N. 75 - Marzo 2014
(CVI)
VISITANDO LA CORTE NORMANNA
VIAGGIO TRA LE MERAVIGLIE DELLA CORTE SICILIANA NEL XII SECOLO
di Francesco Carbonaro
Il
viaggiatore
che,
nel
XII
secolo,
percorreva
la
valle
dell’Oreto
presto
sarebbe
giunto
alla
capitale
del
regno
normanno
di
Sicilia,
città
faro
del
Mediterraneo,
crogiolo
multietnico
unico
nel
sistema
urbano
occidentale:
Palermo.
Questa
“metropoli”
medievale
era
la
dimora
degli
Hauteville,
casata
degli
“uomini
del
nord”
(north-men)
che,
nella
seconda
metà
del
secolo
precedente,
avevano
sottratto
all’orbita
mussulmana
la
Sicilia,
prima
terra
crociata.
Raggiungendo
il
cuore
urbano,
questo
viaggiatore
si
sarebbe
avventurato
nei
meandri
di
una
città
ancora
legata
alle
dominazioni
precedenti;
dai
bazar
islamici,
alle
chiese
di
rito
greco
o
latino,
la
capitale
del
regno
di
Sicilia
possedeva
un
volto
ricco
di
sfaccettature,
multiforme
nel
carattere.
Tra
le
prime
costruzione
che
balzavano
agli
occhi
dei
viandanti
vi
era
la
chiesa
di
San
Cataldo,
famosa
per
le
cupole
rosse
di
chiara
derivazione
araba
e
probabilmente
qui
avrebbe
sentito
parlare
della
sfortunata
vicenda
di
Maione
di
Bari,
il
quale
era
stato
il
fondatore
di
quella
costruzione
di
cui
non
aveva
potuto
mirare
la
conclusione,
essendo
stato
ucciso
dal
genero
Matteo
Bonello
invischiato
in
una
congiura
volta
alla
soppressione
del
“primo
ministro”
di
Guglielmo
I.
Proseguendo
il
proprio
cammino
verso
il
centro
politico
e
amministrativo
della
città,
il
viaggiatore-spettatore
sarebbe
rimasto
abbacinato
dal
carattere multietnico
che
la
popolazione
mostrava;
avrebbe
potuto
mirare
uomini
in
caftani,
donne
abbigliate
in
fogge
tipicamente
mussulmane,
fregiate
da
tessuti
finissimi
alcuni
dei
quali
servivano
per
coprire
il
volto,
uomini
in
cotte
di
maglia
o in
armature
che
denotavano
la
chiara
derivazione
nord
europea,
altri
potevano
indossare
giornee,
cioppe
o
gabbani
e
tutto
questo
al
suono
del
muezzin.
Il
panorama
che
si
prospettava
potrebbe
essere
immortalato
in
un
dipinto
dai
colori
più
sgargianti
e
dalle
tinte
più
cangianti;
il
fascino
dell’esotico
si
mischiava
alla
ben
più
concreta
realtà
latina
e
occidentale,
per
la
quale
era
stata
fondamentale
la
cultura
greca.
Se
il
viaggiatore
fosse
stato
un
uomo
facoltoso
e
degno
di
comparire
alla
presenza
del
sovrano,
egli
sarebbe
stato
spettatore
della
magnificenza
della
cappella
palatina,
all’interno
della
quale
poteva
ritrovare
tutti
gli
elementi
scorti
fuori,
in
una
nuova
e
splendida
mescolanza;
la
coesistenza
dell’arte
bizantina
con
lo
stile
mussulmano,
già
scorto
presso
la
chiesa
di
san
Cataldo,
all’interno
della
cappella
palatina
acquisisce
un’impareggiabile
bellezza
che
permette
l’accostamento
di
metodologie
e
stilemi
di
decorazione
così
distanti.
Potrebbe
essere
il
luogo
dell’armonia,
allegoria
della
realtà
che
il
passaggio
dalla
casata
kalbite
a
quella
normanna
aveva
creato;
un
unicum
nel
panorama
occidentale
e
non
solo.
Nel
catino
absidale,
noto
ai
frequentatori
di
Monreale,
vi
si
trova
la
chiara
e
rifulgente
presenza
bizantina,
che
risplende
nella
figura
centrale
del
Cristo
Pantocrator,
motivo
iconografico
già
conosciuto
ma
qui
rinvigorito
dallo
straordinario
accostamento
con
gli
altri
stili.
