++++

 

[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


moderna

ECONOMISTI ITALIANI IN ETÀ MODERNA

IL PENSIERO DI SERRA E GALIANI

di Enrico Targa

 

Nell’Italia delle Signorie al Centro Nord e del Regno di Napoli nel Sud, spicca il pensiero economico del cosentino Antonio Serra che scrisse il suo Breve trattato delle cause che possono far abbondare il regno d’oro e argento ove non sono miniere con applicazione al Regno di Napoli (1613) nel carcere partenopeo di Vicaria dove scontava la pena per un crimine della cui natura non è pervenuta indicazione.

 

Contemporanei di Serra, molti autori scrissero trattati di economia e dissertazioni su questioni legati alla finanza, ma il loro interesse analitico è piuttosto scarso. Di Serra colpisce, in particolare, la capacità di porre in relazione aspetti economici e politici, questioni legate alla bilancia commerciale e questioni legate alla bilancia dei pagamenti o, più in generale, al sistema politico ed economico del Regno di Napoli.

 

La vita dell’autore è ignota e lo stesso Breve trattato, su cui si soffermò a lungo il Galiani, restò sconosciuto fino all’Ottocento, pertanto non influenzò in alcun modo i suoi predecessori. Di recente, però, sono emersi alcuni documenti notarili, dei primi anni del Seicento, relativi a un Antonio Serra di Dipignano, altro casale di Cosenza (per es. Archivio di Stato di Cosenza, Notaio Manilio De Luca, 1602, c. 106r). Ciò permette, per la prima volta, di fondare sul piano documentale un’ipotesi sul luogo di nascita dell’economista, rafforzata da un atto pubblicato nel 1964 da Luigi De Rosa, che pure legava Serra alla stessa Dipignano.

 

Da un rogito notarile del 1591 vergato a Napoli, infatti, era emerso che il magnificus Antonius Serra de civitate Cusentie, utriusque iuris doctor, verosimilmente dimorante nella città partenopea, deteneva un fondo e case in territorio Dipignani, casalis dicte civitatis Cusentie (De Rosa, 1964, p. 575). Anche qui, come nel caso del frontespizio del Breve trattato, la dizione “de civitate Cusentie” è da legare a quanto già detto sulla doppia cittadinanza e sul fatto che al di fuori di Cosenza i casaleni usavano dichiararsi nativi del più noto capoluogo. Quanto al titolo di “utriusque iuris doctor”, anch’esso corrisponde a quello dichiarato da Serra nel suo libro, dal quale peraltro risulta piuttosto evidente che avesse una formazione di tipo giuridico.

 

È plausibile, quindi, che si trattasse di lui, il che permette di rendere meno vaga anche la definizione della sua data di nascita, poiché se nel 1591 era già laureato, doveva avere all’incirca almeno 20 anni, sicché si può dire che non nacque oltre i primi anni Settanta del Cinquecento. Al di là dell’alone di mistero che permane sulla sua biografia, Serra resta un autore di rilievo nella cultura europea. Il Breve trattato è, infatti, il primo scritto che pose in termini teorici un quadro generale delle cause dei fenomeni economici. A Serra, quindi, va “il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica” (Schumpeter, 1959).

 

La visione di Serra è, come si diceva, straordinariamente avanzata per l’epoca. Analizzando le caratteristiche generali di una nazione attraverso un metodo comparato che fondava l’indagine razionale su basi empiriche, nutrito dal realismo di Niccolò Machiavelli e dal naturalismo meridionale (da Bernardino Telesio a Campanella, alla base della floridezza economica ovvero alla povertà e arretratezza, egli distingue due componenti: le risorse naturali, accidenti propri, e le condizioni favorevoli, accidenti comuni.

