N. 14 - Luglio 2006
IL DISASTRO ECOLOGICO DI SEVESO
10 Luglio 1976
di Matteo Liberti
Era
il 10 Luglio del 1976, verso mezzogiorno, il luogo era
quello dello stabilimento chimico ICMESA
di Meda, vicino Seveso; quel che avvenne fu
l'improvvisa fuoriuscita di una nube tossica
contenente diossina.
Durante la produzione
consueta di triclorofenolo, un fungicida,
avvenne una reazione incontrollata che fece scoppiare
le valvole di sicurezza del serbatoio di un reattore,
l'A-101, rilasciando il micidiale vapore chimico
nell'atmosfera.
Il vento fece il resto, disperdendo da subito la nube
tossica in direzione Est:
la
diossina poteva cominciare a generare i suoi effetti
catastrofici, colpendo gli abitanti della zona, ma
rendendo anche inabitabile il territorio su cui si
andava depositando.
Undici comunità nella campagna tra Milano ed il Lago
di Como vennero direttamente colpite dalla nube
tossica. I quattro municipi più colpiti, oltre a
Severo, la località più danneggiata in assoluto,
furono quelli della stessa Meda, di Desio e di Cesano
Maderno.
La zona dell'incidente venne presto divisa in tre
aree, organizzate grossolanamente a seconda del
livello di inquinamento: area A, area B ed area C.
Il 14 luglio furono segnalati i primi casi di
intossicazione animale.
Il sindaco di Seveso emise il giorno successivo una
ordinanza di emergenza.
Il 16 ci furono i primi ricoveri ospedalieri, i primi
uomini e donne intossicati.
Gli operai dell'ICMESA si rifiutarono a quel punto di
continuare a lavorare presso lo stabilimento.
Il 18 Luglio il pretore di Desio aprì un'inchiesta; la
fabbrica venne chiusa con un'ordinanza del sindaco di
Meda.
Il 21 il direttore ed il vicedirettore dell'ICMESA
vennero arrestati per disastro colposo.
L’intera zona era stata nel frattempo militarizzata e
solamente dopo qualche giorno dall’incidente, quando
ormai i danni erano evidenti, gli abitanti della zona
A vennero evacuati: il 26 luglio 179 persone
lasciarono le proprie abitazioni per essere ospitate
in un residence.
In molti,
a centinaia, erano già stati esposti a conseguenze
negative come il cloracne (una malattia che crea
pustole difficili da guarire) e un numero fuori
percentuale di aborti spontanei.
Oltre a ciò, si ebbero circa tremila tra
animali
domestici ed animali di fattoria morti e settantamila
macellati per impedire alla diossina di immettersi
nella catena alimentare.
Quel che accadde a Seveso sollevò problemi drammatici,
che andavano ben al di là del semplice dibattito sulla
sicurezza degli impianti industriali: in gioco vi erano problemi che
riguardavano la salute delle
persone e dello stesso territorio...
Come furono affrontati e risolti questi
problemi? Che cosa accadde esattamente dopo
l’emergenza?
Ebbene, accadde che fin dalle prime settimane ci fu
chi, abbracciando la tesi dell'incidente non
prevedibile, si prodigò alla sua minimizzazione: si
arrivò a dire che non era successo nulla di grave,
addirittura che la diossina non fosse neppure
velenosa.
Molti
apparati dello Stato, ministri, autorità locali,
politici, lavorarono per evitare che la popolazione
venisse a conoscenza della verità.
Alcuni giornali
scientifici, come The Lancet, pubblicarono
scritti a favore della tesi dell'innocuità della
diossina; nella vicinissima Svizzera nessun quotidiano
parlò mai del disastro; alcuni ricercatori, come il
celebre Lorenzo Tomatis, all'epoca direttore del
massimo ente comunitario di ricerca sul cancro, lo
Iarc di Lione, furono invitati a smetterla di
denigrare una società al disopra di ogni sospetto come
la
Hoffmann-La Roche, la società amministratrice degli
stabilimenti di Seveso.
Quel che invece oggi si sa è che quello di Seveso non
fu affatto un incidente non prevenibile o non
prevedibile. Il dolo è anzi stato accertato.