La
cappella
è,
infatti,
ricoperta
da
un
soffitto
nel
quale
maestranze
arabe
avevano
creato,
con
i
celeberrimi
muqarnas,
un
complesso
sistema
decorativo
ligneo,
caratterizzato
da
un
gioco
di
luci
e
ombre
che
conferisce
l’impressione
del
movimento,
accentuato
dalle
scene
di
danza
che
decorano
queste
“stalattiti”,
le
quali
sembrano
indicare
lo
splendido
pavimento
realizzato
con
una
perizia
degna
dei
maestri
cosmati.
A
questa
immagine
si
aggiunga
lo
splendore
dei
mosaici
che
rifulgono
di
luce
la
quale,
protagonista
assoluta,
crea
una
perfetta
armonia
delle
parti
che
sconvolge
lo
spettatore
e lo
avvolge
in
un
turbine
di
bellezza.
Entrando
in
contatto
con
il
re e
la
sua
corte,
il
viaggiatore
sarebbe
stato
ulteriormente
colpito
dalle
usanze
di
un
sovrano
cristiano
che
si
atteggiava
a
sultano;
non
è un
caso
che
nei
dinar
compaiano
delle
iscrizioni,
riferite
al
sovrano,
chiaramente
ascrivibile
alla
shahādah
(credenza)
islamica,
come
si
verifica
nelle
garā’id
(le
“grida”),
in
una
delle
quali
troviamo
il
titolo
“al
sultān”
di
cui
si
fregiava
Ruggero
II.
Il
sovrano
siciliano
aveva
eretto
il
proprio
edificio
amministrativo
sulle
fondamenta
della
precedente
dominazione
kalbita
e ne
aveva
assunto
anche
i
caratteri
formali;
il
viaggiatore
avrebbe
potuto
osservare
che
il
re
aveva
creato
una
corte
di
chiara
marca
araba,
come
dimostravano
coloro
che
vi
operavano;
dalle
fonti
dell’epoca
sappiamo
che
molte
cariche
arabe
rimasero
in
vita
sotto
la
dominazione
normanna,
come
ci
testimoniano
i
cronisti
‘An
Nuwayri
e
ibn
al
Atîr
i
quali
ci
hanno
consegnato
un
vivido
affresco
della
corte.
A
stretto
contatto
del
sovrano
operavano
gli
giânib
aiutanti
del
re,
gli
hâgib
nei
quali
possiamo
vedere
i
maggiordomi
di
palazzo,
i
selâhia
che
erano
gli
scudieri
e i
giândar
nei
quali
possiamo
scorgere
una
sorta
di
valletti
che
aiutavano
i
sovrani
con
le
faccende
più
comuni,
dal
vestiario
alla
cura
della
persona.
Capillare
fu
l’azione
del
retaggio
arabo
nell’apparato
istituzionale
normanno;
organo
in
vita,
ancora
alla
fine
del
XII
secolo,
fu
il
diwan,
che
regolava
le
entrate
e le
uscite
del
regno
con
una
suddivisione
in
uffici
ancora
non
del
tutto
chiarita;
ci
sarebbe
stato,
infatti,
il
diwan
al
ma’mur
che
conservava
le
liste
dei
“rustici”
(uomini
“corredo”
delle
proprietà
fondiarie)
e
delle
terre
a
cui
erano
legati
e il
diwan
al
tahqīq
al –
ma’mur
il
quale
custodiva
i
quaterni
fiscales
che
racchiudevano
le
divisioni
delle
terre
e
vigilava
sui
confini
delle
stesse.
Il
territorio
venne,
inoltre,
suddiviso
in
provincie
che
ricalcavano
la
struttura
e la
suddivisione
in
iklîm
della
precedente
dominazione.
Il
sistema
giudiziario
messo
in
piedi
dagli
Hauteville
poggiò
interamente
sulle
autorità
locali
arabe;
i
kaid
costituivano
il
nerbo
giuridico
delle
città
più
importanti,
gli
hakim
operavano
nelle
località
più
piccole
e i
mochtesib
si
occupavano
della
bassa
giurisdizione.