 

Le prime, tra cui rientrano la fertilità della terra e la centralità della localizzazione geografica rispetto ai traffici, ove sussistano, rappresentano una sorta di capitale di origine che però, per assicurare la ricchezza della nazione, deve accompagnarsi alle condizioni favorevoli che constano di elementi quali: la produzione manufatturiera, le qualità morali e professionali della popolazione, una fitta di rete di commercio e un buon assetto istituzionale. Le risorse naturali, quindi, sebbene potenzialmente preziose, non sortiscono d asole l’effetto di garantire buone condizioni economiche nella nazione se non vengono ben utilizzate. La “novità” del pensiero dell’autore consiste nel prendere in considerazione elementi molto eterogenei e nell’analizzarli nella loro reciproca interferenza e sinergica giustapposizione; inoltre, veramente singolare per l’epoca, è la sua la capacità di collegare i fenomeni monetari a quelli reali.

 

Alla generale descrizione dei fenomeni economici di una nazione, segue nel Breve Trattato, l’analisi della condizione del Regno di Napoli. La sua economia mostra un grave squilibrio nella bilancia dei pagamenti in quanto la vendita dei prodotti agricoli locali, pur facendo affluire cospicue quantità di moneta nel Regno, non basta a sostenere le fuoriuscite dovute al pagamento dei forti interessi sul debito pubblico. L’arretratezza del sistema creditizio e bancario e la scarsa attitudine imprenditoriale della popolazione autoctona lasciano ampi margini di guadagno di profitto ai mercanti-banchieri del centro nord (soprattutto fiorentini e genovesi) e sono proprio loro quelli che si appropriano degli utili della produzione manifatturiera di cui detengono la proprietà.

 

L’analisi di Serra si conclude con indicazioni di politica economica per il Regno di Napoli. Si consiglia il divieto all’esportazione di monete e metalli preziosi, la riduzione del cambio per favorire la bilancia commerciale rendendo le merci più competitive sul mercato estero, l’utilizzazione delle monete estere nei pagamenti, l’obbligo della consegna delle stesse alla Zecca nazionale. La maggior parte dei rimedi suggeriti sono quindi collegati ai movimenti delle monete e ciò potrebbe ridurre il valore del contributo di questo autore, riportandolo nei ranghi del mercantilismo classico, ma questo sarebbe un errore.

 

Sicuramente un interesse per i metalli preziosi è sempre presente e vigile, tanto che l’autore arriva a definire la giusta proporzione tra oro e argento nella composizione delle monete, ma l’accuratezza dell’analisi sul sistema produttivo del Regno lo pone ben al di là dei limiti dei movimenti sopra descritti, in particolare il rilievo sugli aspetti antropologici e istituzionali, intimamente connessi alla prosperità della nazione, lo proietta in un luogo ideale dall’analisi economica abitato da pochi illustri in grado di cogliere il significato complessivo di un sistema economico e delle interconnessioni irriducibili tra le diverse componenti: storiche, politiche, antropologiche.

 

Diverso è il caso di Ferdinando Galiani le cui opere letterarie circolarono immediatamente, animando il dibattito intorno alle riforme politiche che aprirono la strada all’epoca del dispotismo illuminato. Nato a Chieti nel 1728, fu attentamente educato dallo zio, monsignor Celestino Galiani, prima a Napoli e poi a Roma con l’obiettivo di intraprendere la carriera ecclesiastica. Galiani fin dall’inizio mostrò un forte interesse per lo studio dell’economia e all’età di ventidue anni, dopo aver preso gli ordini, produsse due opere con le quali il suo nome divenne ampiamente conosciuto ben oltre i confini del Regno di Napoli.

 

Nella prima opera, Della Moneta (1750), fa un’ampia disquisizione sulla monetazione dell’epoca in cui si mostra forte sostenitore del mercantilismo, inoltre affronta molti aspetti riguardo alle politiche del cambio facendo particolare riferimento allo stato di confusione in cui versava allora il sistema monetario del governo napoletano. Il Della Moneta viene considerato “il capolavoro uscito dalla discussione sulle monete a metà del secolo” (Venturi, 1969): una discussione che vide impegnati molti intellettuali e riformatori dei vari Stati italiani: C.A. Broggia nel 1743 (e poi di nuovo nel 1754), T. Spinelli, G. Belloni, G. Fabbrini, P. Neri, G.R. Carli, G.F. Pagnini, P.G. Capello e G. Costantini, tra il 1750 e il 1752.

