N. 103 - Luglio 2016
(CXXXIV)
licentia
populandi
nascita
delle
città
di
fondazione
in
sicilia
di
Ilaria
La
Fauci
Il
13
settembre
1610
Filippo
III
di
Spagna
della
famiglia
Asburgo,
in
qualità
di
sovrano
di
Sicilia
(titolo
che
ebbe
dal
1598
al
1621)
come
Filippo
II,
decise
di
mercificare
un
privilegio
che
era
stato
concesso
nei
decenni
precedenti
per
merito
o
per
ricompensa:
si
tratta
della
Licentia
Populandi,
ovvero
la
concessione
di
popolare
un
feudo,
dando
così
avvio
alla
fondazione
di
numerosi
nuovi
paesi
e
città
tutt’oggi
esistenti
in
Sicilia.
Precedentemente
il
nonno,
l’imperatore
Carlo
V,
durante
il
periodo
della
dominazione
spagnola
in
Sicilia,
dovette
affrontare
un
problema
che
si
presentò
in
tale
territorio:
a
seguito
dell’aumento
delle
imposte,
numerosi
contadini
dovettero
abbandonare
le
loro
abitazioni
e
trasferirsi
nelle
città
con
l’intento
di
avviare
una
nuova
attività,
in
linea
con
il
processo
di
urbanizzazione
che
si
stava
verificando
in
quei
decenni;
questo
abbandono
repentino
e di
massa
delle
campagne
causò
un
miglioramento
delle
condizioni
di
vita,
da
cui
un
incremento
demografico
(si
legge
nei
censimenti
che
nel
1505
ci
fossero
550.000
persone
e
nel
1683
salirono
a
1.020.792),
ma
allo
stesso
tempo
una
diminuzione
dell’offerta
cerealicola,
di
seta
e di
vino
che
non
soddisfò
più
la
domanda.
L’intervento
del
governo
spagnolo
diventò
inevitabile
per
far
sopravvivere
il
granaio
del
Mediterraneo:
l’obiettivo
della
corona
straniera
fu
dunque
quello
di
offrire
il
suddetto
privilegio
allo
scopo
di
ripopolare
nuovamente
le
campagne,
adibendole
al
pascolo
o al
raccolto,
evitando
una
strozzatura
economica
e la
conseguente
crisi;
ai
baroni
fu
dunque
concesso
il
privilegium
aedificandi,
ovvero
avviare
l’edificazione
del
borgo,
spesso
nei
preesistenti
residenze
feudali
o
castelli,
perpetuando
così
la
continuità
storica
dell’insediamento.
Il
re o
il
viceré
lo
offrì
ai
baroni
sotto
forma
di
riconoscimento
per
i
servizi
resi,
di
ricompensa
per
la
buona
condotta.
Spesso
il
signore
poteva
ricevere
dal
re
anche
il
mero
et
mixto
imperio:
il
misto
imperio
riguardava
la
bassa
giustizia
e
prevedeva
lievi
pene
corporali;
il
mero
imperio
prevedeva
invece
la
punizione
mortale
o
l’esilio.
Tale
privilegio
ha
origine
nel
basso
medioevo,
quando
venne
concesso
dal
sovrano
ai
signori
feudali
per
assicurare
il
sostegno
alla
corona;
però
tale
clausola
doveva
essere
espressa
chiaramente
durante
l’investitura
del
feudatario,
poiché
non
era
solitamente
prevista
per
questa
figura:
difatti
era
stato
istituito
il
giustiziere
per
occuparsi
della
sfera
penale.
Ebbene
questi
privilegi
uniti
diventarono
invece
un
tratto
identificativo
dell’età
moderna:
l’esercizio
della
giurisdizione
civile
e
criminale,
il
trasferimento
di
parte
del
potere
statale
al
ceto
baronale,
che
acquisì
una
crescente
autonomia
esercitando
il
potere
politico,
militare,
fiscale
e
giudiziario.
Una
volta
ottenuto
questo
privilegio,
tra
il
Cinquecento
ed
il
Settecento,
i
baroni
crearono
i
bagli,
edifici
legati
al
feudo
o al
latifondo,
grandi
aziende
agricole
che
formarono
le
“città
di
fondazione”,
dotate
di
stalle
e
depositi
per
raccolti,
ma
anche
di
chiese
e
palazzi
baronali.
Il
tutto
si
presentava
come
una
colonizzazione
interna
finalizzata
alla
coltivazione
dei
terreni
incolti,
tramite
cui
il
signore
poteva
ottenere
anche
l’ingresso
in
Parlamento,
elevazione
nella
gerarchia
nobiliare;
la
possibilità
di
scegliere
il
castellano,
il
segreto,
il
cappellano,
il
giudice,
i
giurati
per
riscuotere
gabelle,
dogane
e
baiulato;
il
dominio
sulla
popolazione,
formata
non
da
servi
della
gleba
ma
da
vassalli,
il
cui
unico
vincolo
era
assolvere
il
servizio
richiesto
dal
barone.
Filippo
III
fece
sì
che
questa
pratica
entrasse
in
un
circolo
burocratico
di
cessione
del
diritto
dietro
pagamento,
approfittando
della
notevole
competizione
sorta
tra
i
baroni
nella
costruzione
di
villaggi
più
grandi
e
remunerativi,
cui
si
aggiunsero
scalatori
sociali
come
ricchi
mecenati,
finanzieri
e
commercianti.
Dal
1618
al
1621
i
Parlamenti
ordinari
si
occuparono
di
questo
processo
di
colonizzazione
interna.
