SULLa Sibilla Appenninica
Un’affascinane figura TRA leggenda,
letteratura E storia
di Riccardo
Renzi
La Sibilla Appenninica una figura
pregna di storia e colma di mistero,
attorno alla quale si fondono storia
e leggenda. Essa origina dall’età
romana e giunge sino ai giorni
nostri. C’è però da capire se si
tratti di finzione letteraria o di
storia del mito, e quanto realmente
tale mito sia vetusto. Nei
primissimi anni del XV secolo
incominciarono a palesarsi le prime
testimonianze scritte che
descrivevano una grotta/antro nei
pressi della cima dei Sibillini nei
pressi di Norcia. Le prime due opere
a trattare di tale tema furono il IV
libro della Salade di Antoine de la
Sale e il Guerrin Meschino di Andrea
da Barberino. Le due opere sono però
totalmente differenti tra loro, la
prima è pervasa da un fondo di
scetticismo ed è costruita come una
cronaca, mentre la seconda richiama
i romanzi cavallereschi di pieno
medioevo e ha un tono moraleggiante.
La Sibilla è menzionata in
moltissime opere letterarie
dall’antichità alla contemporaneità,
tutte descrivono un oracolo celato
all’interno della cavità. Stando a
ciò che riporta Andrea da Barberino
nel suo Guerrin Meschino, la Sibilla
Appenninica sarebbe da identificarsi
con la Sibilla Cumana, per
intenderci una delle Sibille
elencate da Lucio Cecilio Firmiano
Lattanzio, facenti parte del computo
delle Sibille del mondo classico.
Nell’opera di Andrea da Barberino è
la stessa Sibilla a narrare le
proprie origini: «Io voglio che tu
sapi el mio nome. Io fui chiamata da
Romani chumana per che io naqui in
una cità de campagna che ha nome
chumana: e stete al mondo inanzi che
io fosse iudicata in questa parte
mille e ducento anni, che quando
Enea vene i queste parte zoe in
Italia, io lo menai per tuto lo
inferno: e havea alhora sete cento
anni [...] E nel suo tempo
[Tarquinio Prisco] mandareno li
Romani a domandare lezie [leggi]: et
io mandai a loro nove libri de lezie.
Et in quello tempo per mia scientia
mandai a domandare de stare in
questa vita: tanto quanto el mondo
de durare, et che el dreto iudice
vignerà a giudicare».
In quest’opera l’autore da per
scontato che la Sibilla Appenninica
sia la medesima di quella Cumana.
Essa, infatti, si caratterizza per
gli stessi attributi di quella di
Cuma, compreso il suo ruolo di guida
dell’Oltretomba, come riportato
anche da Virgilio nel Libro VI
dell’Eneide: «Aeneas in Campaniae
oras perveniebat et ad terram
Cumarum appellebat. Ibi Sibyllam
Cumanam petebat et in spelunca atra
inveniebat. Apud speluncam, ut vates
iubebat, Aeneas victimas deae
Proserpinae immolabat et e Sibylla
futura quaerebat. Tum Sibylla a deo
inflabatur, pallescebat, tunicam
lacerabat, comam solvebat,
cerviculam iactabat, in spelunca
deambulabat et tandem dicebat:
“Aenea, nunc undarum minae finiunt,
sed terrarum minae incipient: nam
dea Iuno irata est, quod in Africa
reginam Tyriam relinquebas. Tandem
aliquando in terras Latinas
pervenies, sed cruentas pugnas
pugnabis, auxilium petes et
incolarum insidias timebis. Femina
Lavinia, Latini regis filia,
aerumnarum causa erit, sed denique
magna audacia et prudentia vinces et
terram Latinam reges».
Traduzione: «Enea giungeva alle
spiagge della Campania e si
accostava alla terra di Cuma. Qui
cercava la Sibilla Cumana e la
trovava in una scura spelonca.
Presso la spelonca, come la
sacerdotessa ordinava, Enea immolava
le vittime alla dea Proserpina e
chiedeva alla Sibilla il futuro.