 

Rispetto a questi autori il Galiani si distinse nettamente: per l’ampiezza e l’organicità della trattazione, per le chiare e lucide definizioni di concetti economici di base (come il valore dei beni), per l’originalità del suo pensiero rispetto al problema delle manipolazioni monetarie. Il punto di partenza era un’articolata analisi sui metalli preziosi e sul valore intrinseco della moneta, dovuto alla quantità di metallo: anche il metallo prezioso non coniato poteva dirsi quindi moneta e il conio non era altro che un segno della quantità di metallo contenuto.

 

In questo modo il Galiani respingeva la teoria contrattualista sull’origine della moneta che derivava da Aristotele ed era stata accettata da tanti autori successivi. Nonostante queste premesse, riteneva il cosiddetto alzamento, la diminuzione della quantità di metallo in una moneta che conservava il suo valore di conio originario, un provvedimento giusto e utile per i governi che l’adottavano. Ciò significava pronunciarsi nettamente a favore dell’inflazione controllata, mentre gli altri “monetaristi” si battevano contro la svalutazione della moneta e gli aumenti dei prezzi, auspicando una politica statale a favore della stabilità monetaria.

 

L’alzamento – secondo il Galiani – doveva però essere adottato solo in una situazione eccezionale e da un governo che godesse dell’autorità necessaria: un potere efficiente e assoluto non limitato da Parlamenti o altri corpi intermedi, ma illuminato, come a suo avviso era quello di Carlo di Borbone. Tale alzamento era lecito soprattutto in presenza di un cospicuo debito pubblico, perché consentiva di aumentare le entrate senza introdurre nuove tasse o inasprire le vecchie. Col tempo la svalutazione sarebbe stata assorbita dal mercato grazie all’inevitabile aumento dei prezzi, ma prima che si fosse ricreato l’equilibrio monetario lo Stato avrebbe realizzato cospicui introiti, mentre i lavoratori non avrebbero avuto grandi danni, perché – affermava il Galiani – “se incariscon le merci, crescono del pari le mercedi e ogni altro guadagno”.

 

Inoltre, l’aumento dei prezzi e la maggiore disponibilità di denaro avrebbero prodotto un incremento della produzione e della circolazione dei beni e dei consumi. Quello della produzione era l’obiettivo primario di una nazione, da incrementare il più possibile sia in campo agricolo, sia in quello manifatturiero, mediante adeguati investimenti: venivano così apertamente superate le vecchie tesi mercantiliste di una ricchezza basata sull’introduzione di molto più denaro o metallo prezioso di quello esportato.

 

Accanto a queste tematiche, che per l’epoca erano senz’altro quelle più importanti, il libro del Galiani conteneva alcune felici intuizioni sul valore dei beni: rapportato sia alla loro utilità (intesa come soddisfacimento dei bisogni primari – mangiare, bere, dormire – e di quelli secondari, relativi alle passioni e al piacere), sia alla rarità, sia al lavoro necessario per produrli (la “fatica”). Molti economisti e storici del pensiero economico di fine Ottocento o del primo Novecento, soprattutto italiani, hanno individuato in queste intuizioni sia elementi anticipatori delle teorie marginaliste del valore, sia di quelle precedenti di stampo ricardiano e marxiano.

 

È il caso di ricordare soltanto il favorevolissimo giudizio di Luigi Einaudi, che ravvisa tra l’altro nel Galiani i “germi delle teorie gosseniane, della gerarchia dei beni, della loro sostituzione, della decrescenza della utilità delle successive dosi di un bene”; nonché quello altrettanto entusiasta di Joseph Alois Schumpeter, per il quale il Galiani eleva la fatica “alla dignità di unico fattore di produzione, la considera l’unica circostanza che dà valore alla cosa”.

 

Tuttavia il libro del Galiani fu quasi del tutto ignorato dai maggiori economisti dell’Ottocento (a eccezione di Karl Marx), anche perché esso non fu tradotto, nemmeno dopo la seconda edizione del 1780 (l’unica traduzione in francese apparirà nel 1955). Il successo dell’opera fu quindi solo iniziale, limitato agli anni Cinquanta, e passò presto assieme a “quel periodo di vivissimo interesse per i problemi monetari che era conseguito alla guerra di successione austriaca” (Diaz, in F. Galiani, Opere, p. 9).