L’apparato
giudiziario
che
convergeva
nella
figura
del
re
registrava,
oltre
alla
presenza
araba,
l’influenza
orientale
di
Bisanzio
dove
l’imperatore
costituiva
il
fulcro
dell’intero
sistema
statuale
e
religioso,
sorgente
di
qualsiasi
forma
di
potere
delegato;
in
Sicilia
possiamo
riscontrare
un
analogo
sistema
accentrato
che
orbitava
attorno
al
sovrano,
autore
di
qualsiasi
emanazione
di
potere,
il
quale
si
avvalse
della
collaborazione
di
un
primo
ministro
che
rivestiva
la
carica
di
ammiraglio.
Sull’esatta
sfera
di
potere
di
questo
ufficio
non
vi è
unicità
di
interpretazione
ma
possiamo
immaginare,
dagli
atti
che
ne
portano
in
calce
la
firma,
la
grande
influenza
che
ebbe
nella
realizzazione
degli
affari
interni
del
regno
e
nella
pianificazione
della
politica
estera.
Oltre
che
politici
accorti,
gli
ammiragli
furono
particolarmente
attivi
anche
nel
campo
della
cultura,
pensiamo
agli
scritti
di
Eugenio
II o
allo
splendido
commentario
di
Maione
oggi
conservato
presso
la
biblioteca
di
Parigi.
Nel
prosieguo
del
suo
itinerario
il
viaggiatore
si
sarebbe
imbattuto
nelle
varie
forme
di
culture
che
albergavano
presso
la
corte
normanna,
promosse
e
sostenute
dal
re;
dall’arte
alla
poesia
alle
scienze,
la
cultura
fu
un
prodotto
molto
importante
per
la
casata
degli
Hauteville.
Dobbiamo,
tuttavia,
distinguere
una
produzione
dal
carattere
ufficiale,
nella
quale
possiamo
rinvenire
l’opera
del
geografo
Idrisi
o
quelle
ascrivibile
agli
ammiragli,
da
un
repertorio
culturale
avverso
alla
dominazione
normanna
come
poteva
essere
quello
di
Ibn
Haldun
cantore
di
una
terra
perduta,
di
una
Sicilia
persa
nell’ombra
del
sogno
a
causa
dell’infedele.
Al
termine
del
percorso
presso
la
corte
normanna
di
Sicilia,
il
viaggiatore
sarebbe
stato
consapevole
dell’esistenza
di
un
armonia
delle
parti
che
nei
suoi
aspetti
ideali
trovò
parziale
realizzazione
in
Sicilia,
alla
corte
degli
Hauteville;
“urbs
felix
populo
dotata
trilingui”
è
l’immagine
che
Pietro
da
Eboli
ci
tramanda
sottolineando
la
realizzazione
di
qualcosa
di
unico
per
l’occidente
cristiano.
Nell’espediente
del
viaggiatore
attraverso
gli
occhi
del
quale
abbiamo
potuto
dare
un
piccolo
sguardo
alla
sfavillante
capitale
normanna,
si
cela
una
realtà
molto
concreta,
composta
da
pellegrini,
commercianti
o
viandanti
occasionali
che
nelle
loro
peregrinazioni
facevano
tappa
presso
la
Trinacria,
punto
nodale
del
Mediterraneo
e
centro
vitale
di
un
mondo
medievale,
unico
nel
suo
genere.
Ibn
Hawqal,
Ibn
Qalaqis,
Ibn
Gubayr
sono
alcuni
dei
nomi
dei
viaggiatori
che
ebbero
la
possibilità
di
visitare
la
corte
normanna
dietro
i
quali
ci
siamo
nascosti
per
poter
viaggiare
nei
secoli
e
visitare
una
terra
così
lontana
nel
tempo,
ma
che
forse
dovrebbe
essere
metafora
per
il
presente.
Riferimenti
bibliografici:
Ibn
Haldûn,
Ibn
al
Atîr
in
Biblioteca
arabo
sicula
–
Volume
II,
a
cura
di
Michele
Amari,
Torino
–
Roma
1880
Ibn
Gubayr,
Viaggio
in
Ispagna,
Sicilia,
Siria
e
Palestina,
Mesopotamia,
Arabia,
Egitto
a
cura
di
C.
Schiaparelli,
Palermo
1979
De
Stefano
Antonino,
La
cultura
in
Sicilia
nel
periodo
normanno,
Palermo
1938
Gabrieli
Francesco,
Viaggi
e
viaggiatori
arabi,
Firenze
1975
Mazzarese
Fardella
Enrico,
Aspetti
dell’organizzazione
amministrativa
nello
stato
normanno
svevo,
Milano
1966
Spoto
Salvatore,
Sicilia
Normanna,
Roma
2003