La
pratica
burocratica
divenne
complessa:
l’uomo
interessato
doveva
contrattare
con
la
Regia
Corte
per
l’estensione
della
giurisdizione
in
un’area
comunale,
qualora
fosse
già
proprietario
terriero,
o
per
l’edificazione
di
questo
centro
o
cessione
in
enfiteusi,
ovvero
il
diritto
di
godimento
su
una
proprietà
altrui,
con
l’obiettivo
di
migliorarla,
pagando
una
tassa
annuale,
in
denaro
o
derrate,
al
proprietario.
I
baroni
emettevano
dei
bandi
per
scegliere
il
luogo
più
conforme
alle
necessità,
valutando
l’edificabilità
del
suolo,
la
qualità
dell’aria,
la
vicinanza
di
cave
per
i
materiali
utili
alla
costruzione,
la
disponibilità
di
sorgenti
di
acqua
potabile
per
gli
uomini
e
per
gli
animali
da
pascolo,
la
vicinanza
delle
vie
di
comunicazione
del
regno.
Prima
della
concessione
da
parte
del
Tribunale
del
Real
Patrimonio
e
del
re,
veniva
richiesto
il
parere
delle
limitrofe
città
demaniali.
Giungeva
poi
il
momento
del
pagamento
(solitamente
da
100
a
400
onze,
ma
ci
sono
casi
anche
di
pagamenti
due
o
tre
volte
tale
cifra)
alla
Tesoreria
Regia
generale
di
Sicilia.
Segue
l’imprimatur
della
Corona
per
l’atto
di
fondazione.
Il
nuovo
proprietario
doveva
occuparsi,
a
sue
spese,
della
costruzione
di
ottanta
o
cento
case,
della
chiesa,
della
sede
dell’amministrazione
comunale,
dei
negozi
per
vendere
i
beni
prodotti,
del
fondaco,
delle
strade
interne,
del
mulino,
dei
depositi
per
attrezzi
e
provviste
e
del
carcere,
così
da
accorciare
i
tempi
e
rendere
immediato
l’insediamento.
I
bagli
venivano
fortificati
con
mura
perimetrali
senza
finestre,
a
protezione
di
malintenzionati
e
nemici;
all’ingresso
un
portone
ampio
per
permettere
l’ingresso
di
carrozze
e
carriaggi
da
trasporto.
I
centri
sorti
in
tal
modo
sono
numerosi,
tra
i
quali:
Aliminusa,
Barrafranca,
Campobello
di
Licata,
Campofelice
di
Roccella,
Casteltermini,
Cattolica,
Cinisi,
Delia,
Francavilla,
Leonforte,
Mazzarino,
Niscemi,
Paceco,
Palma
di
Montechiaro,
Piedimonte
Etneo,
Riesi,
Sperlinga,
Torregrotta,
Valguarnera
Caropepe,
Villasmundo,
Vittoria,
etc.
Tali
richieste
si
evidenziano
per
trentasei
nuovi
centri
tra
il
1505
ed
il
1593,
per
centodiciannove
centri
tra
il
1593
ed
il
1714:
tra
le
maggiori
concentrazioni
di
questo
privilegio
si
evidenzia
il
24,1%
delle
edificazioni
a
Palermo
e ad
Agrigento,
il
14,9%
a
Messina,
il
12,6%
a
Caltanissetta.
La
media
della
popolazione
si
attesta
a
492
abitanti
per
villaggio;
solitamente
infatti
erano
meno
di
mille,
solo
sedici
paesi
sembra
che
avessero
avuto
una
popolazione
compresa
tra
mille
e
duemila
abitanti.
Il
privilegio
della
licentia
populandi,
concesso
un
po’
per
praticità
ed
un
po’
per
necessità,
gettò
le
radici
per
un
ripopolamento
interno,
per
l’istituzione
di
nuove
entità
“statali”
tipiche
dell’epoca
moderna;
il
Regno
di
Sicilia,
nato
nel
1130
con
Ruggero
II
d’Altavilla,
nel
XV –
XVI
secolo
diventò
il
prototipo
del
moderno
stato
europeo:
autonomo,
burocratico,
colmo
di
funzionari
delegati
per
la
gestione
del
potere
del
sovrano,
nelle
diverse
porzioni
territoriali.
I
paesi
citati
sono
tutt’oggi
vissuti
e,
attraverso
i
resti
di
quegli
stessi
edifici
in
abbandono
o
convertiti
in
aziende
agrituristiche,
testimoniano
in
silenzio
la
loro
importante
e
determinante
storia,
spesso
inesplorata
o
ignota.
Riferimenti
bibliografici:
Ligresti
D.,
Dinamiche
demografiche
nella
Sicilia
moderna:
1505-1806,
Milano
2002.
Ligresti
D.,
Sicilia
aperta
(secoli
XVI-XVII).
Mobilità
di
uomini
e
idee,
Palermo
2006.
Ligresti
D.,
Sul
tema
delle
colonizzazioni
in
Sicilia
nell’età
moderna,
in
Archivio
storico
per
la
Sicilia
Orientale,
1974.
Longhitano
G.,
Studi
di
storia
della
popolazione
siciliana,
Catania
1988.
Pinzarrone
L.,
Le
fondamenta
della
nobiltà.
La
colonizzazione
della
Milicia
e la
nascita
di
Altavilla
nel
XVII
secolo,
in
Mediterranea.
Ricerca
storica,
2010.
Sanzeri
P.,
Sant’Antonio
di
Cianciara.
Storia
di
una
città
di
nuova
fondazione,
2007.
Verga
M.,
La
Sicilia
dei
grani.
Gestione
dei
feudi
e
cultura
economica
fra
Sei
e
Settecento,
Firenze
1993.