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N. 101 - Maggio 2016 (CXXXII)

quale sicurezza e quale libertà?
la difesa della democrazia attraverso l'ampliamento dei diritti

di Giacomo Porporato

 

Sfogliando le pagine di un quotidiano o ascoltando i servizi di un telegiornale, è quasi impossibile non imbattersi in reportage o notizie che trattino di un attentato terroristico avvenuto in qualche città del mondo.

Bruxelles 2016, Parigi 2015, Londra 2005, Madrid 2004 sono solo alcuni degli attacchi più drammatici che l’Europa ha vissuto negli anni recenti. Senza dimenticare, ovviamente, le stragi susseguitesi a ritmi impressionanti in gran parte del Medio Oriente, in Africa e in numerose realtà dell’Asia.

 

La fine delle relazioni bipolari e l’avvento della globalizzazione hanno indotto una forte accelerazione nel contesto internazionale, ponendo sfide inedite che, spesso, gli Stati non hanno saputo o potuto affrontare. Molti governi nazionali si sono ritrovati a fare i conti con fenomeni complessi e articolati, che superavano le proprie competenze e di cui spesso era difficile comprenderne la natura. La grande finanza globale ha indebolito la sovranità economica di paesi un tempo floridi e le grandi migrazioni internazionali hanno sgretolato i confini esterni faticosamente difesi con guerre e conflitti violenti.

 

Di recente, poi, il terrorismo islamista ha frammentato la razionalità occidentale, istillando un senso di insicurezza diffusa e modificando ampiamente la routine sociale e politica delle più importanti democrazie mondiali. Per queste ragioni, riprendendo le riflessioni del celebre sociologo tedesco Ulrich Beck, è possibile affermare l’approdo definitivo alla “società del rischio”, in cui si registra un crollo drammatico della fiducia e un senso profondo di paura e di smarrimento.

 

Di fronte a questi cambiamenti epocali e alle intimidazioni poste dal terrorismo internazionale, gli studiosi e le classi politiche occidentali si sono interrogati circa le modalità più efficaci per garantire la sicurezza dei propri cittadini e il dilemma tra la tutela delle libertà fondamentali e l’esigenza di difendere la nazione è esploso in tutta la sua drammaticità.

 

Da più parti, si è invocata immediatamente la necessità di limitare lo spazio d’azione dei cittadini, con l’intento dichiarato di restringere i margini di manovra dei soggetti affiliati alle organizzazioni terroristiche. In questo senso vanno lette le numerose legislazioni emergenziali approntate dalla maggior parte dei governi occidentali all’indomani dell’11 settembre 2001.

Con una rapidità talvolta eccessiva e fuorviante, si è proceduto a istituire una sorta di sistema giudiziario “parallelo”, sotto la cui giurisdizione rientravano i casi di sospette attività terroristiche. Un esempio emblematico di tale tendenza è rappresentato certamente dallo “USA Patrioct Act”, attraverso il quale l’amministrazione Bush ha derogato all’ordinario apparato di garanzie costituzionali al fine di perseguire più velocemente i presunti estremisti.

 

Dopo 15 anni di “guerra al terrore”, la domanda da porsi è se gli strumenti messi in campo con tale prontezza dalle democrazie mondiali abbiano raggiunto i risultati attesi. Certamente, gli Stati Uniti non hanno sperimentato altri attentati sul proprio territorio nazionale, ma il quadrante medio-orientale risulta assolutamente ingovernabile e le minacce di nuovi soggetti eversivi, come lo Stato islamico, non paiono meno pericolose o credibili di quelle avanzate anni fa da Osama Bin Laden. Oltre a questo, poi, sembra che i movimenti terroristici di matrice islamista abbiano ottenuto un seguito molto più forte e radicato, soprattutto tra gli immigrati di seconda generazione presenti in molte città europee.

 

In realtà, le alternative a tale approccio “muscolare” non mancano. Da anni, i giuristi e gli esperti di diritto pubblico hanno cercato di porre l’accento non tanto sulla restrizione temporanea e indiscriminata delle libertà individuali, quanto sull’introduzione di norme il più possibile circoscritte e specifiche che intervengano in maniera preventiva.

In pratica, la strada ottimale per difendere le democrazie consolidate, e garantire così la sicurezza dei propri cittadini, sarebbe quella di delineare strumenti, anche di carattere costituzionale, in grado di arginare la diffusione di ideologie contrarie allo spirito democratico. In questa categoria, rientrano, per esempio, le limitazioni imposte alle finalità dei partiti politici o i procedimenti aggravati di revisione della costituzione.

 

Seguendo tale percorso, le istituzioni democratiche non pongono in secondo piano il tema, importantissimo, della sicurezza, ma affrontano le minacce eversive rispettando la propria natura liberale, evitando, per dirla con le parole del giurista Stefano Ceccanti, che, in nome di un pericolo più o meno concreto, “la madre (la democrazia) soffochi la figlia più cara (la libertà)”.

 

Allargando però l’orizzonte d’analisi, l’elemento centrale da considerare nel dibattito tra difesa dello Stato e libertà civili sembra essere un altro: quale tipologia di sicurezza i moderni governi democratici devono garantire? Anche in un mondo dinamico e frammentato come quello globalizzato, ha senso perseguire la difesa dei confini nazionali?

 

Come ha osservato il sociologo Paolo Ceri, se è possibile parlare di libertà positiva, intesa come capacità del cittadino di realizzare la propria volontà, e di libertà negativa, concepita invece come assenza di impedimenti, allora si possono rintracciare anche due tipologie di sicurezza. Da una parte, la sicurezza negativa, ossia la certezza di essere difesi da attacchi interni o esterni che limitano l’azione dell’individuo; dall’altra, la sicurezza positiva, e cioè il riconoscimento di diritti e bisogni che, qualora respinti, producono inquietudine e malessere.

 

In tale contesto, rafforzare la sicurezza negativa significa aumentare la capacità di intervento degli apparati repressivi, estendere gli strumenti di sorveglianza e controllo e limitare gli spazi d’azione dei cittadini. Al contrario, la tutela della sicurezza positiva si traduce in un ampliamento della partecipazione, e quindi delle libertà civili e politiche, combattendo attivamente l’aumento delle diseguaglianze e dell’esclusione sociale, concause primarie del fenomeno terroristico, come dimostrano le storie degli estremisti coinvolti nei recenti attacchi al teatro Bataclan.

 

Se quindi appare controproducente negare l’esistenza di un problema di sicurezza e di protezione dei moderni sistemi liberali, è pur vero che le opzioni messe in campo dai governi occidentali appaiono obsolete e limitate. Nessuno Stato potrà ritenersi realmente sicuro innalzando semplicisticamente il livello di guardia degli apparati di polizia. La democrazia riuscirà a difendersi e a salvarsi soltanto attraverso il riconoscimento di diritti e istanze ora negate. D’altronde, come scriveva nel 1755 lo scienziato e politico statunitense Benjamin Franklin, “chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”.



 

 

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