciali
di
bianco
e
azzurro.
Il
mattone,
argilloso,
diventa
bianco,
le
inferriate
panciute
forse
grigie,
le
porte
forse
marroni
e le
finestre
forse
anonime
diventano,
a
loro
volta,
azzurre.
Azzurre
come
il
cielo,
azzurre
come
il
mare.
E
così,
Sidi
Bou
Said
diventa
la
città
sospesa:
sospesa
tra
cielo
(tunisino)
e
mare
(nostrum).
L’antica
città
cartaginese
è
scomparsa
per
sempre,
non
ne
rimane
traccia.
Al
suo
posto,
però,
si
staglia
un
avamposto
di
intelligenza
e
rispetto.
Qui
la
natura
non
è un
ostacolo
da
superare,
ma
una
madre
benevola
da
coinvolgere,
dalla
quale
essere
circondati
nell’abbraccio
dei
boccioli
appena
schiusi,
con
i
primi
raggi
del
mattino,
e
del
vento,
che
scarmiglia
i
capelli
e il
cuore.
Le
case
rifrangono
il
sole,
non
lo
oscurano
e il
sole,
dal
canto
suo,
dona
i
rossi,
gli
arancioni,
i
rosa
e i
gialli
alla
città
bianca
e
azzurra.
Qui
si
sono
rifugiati
grandi
artisti,
pensatori
e
scrittori
come
Paul
Klee,
André
Gide
e
Simone
de
Beauvoir.
Qui
nasce
il
tempo.
Il
tempo
di
gustare
una
tazza
di
tè.
Il
tempo
di
vedere.
Qui,
a
venti
chilometri
da
Tunisi
e a
“qualcuno”
di
più
dal
deserto,
si è
parte
di
tutto
e
privi
di
niente.