Allora la Sibilla era ispirata dalla
divinità, diventava pallida,
lacerava la tunica, scioglieva la
chioma, agitava la testa, camminava
nella spelonca e alla fine diceva:
“Enea, ora la minaccia delle onde
finisce, ma incomincerà la minaccia
delle terre: infatti la Dea Giunone
è irata, perché abbandonavi in
Africa la regina di Tiro. Finalmente
un giorno giungerai alle terre
latine, ma combatterai cruente
battaglie, chiederai aiuto e temerai
l’insidia degli abitanti. Una donna
Lavinia, figlia del Re Latino, sarà
causa di tribolazioni, ma alla fine
vincerai con grande audacia e
prudenza e comanderai la terra
latina».
Il racconto dell’immortalità della
Sibilla Cumana è, invece, narrato da
Publio Ovidio Nasone nel libro XIV,
vv. 116-153 delle Metamorfosi: «Paruit
Aeneas et formidabilis Orci / vidit
opes atavosque suos umbramque
senilem / magnanimi Anchisae;
didicit quoque iura locorum, /
quaeque novis essent adeunda
pericula bellis. / Inde ferens
lassos adverso tramite passus / cum
duce Cumaea mollit sermone laborem./
Dumque iter horrendum per opaca
crepuscula carpit, / «seu dea tu
praesens seu dis gratissima» dixit,
/«numinis instar eris semper mihi,
meque fatebor / muneris esse tui,
quae me loca mortis adire, / quae
loca me visae voluisti evadere
mortis / pro quibus aërias viventi
evectus ad auras / templa tibi
statuam, tribuam tibi turis honores».
La dimora della Sibilla Cumana,
nelle opere classiche, non è, però,
situata presso i Sibillini, ma tra i
comuni di Bacoli e Pozzuoli, nella
zona vulcanica dei Campi Flegrei,
non lontano dal lago d’Averno dove
Virgilio colloca l’ingresso per il
regno dell’Oltretomba. Perciò Andrea
da Barberino cerca di trovare una
soluzione a ciò. Egli propone una
spiegazione in merito alla ragione
per la quale la Sibilla Cumana
avrebbe trasferito la propria dimora
presso una montagna dei Sibillini.
Andrea da Barberino fa parlare la
Sibilla in prima persona, la quale
afferma di essere stata «iudicata in
questa parte».
Tale indicazione, a una prima
lettura priva di senso, sembrerebbe
invece riferirsi ad una antica
leggenda della Cristianità: la
Sibilla, vergine come la Madonna,
avrebbe peccato di superbia,
credendo che Dio avesse scelto lei
per portare suo figlio tra gli
uomini, allora Dio stesso, che aveva
fatto ricadere la sua scelta su
Maria Vergine, decise di punire la
Sibilla per la propria arroganza.
Così, ricollegandoci all’opera di
Andrea di Barberino, quando Guerrino
cerca di informarsi su dove recarsi
per incontrare la Sibilla, un uomo
gli risponde: «Io ho udito dir che
ze la savia Sibilla la quale si è
vergene in lo mondo che la credea
che dio scendesse i(n) lei qua(n)do
incarnò in Maria vergine. E per
questo lei desperò e fu ziudicata
per questa casone in queste
montagne». È però proprio nell’opera
di Andrea da Barberino che viene
precisato che la Sibilla Appenninica
non è la Sibilla in cui si parla
nell’antica leggenda cristiana,
poiché quella storia sarebbe
connessa alla Sibilla Tiburtina. È
proprio Guerrino a rivolgersi alla
Sibilla chiedendole se fosse lei
quella della leggenda cristiana ed
ella le risponde: «[...] ella non
essere stata quella che insegna a
nostra donna [...] La Sibilla che tu
voi dire have nome Albunea». Nel
corso del XV secolo si diffonde
l’idea che la Sibilla Appenninica
fosse la medesima della Cumana e,
nel secolo successivo, lo stesso
Ariosto nell’Orlando Furioso
scrisse: «la Sibilla Cumea, la qual
ridotta / s’era in quei tempi a la
Nursina grotta / su gli aspri monti
in una selva folta / da i luoghi
ameni, ove habitava prima». Il
confronto più interessante è però
quello di cui si era parlato
all’inizio dell’articolo, cioè
quello tra Salade di Antoine de la
Sale e il Guerrin Meschino di Andrea
da Barberino. Per prima cosa è da
rilevare come tra le due opere non
vi sia una correlazione diretta, la
cosa è dettata proprio dallo
strettissimo arco temporale nel
quale esse sono state concepite e
redatte.
