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ATTUALITà


N. 14 - Febbraio 2009 (XLV)

SHALOM VUOL DIRE PACE
abbattiamo il muro

di Giovanna D'Arbitrio

 

Lo studio della storia spesso ci stupisce con l’assurdo groviglio di cause ed effetti, con il ruolo giocato da interminabili e sanguinose guerre sullo scenario mondiale tra popoli e nazioni che drammaticamente recitano le parti, spesso intercambiabili, di vincitori e vinti, di carnefici e vittime.


è assurdo constatare, anche nel microcosmo della nostra vita quotidiana, quanto gli uomini amino i conflitti, i contrasti inutili, quanto poco siano aperti al dialogo, alla comprensione dei problemi degli altri, spinti più dal desiderio di prevaricare e di dominare che dalla volontà di trovare un’intesa, una soluzione pacifica.


Così, in una spirale senza fine, i nostri istinti violenti ed egoistici si scaricano dall’alto verso il basso e viceversa, lungo la struttura piramidale delle classi sociali, delle nazioni e dei popoli, delle loro alterne vicende di vincitori e vinti. La prevaricazione, partendo dall’alto, si scarica sempre verso il basso, verso i più deboli finché questi ultimi non si scatenano a loro volta in sanguinose ribellioni e rivoluzioni, devastati dall’odio accumulato per i crudeli soprusi subiti e le eterne violazioni dei diritti umani.


Le tragiche guerre tra Israeliani e Palestinesi sono veramente emblematiche in tal senso, soprattutto se si studia il percorso storico degli Ebrei, dalla caduta di Gerusalemme nel 70 DC, quando iniziò la Grande Diaspora verso i paesi europei, fino ad oggi.


Perseguitati, considerati deicidi dai Cristiani, disprezzati per la pratica dell’usura (spesso unica attività consentita loro, insieme al commercio della roba usata, per potere ottenere la residenza in un luogo), chiusi nei ghetti, per secoli sono stati “vittime” di un feroce antisemitismo. Come reazione, sorse nel secolo XIX il movimento sionista, fondato da Theodore Herzl, che fu supportato anche da vari paesi europei all’inizio del ‘900, non sempre spinti solo da motivi umanitari ma anche da interessi economici, quando essi si resero conto che, per sfruttare i pozzi petroliferi, il controllo del Medio Oriente sarebbe diventato di essenziale importanza.

 

Già nel lontano 1917, infatti, Lord Arthur Balfour, Ministro degli Esteri britannico, in una dichiarazione ufficiale, riconobbe il diritto degli Ebrei a ritornare in Palestina, suscitando grande delusione negli Arabi che avevano aiutato gli Inglesi contro i Turchi, con la promessa di ottenere l’indipendenza. Una situazione preparata, voluta dalle potenze occidentali, secondo autorevoli storici, per gestire territori ricchi di petrolio: sionismo e petrolio! Ovviamente, dopo la grande tragedia dell’Olocausto nella Germania di Hitler, il ritorno degli Ebrei in Palestina fu ancora proposto ed accettato alla fine della II guerra mondiale, sottovalutando le reazioni degli Arabi che occupavano quelle terre da lungo tempo. Nel 1947 nacque quindi lo Stato d’Israele, ma nel 1948 i Palestinesi lo attaccarono e furono sconfitti. Molti di essi emigrarono verso gli altri stati arabi, ma i più poveri rimasero. Scoppiarono allora altri conflitti, tra i quali ricordiamo quelli del 1956, del 1967 e 1973, conflitti che fecero rafforzare la resistenza palestinese, “l’Intifada”. Solo nel 1993, con gli Accordi di Oslo, firmati dal leader dell’OLP, Yasser Arafat, e dal Primo Ministro israeliano, Yitzhak Rabin, i Palestinesi riconobbero lo Stato d’Israele e quest’ultimo s’impegnò a ritirarsi, entro cinque anni, da Gaza, Gerico e altre aree della Cisgiordania.


La lentezza con la quale i suddetti accordi vennero attuati (peraltro solo in parte!), suscitò scontento e diede forza agli integralisti islamici di Hamas e Jihad che intensificarono l’attività terroristica e inevitabilmente acuirono le tensioni, esplose ancora nel recente conflitto. Come mai gli Ebrei, antiche “vittime”, si sono trasformati oggi in “oppressori”, uccidendo bambini e civili inermi nei campi dei profughi? Forse la risposta è nella ben nota frase latina “Divide et Impera”, il motto dei Romani che ben sapevano come dominare nel loro vasto Impero. Probabilmente anche gli Israeliani sono stati usati in passato e ancora lo sono nel presente per “coprire” interessi di vario genere. Dove sono oggi i più atroci conflitti e le più gravi violazioni dei diritti umani? Nei luoghi ricchi di risorse da sfruttare, petrolio, metano, miniere, manodopera a basso costo ecc..


La situazione è ora particolarmente grave a Gaza, una stretta fascia di terra costiera, densamente popolata dai profughi palestinesi, isolata e separata da Israele mediante un’alta barriera metallica. Nel 2005 l’esercito israeliano si è ritirato, ma detiene ancora il controllo dei confini, dello spazio aereo e del mare. Da quando Hamas ha vinto le elezioni sempre nel 2005, inoltre, sono stati congelati tutti gli aiuti umanitari internazionali e dal giugno 2006 sono stati chiusi i “valichi” di confine, per cui le sofferenze della popolazione sono indicibili per mancanza di scorte alimentari, medicinali e anche carburanti, essenziali per i generatori elettrici,da quando la centrale elettrica fu distrutta nel luglio 2006.


Ascoltando i telegiornali, una sola notizia positiva ci ha fatto riflettere: giovani palestinesi e israeliani comunicano mediante il loro blog su Internet e si scambiano sms con i cellulari, sperando di potersi conoscere un giorno in pace.


Anche un regista israeliano, Eran Riklis, nel l film “Lemon Tree” (in italiano “Il Giardino dei Limoni”) presentato al Festival di Berlino, descrive gente pacifica, intrappolata nei lacci della politica. Egli ci racconta la storia di due coraggiose donne, Salma, vedova palestinese che difende con tutte le sue forze il suo giardino di limoni, e Mira, la moglie del potente Ministro della Difesa israeliano, la quale si oppone alla decisione del marito di abbattere il frutteto, per motivi di sicurezza. Nell’ultima scena, il Ministro si affaccia alla finestra e non vede più limoni, ma solo un MURO che simbolicamente rappresenta ciò che separa i popoli e che bisognerebbe abbattere: distruttivi interessi economici e politici, paure, odio, violenza.


Speriamo nella pace dunque e abbattiamo il muro.


Shalom significa pace...

 

 

 

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