[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 203 / NOVEMBRE 2024 (CCXXXIV)


moderna

SULLa Sibilla Appenninica
Un’affascinane figura TRA leggenda, letteratura E storia

di Riccardo Renzi

 

La Sibilla Appenninica una figura pregna di storia e colma di mistero, attorno alla quale si fondono storia e leggenda. Essa origina dall’età romana e giunge sino ai giorni nostri. C’è però da capire se si tratti di finzione letteraria o di storia del mito, e quanto realmente tale mito sia vetusto. Nei primissimi anni del XV secolo incominciarono a palesarsi le prime testimonianze scritte che descrivevano una grotta/antro nei pressi della cima dei Sibillini nei pressi di Norcia. Le prime due opere a trattare di tale tema furono il IV libro della Salade di Antoine de la Sale e il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino. Le due opere sono però totalmente differenti tra loro, la prima è pervasa da un fondo di scetticismo ed è costruita come una cronaca, mentre la seconda richiama i romanzi cavallereschi di pieno medioevo e ha un tono moraleggiante. La Sibilla è menzionata in moltissime opere letterarie dall’antichità alla contemporaneità, tutte descrivono un oracolo celato all’interno della cavità. Stando a ciò che riporta Andrea da Barberino nel suo Guerrin Meschino, la Sibilla Appenninica sarebbe da identificarsi con la Sibilla Cumana, per intenderci una delle Sibille elencate da Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, facenti parte del computo delle Sibille del mondo classico. Nell’opera di Andrea da Barberino è la stessa Sibilla a narrare le proprie origini: «Io voglio che tu sapi el mio nome. Io fui chiamata da Romani chumana per che io naqui in una cità de campagna che ha nome chumana: e stete al mondo inanzi che io fosse iudicata in questa parte mille e ducento anni, che quando Enea vene i queste parte zoe in Italia, io lo menai per tuto lo inferno: e havea alhora sete cento anni [...] E nel suo tempo [Tarquinio Prisco] mandareno li Romani a domandare lezie [leggi]: et io mandai a loro nove libri de lezie. Et in quello tempo per mia scientia mandai a domandare de stare in questa vita: tanto quanto el mondo de durare, et che el dreto iudice vignerà a giudicare».

In quest’opera l’autore da per scontato che la Sibilla Appenninica sia la medesima di quella Cumana. Essa, infatti, si caratterizza per gli stessi attributi di quella di Cuma, compreso il suo ruolo di guida dell’Oltretomba, come riportato anche da Virgilio nel Libro VI dell’Eneide: «Aeneas in Campaniae oras perveniebat et ad terram Cumarum appellebat. Ibi Sibyllam Cumanam petebat et in spelunca atra inveniebat. Apud speluncam, ut vates iubebat, Aeneas victimas deae Proserpinae immolabat et e Sibylla futura quaerebat. Tum Sibylla a deo inflabatur, pallescebat, tunicam lacerabat, comam solvebat, cerviculam iactabat, in spelunca deambulabat et tandem dicebat: “Aenea, nunc undarum minae finiunt, sed terrarum minae incipient: nam dea Iuno irata est, quod in Africa reginam Tyriam relinquebas. Tandem aliquando in terras Latinas pervenies, sed cruentas pugnas pugnabis, auxilium petes et incolarum insidias timebis. Femina Lavinia, Latini regis filia, aerumnarum causa erit, sed denique magna audacia et prudentia vinces et terram Latinam reges».

Traduzione: «Enea giungeva alle spiagge della Campania e si accostava alla terra di Cuma. Qui cercava la Sibilla Cumana e la trovava in una scura spelonca. Presso la spelonca, come la sacerdotessa ordinava, Enea immolava le vittime alla dea Proserpina e chiedeva alla Sibilla il futuro. Allora la Sibilla era ispirata dalla divinità, diventava pallida, lacerava la tunica, scioglieva la chioma, agitava la testa, camminava nella spelonca e alla fine diceva: “Enea, ora la minaccia delle onde finisce, ma incomincerà la minaccia delle terre: infatti la Dea Giunone è irata, perché abbandonavi in Africa la regina di Tiro. Finalmente un giorno giungerai alle terre latine, ma combatterai cruente battaglie, chiederai aiuto e temerai l’insidia degli abitanti. Una donna Lavinia, figlia del Re Latino, sarà causa di tribolazioni, ma alla fine vincerai con grande audacia e prudenza e comanderai la terra latina».