La stesura dell’opera di Andrea da
Barberino è da collocarsi nei
medesimi anni in cui Antoine avrebbe
compiuto l’escursione di cui
riferisce nella Salade. Secondo
Mauro Cursietti Andrea da Barberino
avrebbe redatto l’opera nei
primissimi anni del Quattrocento. Il
grande interrogativo che emerge da
un primo confronto tra le due opere
è di carattere toponomastico.
Antoine de la Sale colloca
l’ingresso dell’antro nelle
vicinanze di Norcia, andando in tal
modo a concordare con tutta la
letteratura antica sul tema. Andrea
da Barberino, invece, lo pone a
Nocea, che Mauro Cursietti
identifica con Lucera. Tale luogo è
situato in Provincia di Foggia e
stando alla descrizione presente
nella edizione del 2005 della
edizione del Il Guerrin Meschino
secondo la vulgata fiorentina,
dunque quella originale, sembrerebbe
molto più attinente al vero rispetto
a quella dei Monti Sibillini. È,
dunque, opportuno chiedersi se la
Sibilla Appenninica sia il frutto di
una errata interpretazione, cioè non
nella lingua originale, dell’opera
di Andrea da Barberino. Sostenitori
di tale tesi sono Mauro Cursietti e
Massimo Spagnoli, che molto tempo
hanno dedicato a tali studi.
Le leggende, le storie e lo
sciamanesimo sarebbero sorte tutte
attorno ad una male interpretazione
letteraria. Va però detto che questa
sede geografica desta molte
perplessità, tanto da spingere lo
studioso a pensare che tale sede sia
da addebitare alla sola inventiva
dell’Autore, il quale era
sicuramente pressato dall’incombenza
di inserire in una topografia
coerente con le peripezie del suo
eroe la visita alla veggente, «e
agevolato in ciò dall’omofonia del
nome della cittadina umbra con le
antiche denominazioni di quella
pugliese: Norcia e Nuceria» (S. M.
Barillari, La Sibilla appenninica
fra mito letterario e memoria
folclorica, in Christine De Pizan,
Atti del VII Convegno Internazionale
“Christine de Pizan”, a cura di
Patrizia Caraffi, Bologna, 22-26
settembre 2009, Bologna, Alinea
Editrice, 2009 pp. 340-348).
Le due opere, inoltre, divergono
anche su un ulteriore elemento,
quello della fisionomia attribuita
alla Sibilla dell’opera di Andrea da
Barberino, la quale mantiene il
ruolo della Sibilla del mondo
classico. Mentre nella Salade è
completamente svuotata del ruolo
profetico. Insomma, molte sono le
discrepanze tra i due scritti e
molti gli studi ancora da condurre
sul tema.
Riferimenti bibliografici:
S. M. Barillari, Le città delle
dame. La sovranità ctonia declinata
al femminile fra l’Irlanda e i Monti
Sibillini, in L’Immagine
rilessa N.S., XVIII/1-2, 2009,
pp. 87-121;
L. Paolucci, La Sibilla Appenninica,
Firenze, L. S. Olschki, 1967;
M. Spagnoli, La grotta della
Sibilla Appenninica: storia di un
mistero inviolato, in Quaderni
dell’Archivio storico arcivescovile
di Fermo, n. 46, 2008, pp.
77-86.
V. Loi, I valori etici e politici
della romanità negli scritti di
Lattanzio. Opposti atteggiamenti di
polemica e di adesione, in Salesianum,
vol. 27, 1965, pp. 65–133;
R. Pichon, Lactance; étude sur le
mouvement philosophique et religieux
sous le règne de Constantin,
Paris, Hachette, 1901, pp. 350-351.
Andrea da Barberino, Il Guerrin
Meschino, ed. critica secondo
l’antica vulgata fiorentina, a
cura di M. Cursietti, Roma-Padova,
Antenore, 2005, Introduzione.
Andrea da Barberino, Il Guerrin
Meschino, ed. critica secondo
l’antica vulgata fiorentina, a
cura di M. Cursietti, Roma-Padova,
Antenore, 2005, p. 332;
G. Allaire, Andrea da Barberino
and language of chivalry,
Gainesville, University press of
Florida, 1997.
M. Spagnoli, Cronache, scenari,
mitopoiesi nelle terre di una
Sibylla Appenninica; prefazione
di Vincenzo Antonelli, Acquaviva
Picena, Fast edit, 2012.