N. 98 - Febbraio 2016
(CXXIX)
IN
MERITO
AL
SISTEMA
POSTALE
NELL'ISLAM
CLASSICO
CORRISPONDENZE
MEDIEVALI
di
Vincenzo
La
Salandra
Si è
soliti
affermare
che
i
califfi
foggiarono
il
loro
sistema
postale
seguendo
l’antico
modello
persiano:
questa
affermazione
è
senza
dubbio
scientificamente
fondata
ma
richiede
una
importante
precisazione.
Gli
arabi
ebbero
alle
loro
spalle
la
tradizione
della
steppa
e
del
deserto,
e
normalmente
si
spostavano
a
dorso
di
cavallo
oppure
utilizzando
le
carovane
di
cammelli.
Per
questi
motivi
gli
arabi
diedero
scarsa
importanza
alla
manutenzione
delle
grandi
strade
che
pure
erano
state
la
gloria
del
servizio
postale
del
Vicino
Oriente
e
fino
all’epoca
dei
Sasanidi.
Ciononostante
i
califfi
tennero
moltissimo
a
mantenere
l’organizzazione
capillare
e le
condizioni
ottimali
del
servizio
postale
di
stato:
secondo
la
testimonianza
di
Ibn
Khurdadhbah
sembra
che
nel
IX
secolo
il
califfato
mantenesse
oltre
900
stazioni
di
ricambio.
Inoltre
il
direttore
generale
delle
poste
era
nello
stesso
tempo
il
capo
del
servizio
informazioni.
Un
decreto
di
nomina
dell’anno
315
dell’Egira
(927-28
d.C.)
documenta
con
chiarezza
che
il
califfo
affidava
al
capo
del
servizio
postale
il
compito
di
controllare
in
dettaglio
lo
stato
delle
coltivazioni,
le
condizioni
della
popolazione
civile,
il
comportamento
dei
giudici
ufficiali,
la
zecca
e
altre
importanti
materie
‘sensibili’
(come
l’efficienza
delle
fondazioni
pie
e il
funzionamento
di
ospedali
e
moschee).
Inoltre
i
rapporti
segreti
dovevano
trattare
separatamente
le
varie
categorie
di
funzionari,
giudici,
membri
della
polizia,
persone
incaricate
della
riscossione
delle
tasse.
Le
direttive
che
si
rintracciano
nella
documentazione
implicano
l’esistenza
di
accurati
metodi
di
raccolta
e
catalogazione
delle
informazioni.
Sul
finire
del
X
secolo
Adud
ad-Dawla,
emiro
della
dinastia
dei
Buwaihidi
(949-982),
teneva
moltissimo
alla
precisione
del
servizio
postale,
il
brano
che
si
riporta
è
dello
storico
Ibn
Miskawaihi
(m.
1030)
autore
di
un’opera
redatta
in
forma
annalistica
Le
esperienze
delle
nazioni,
dove
racconta
un
episodio
della
giornata
dell’emiro
registrato
nell’anno
dell’égira
372
(982-83):
“Nel
corso
della
giornata
Adud
ad-Dawla
si
informava
dei
successivi
arrivi
della
posta,
la
quale
giungeva
ad
ore
fisse
e
controllate,
e
quando
tardava
succedeva
un
finimondo
e si
indagava
la
causa
del
ritardo.
Se
il
motivo
del
ritardo
era
chiaro,
la
giustificazione
era
accettata;
se
dipendeva
da
un
fatto
evitabile,
veniva
eliminato,
se
era
colpa
dei
funzionari
postali,
cadeva
su
di
loro
il
castigo.
Racconta
un
certo
corriere
che
a un
impiegato
delle
poste
la
moglie
disse:
‘Il
riso
è
cotto;
trattieniti
il
tempo
di
mangiarlo
e
poi
parti’.
Tardò,
giusto
il
tempo
di
mangiare,
e la
partenza
della
posta
subì
un
ritardo
corrispondente.
Per
questo
tutti
i
corrieri
e
gli
impiegati,
fra
Shiraz
e
Baghdad,
ricevettero
più
di
tremila
bastonate”.
Non
stupisce
con
una
tele
severità
che
si
raggiungessero
risultati
di
impressionante
rapidità
nelle
comunicazioni.
In
Egitto
e
nel
Maghreb
i
Fatimidi
continuarono
la
tradizione
postale
dei
loro
predecessori
arabi
(tulunidi),
ed
in
seguito
i
Mamelucchi
mostrarono
altrettanta
cura
e
scrupolo
nel
mantenere
il
sistema
di
posta
statale
tanto
che,
durante
il
periodo
della
loro
acme
politica
e
della
loro
massima
prosperità
economica,
le
metropoli
egiziane
erano
perfettamente
collegate
con
le
varie
regioni
della
Siria.