Il racconto dell’immortalità della Sibilla Cumana è, invece, narrato da Publio Ovidio Nasone nel libro XIV, vv. 116-153 delle Metamorfosi: «Paruit Aeneas et formidabilis Orci / vidit opes atavosque suos umbramque senilem / magnanimi Anchisae; didicit quoque iura locorum, / quaeque novis essent adeunda pericula bellis. / Inde ferens lassos adverso tramite passus / cum duce Cumaea mollit sermone laborem./ Dumque iter horrendum per opaca crepuscula carpit, / «seu dea tu praesens seu dis gratissima» dixit, /«numinis instar eris semper mihi, meque fatebor / muneris esse tui, quae me loca mortis adire, / quae loca me visae voluisti evadere mortis / pro quibus aërias viventi evectus ad auras / templa tibi statuam, tribuam tibi turis honores». La dimora della Sibilla Cumana, nelle opere classiche, non è, però, situata presso i Sibillini, ma tra i comuni di Bacoli e Pozzuoli, nella zona vulcanica dei Campi Flegrei, non lontano dal lago d’Averno dove Virgilio colloca l’ingresso per il regno dell’Oltretomba. Perciò Andrea da Barberino cerca di trovare una soluzione a ciò. Egli propone una spiegazione in merito alla ragione per la quale la Sibilla Cumana avrebbe trasferito la propria dimora presso una montagna dei Sibillini. Andrea da Barberino fa parlare la Sibilla in prima persona, la quale afferma di essere stata «iudicata in questa parte».

Tale indicazione, a una prima lettura priva di senso, sembrerebbe invece riferirsi ad una antica leggenda della Cristianità: la Sibilla, vergine come la Madonna, avrebbe peccato di superbia, credendo che Dio avesse scelto lei per portare suo figlio tra gli uomini, allora Dio stesso, che aveva fatto ricadere la sua scelta su Maria Vergine, decise di punire la Sibilla per la propria arroganza. Così, ricollegandoci all’opera di Andrea di Barberino, quando Guerrino cerca di informarsi su dove recarsi per incontrare la Sibilla, un uomo gli risponde: «Io ho udito dir che ze la savia Sibilla la quale si è vergene in lo mondo che la credea che dio scendesse i(n) lei qua(n)do incarnò in Maria vergine. E per questo lei desperò e fu ziudicata per questa casone in queste montagne». È però proprio nell’opera di Andrea da Barberino che viene precisato che la Sibilla Appenninica non è la Sibilla in cui si parla nell’antica leggenda cristiana, poiché quella storia sarebbe connessa alla Sibilla Tiburtina. È proprio Guerrino a rivolgersi alla Sibilla chiedendole se fosse lei quella della leggenda cristiana ed ella le risponde: «[...] ella non essere stata quella che insegna a nostra donna [...] La Sibilla che tu voi dire have nome Albunea». Nel corso del XV secolo si diffonde l’idea che la Sibilla Appenninica fosse la medesima della Cumana e, nel secolo successivo, lo stesso Ariosto nell’Orlando Furioso scrisse: «la Sibilla Cumea, la qual ridotta / s’era in quei tempi a la Nursina grotta / su gli aspri monti in una selva folta / da i luoghi ameni, ove habitava prima». Il confronto più interessante è però quello di cui si era parlato all’inizio dell’articolo, cioè quello tra Salade di Antoine de la Sale e il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino. Per prima cosa è da rilevare come tra le due opere non vi sia una correlazione diretta, la cosa è dettata proprio dallo strettissimo arco temporale nel quale esse sono state concepite e redatte.