Il disastro di Seveso ebbe un effetto
particolarmente traumatico sulle popolazioni locali
proprio perchè la sua serietà fu riconosciuta
solamente con colpevole ritardo. In molte circostanze
si preferì glissare sulla gravità e sulle possibili
conseguenze dell'evento, piuttosto che rischiare di
far esplodere la crisi delle istituzioni regionali.
A ciò si aggiungeva la paura, il senso di
contaminazione, un’angoscia montante che investi
anche i rapporti sociali ed economici.
Molte comunità si videro rifiutati dal
mercato i loro prodotti
agricoli perché vicine al luogo del disastro, anche
laddove non vi era effettivamente rischio.
In molte persone l'immagine della diossina
divenne simile
a quella della radioattività: si trattava di una
sostanza invisibile,
nociva anche in quantità molto basse, e veniva
utilizzata in guerra come arma militare...
Si è ipotizzato, a tal proposito, che
proprio a Seveso
si producessero armi chimiche militari.
Nella
realtà, all'ICMESA si produceva triclorofenolo altamente
diossinato. La diossina di Seveso, avendo
proprietà altamente cancerogene, non poteva servire
per ciò che la Givaudan, un altra committente
dell'impianto, sosteneva di produrre: disinfettanti ospedalieri e
prodotti cosmetici. Inoltre, il prodotto era assemblato a Seveso ma venduto
in Svizzera, per essere poi girato negli Stati Uniti dove, con
molte probabilità, veniva miscelato con altri composti
chimici fino a farlo divenire il micidiale Agent
Orange, un defoliante che produce effetti
mostruosi sul corpo umano e che tanta, drammatica
diffusione ha avuto nella guerra del Vietnam.
Le
varie inchieste che hanno portato a questa ipotesi non
hanno in fondo mai trovato ufficiale smentita.
Una conseguenza
positiva il disastro la ebbe:
l'impulso dato alla Comunità europea
per l'elaborazione di un sistema nuovo di regolamentazione
industriale, uscendo dall'anarchia legislativa fino ad
allora presente.
Prima di Seveso, in
fondo, c'erano già stati altri disastri, altre morti,
altri corpi storpiati ed habitat contaminati, come nel
caso della MONSANTO, negli Stati Uniti, nel 1949,
della BASF in Germania, quattro anni più tardi, della
DOW CHEMICAL, ancora negli Stati Uniti, nel 1960, o
della PHILIPS DUPHAR, nei Paesi Bassi, anno 1963.
Tutti questi incidenti
produssero gravi malattie tra le
persone colpite, molte delle quali croniche e
trasmissibili alle nuove generazioni. Ed i luoghi
colpiti
ancora oggi portano addosso, e porteranno a lungo, i
segni delle contaminazioni.
La nuova legislazione
europea sugli apparati industriali di tipo chimico e
sulla loro gestione coordinata prese il via nel giugno
dell 1982, quando il Consiglio di Ministri delle Comunità
europee approvò la direttiva 82/501/EEC,
il Seveso Directive.
Una parte centrale della direttiva era
costituita dai riferimenti all'obbligo di una
trasparente informazione pubblica riguardo gli incidenti
industriali, nonchè nuove misure di sicurezza da
adottare
nel caso di incidente.
Il
concetto nuovo era quello del
riconoscimento, per i lavoratori industriali e per il
pubblico, del diritto di conoscere la sostanza
e la forma dei problemi che li potessero minacciare e
l'esatto funzionamento delle procedure di sicurezza.
Sembrava essercisi
definitivamente allontanati dai giorni di Seveso:
all'ambiguità ed al segreto si andava
apparentemente sostituendo il riconosciuto bisogno di
sapere.
Se poi le cose fossero state
effettivamente così, lo si sarebbe potuto scoprire già qualche anno più tardi, durante una tragedia ancor più
inquietante e misteriosa: quella che, nell'aprile del
1986, colpirà la centrale nucleare di Chernoby.
Riferimenti bibliografici:
http://www.retedigreen.com/seveso.htm
http://www.brunomondadori.com/scheda_opera.php?materiaID=74&ID=1911
http://www.mobydick.it/giorno/seves.html
http://www.unu.edu/unupress/unupbooks/uu21le/uu21le09.htm