 

L’altra opera, Raccolta in Morte del Boia, gli permise di consolidare la sua fama di umorista donandogli molta popolarità nei circoli letterari italiani verso la fine del XVIII secolo. Questa opera fu scritta da Galiani in forma di parodia strutturata in una serie di discorsi sulla morte del boia pubblico utilizzando i già ben noti stili letterari degli scrittori napoletani dell’epoca.

 

La conoscenza politica e le qualità sociali di Galiani lo portarono all’attenzione del re Carlo di Napoli e di Sicilia (in seguito Carlo III di Spagna) e del suo Ministro liberale Bernardo Tanucci tanto che nel 1759 Galiani fu nominato segretario dell’ambasciata napoletana a Parigi. Ricoprì tale incarico per dieci anni, quando tornò a Napoli e fu nominato consigliere del tribunale di commercio e nel 1777 amministratore dei domini reali.

 

Durante il periodo in cui era un diplomatico a Parigi, Galiani scrisse i Dialogues sur le commerce des bleds, che enfatizzava l’importanza per la regolamentazione del commercio, un argomento che si opponeva ai fisiocratici, che sostenevano la completa libertà del commercio soprattutto dei grani. Inoltre, egli distingue nettamente tra la libera circolazione interna e quella estera, sostenendo che una grande nazione come la Francia deve consentire l’esportazione del raccolto eccedente alle regioni più prospere solo dopo aver compensato le eventuali necessità di grano delle regioni caratterizzate da un raccolto insufficiente.

 

In pratica, non si trattava di impedire le esportazioni, ma di regolamentarle, adattandole alla realtà concreta in cui si operava, di scoraggiarle utilizzando lo strumento dei dazi. In questo modo si potevano scongiurare momenti di penuria grave, le carestie così pericolose per il normale sostentamento degli strati più deboli della popolazione e di conseguenza per la tenuta dei governi, le sordide speculazioni e gli illeciti arricchimenti che produttori, mercanti e intermediari spesso riuscivano a conseguire in tali momenti. Alla base del ragionamento del G. vi erano quindi il realismo politico e la ragion di Stato, contro analisi che mettevano al primo posto una scienza economica (fisiocratica) elevata a sistema e posta al di sopra di qualsiasi istanza di tipo politico.

 

Questo libro pubblicato nel 1770, introduceva il concetto dei rendimenti crescenti della produzione e i rendimenti decrescenti dell’agricoltura e affermava il concetto secondo il quale la ricchezza di una nazione si misura dal livello raggiunto dalla produzione e dal commercio. Approvando l’editto del 1764 di liberalizzazione del commercio del grano, Galiani respinse gran parte dell’analisi fisiocratica e in particolare la teoria del valore della terra affermando che l’attività manufatturiera è attività economica più importante.

 

Sulla linea di pensiero già tracciata da Antonio Serra i Dialogues fornivano un’analisi abbastanza moderna della bilancia dei pagamenti. l libro fu poi inserito nella collana degli Scrittori classici di economia italiana curata da Pietro Custodi (1803, prima edizione italiana del testo francese, senza traduzione). In seguito comunque l’opera fu piuttosto accantonata, non suscitando più interesse dopo il radicale mutamento di prospettive dell’economia europea avvenuto dopo la rivoluzione industriale e il trionfo del liberismo di ispirazione smithiana. Sarà comunque presa in considerazione dagli storici del pensiero economico e del secolo XVIII e sarà oggetto di varie ristampe (e alcune traduzioni in italiano) nel corso della seconda metà del Novecento.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

F. Galiani, Della moneta, libri cinque, Giuseppe Raimondi, Napoli 1750.

S. De Majo, «Galiani, Ferdinando», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 51, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1998.

A. Serra, Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere. Con applicazione al Regno di Napoli, Rubbettino Editore, Catanzaro 2013.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]