La stesura dell’opera di Andrea da Barberino è da collocarsi nei medesimi anni in cui Antoine avrebbe compiuto l’escursione di cui riferisce nella Salade. Secondo Mauro Cursietti Andrea da Barberino avrebbe redatto l’opera nei primissimi anni del Quattrocento. Il grande interrogativo che emerge da un primo confronto tra le due opere è di carattere toponomastico. Antoine de la Sale colloca l’ingresso dell’antro nelle vicinanze di Norcia, andando in tal modo a concordare con tutta la letteratura antica sul tema. Andrea da Barberino, invece, lo pone a Nocea, che Mauro Cursietti identifica con Lucera. Tale luogo è situato in Provincia di Foggia e stando alla descrizione presente nella edizione del 2005 della edizione del Il Guerrin Meschino secondo la vulgata fiorentina, dunque quella originale, sembrerebbe molto più attinente al vero rispetto a quella dei Monti Sibillini. È, dunque, opportuno chiedersi se la Sibilla Appenninica sia il frutto di una errata interpretazione, cioè non nella lingua originale, dell’opera di Andrea da Barberino. Sostenitori di tale tesi sono Mauro Cursietti e Massimo Spagnoli, che molto tempo hanno dedicato a tali studi.

Le leggende, le storie e lo sciamanesimo sarebbero sorte tutte attorno ad una male interpretazione letteraria. Va però detto che questa sede geografica desta molte perplessità, tanto da spingere lo studioso a pensare che tale sede sia da addebitare alla sola inventiva dell’Autore, il quale era sicuramente pressato dall’incombenza di inserire in una topografia coerente con le peripezie del suo eroe la visita alla veggente, «e agevolato in ciò dall’omofonia del nome della cittadina umbra con le antiche denominazioni di quella pugliese: Norcia e Nuceria» (S. M. Barillari, La Sibilla appenninica fra mito letterario e memoria folclorica, in Christine De Pizan, Atti del VII Convegno Internazionale “Christine de Pizan”, a cura di Patrizia Caraffi, Bologna, 22-26 settembre 2009, Bologna, Alinea Editrice, 2009 pp. 340-348).

Le due opere, inoltre, divergono anche su un ulteriore elemento, quello della fisionomia attribuita alla Sibilla dell’opera di Andrea da Barberino, la quale mantiene il ruolo della Sibilla del mondo classico. Mentre nella Salade è completamente svuotata del ruolo profetico. Insomma, molte sono le discrepanze tra i due scritti e molti gli studi ancora da condurre sul tema.


Riferimenti bibliografici:
 

S. M. Barillari, Le città delle dame. La sovranità ctonia declinata al femminile fra l’Irlanda e i Monti Sibillini, in L’Immagine rilessa N.S., XVIII/1-2, 2009, pp. 87-121;

L. Paolucci, La Sibilla Appenninica, Firenze, L. S. Olschki, 1967;

M. Spagnoli, La grotta della Sibilla Appenninica: storia di un mistero inviolato, in Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo, n. 46, 2008, pp. 77-86.

V. Loi, I valori etici e politici della romanità negli scritti di Lattanzio. Opposti atteggiamenti di polemica e di adesione, in Salesianum, vol. 27, 1965, pp. 65–133;

R. Pichon, Lactance; étude sur le mouvement philosophique et religieux sous le règne de Constantin, Paris, Hachette, 1901, pp. 350-351.

Andrea da Barberino, Il Guerrin Meschino, ed. critica secondo l’antica vulgata fiorentina, a cura di M. Cursietti, Roma-Padova, Antenore, 2005, Introduzione.

Andrea da Barberino, Il Guerrin Meschino, ed. critica secondo l’antica vulgata fiorentina, a cura di M. Cursietti, Roma-Padova, Antenore, 2005, p. 332;

G. Allaire, Andrea da Barberino and language of chivalry, Gainesville, University press of Florida, 1997.

M. Spagnoli, Cronache, scenari, mitopoiesi nelle terre di una Sibylla Appenninica; prefazione di Vincenzo Antonelli, Acquaviva Picena, Fast edit, 2012.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]