Comunque
esisteva
una
stretta
connessione,
in
quasi
tutti
gli
imperi
classici
dell’Islam,
tra
il
sistema
postale
regolare
e
l’organizzazione
delle
informazioni
e
dello
spionaggio.
Sotto
Abbasidi,
Fatimidi
e
Mamelucchi
gli
uffici
governativi
che
si
occupavano
delle
attività
di
spionaggio
dipendevano
normalmente
dallo
stesso
ministero
cui
faceva
riferimento
il
sistema
postale,
il
Diwan
della
Corrispondenza.
Per
quanto
riguarda
l’India,
Megastene
menziona
le
attività
dei
funzionari
addetti
alle
informazioni
durante
il
dominio
Maurya:
il
trattato
politico
Arthashastra
ed
il
Libro
di
Mani
descrivono,
scendendo
sovente
nei
dettagli,
i
metodi
ai
quali
le
spie
devono
fare
ricorso
per
le
loro
investigazioni.
Questa
correlazione
tra
il
sistema
dei
corrieri
mantenuto
dal
governo
e la
rete
del
servizio
informazioni
divenne
assolutamente
esplicita
nei
documenti
prodotti
sotto
la
dinastia
Gupta
(secoli
III-VIII
d.C.):
e il
sistema
venne
trasmesso
anche
nel
periodo
musulmano.
I
Mughal
tesero
all’organizzazione
burocratica
delle
informazioni
locali
che
dipendevano
da
un
funzionario
‘ufficiale’,
il ‘kotwàl’.
Inoltre,
il
servizio
nazionale
delle
informazioni
si
intrecciava
con
il
sistema
stradale
e le
pubbliche
locande,
le ‘saràis’,
al
pari
di
altri
servizi,
vennero
organizzate
in
conformità
con
la
prassi
dei
migliori
re
indù
dei
tempi
antichi.
Anche
in
Italia
Meridionale
e in
Sicilia
nell’alto
Medioevo
ci
sono
tracce
più
o
meno
profonde
della
presenza
saracena
nella
produzione
di
documenti:
a
Palermo,
durante
il
dominio
islamico,
esisteva
una
attiva
cancelleria
che
intratteneva
corrispondenze
fitte
e su
largo
raggio
con
gli
Abbasidi
prima
e
con
i
Fatimidi
in
un
secondo
momento
e,
per
tutto
il
periodo
della
dominazione
musulmana
dell’isola,
con
tutti
i
potentati
islamici
nel
Mediterraneo.
Da
Bari,
nei
decenni
dell’emirato
del
IX
secolo,
Sawdan
invia
lettere
a
Baghdad
per
chiedere
al
califfo
Abbaside
regnante
di
accordargli
la
giurisdizione
ufficiale
e
l’investitura
militare
sull’emirato
pugliese.
Alcuni
secoli
dopo
a
Lucera
la
colonia
saracena
voluta
da
Federico
II
prosperava
anche
in
cultura
se è
vero,
secondo
Ibn
Wasil,
che
vi
fioriva
un’accademia
scientifica.
Con
Carlo
II
d’Angiò
i
tempi
mutavano
e
già
in
alcuni
documenti
si
imponeva
alla
curia
angioina
di
intervenire
presso
un
saraceno
per
indurlo
a
restituire
ai
Templari
di
Alberona,
dipendenti
dalla
domus
di
Barletta,
nientemeno
che
dei
porci
e
del
pollame;
inoltre
la
curia
doveva
intervenire
presso
il
Capitano
di
Lucera
per
garantire
ai
Templari
il
diritto
di
pascolo
nel
territorio
di
Tora
vicino
Alberona.
È
utile
ricordare
per
chiudere
questa
piccola
rassegna
sulle
corrispondenze
nel
Medioevo
che
Federico
II
di
Svevia
mantenne
un
carteggio
molto
interessante
con
il
mistico
e
filosofo
Ibn
Sab’in
in
al-Andalus...
lui
che
a
Palermo
era
stato
cresciuto
in
un
ambiente
anche
arabofono,
che
volle
ascoltare
il
canto
del
muezzino
a
Gerusalemme
e a
Lucera
in
Capitanata,
che
aveva
consultato
manoscritti
e
documenti
arabi
finanche
per
comporre
la
sua
monumentale
opera
sulla
caccia,
che
scriveva
a un
dotto
musulmano
della
Spagna
per
chiedere
lumi
su
dispute
e
chiarimenti
di
dottrina
islamica
per
servire
alla
sua
curiosità
filosofica.