N. 62 - Febbraio 2013
(XCIII)
la RICERCA DELL’AMICIZIA
SEMANTICA DI UN AFFETTO UNIVERSALE
di Chiara Francesca Chianella
Il concetto
di
amicizia
è vecchio
quanto
il
mondo?
Sembrerebbe
proprio
di
no.
Il
vasto
numero
delle
lingue
appartenenti
al
ceppo
indoeuropeo
ha
solo
progressivamente
trovato
un
vocabolo
idoneo
ad
indicare
l’«amico»
per
conto
proprio.
Si
hanno
a
disposizione
una
miriade
di
termini
per
esprimere
questo
concetto
e
tale
molteplicità
ci
indica
come
l’amicizia
sia
giunta
a
noi
attraverso
i
più
differenti
itinerari.
È
risaputo
che
l’immagine
dell’«amico»
-
sia
come
sostantivo
che
come
aggettivo
-
derivi
dal
greco
phìlos,
questa
parola
comprende
in
sé
un
significato
affettivo
e
soggettivo
partendo
da
un
concetto
prettamente
oggettivo
e
sociale
di
«proprio,
appartenente,
suo».
Così
non
stupirà
se
al
plurale
il
gr.
phìlos
sia
utilizzato
per
indicare
«i
parenti»:
è
accaduto
allo
stesso
modo
con
il
tema
SWO-
«suo,
proprio»
che
nell’alto
tedesco
swas
ha
il
valore
di
«intimo,
confidenziale»,
e
nell’antico
islandese
svass
quello
di
«intimo,
familiare,
caro,
amato».
Del
resto
anche
nelle
lingue
romanze
il
pronome
personale
al
plurale
(ad
es.
ital.
i
miei,
i
tuoi,
ecc.)
ha
un
chiaro
riferimento
ai
propri
«parenti».
Così,
rifacendoci
al
greco,
alla
definizione
di
«amico»
e di
«caro»
si è
arrivati
dall’idea
di
«parenti»
nel
senso
comune
del
termine:
i
primi
sentori
di
confidenza
e di
gradimento
si
avvertono
all’interno
della
famiglia,
permettendo
al
di
fuori
di
essa,
il
nascere
dell’«amicizia».
Il
vocabolo
latino
amīcus
non
è di
antica
acquisizione
e lo
troviamo
in
tutte
le
lingue
romanze
(
ital.
amico,
franc.
ami,
spagn.
amigo,
rum.
amic).
Tale
aggettivo
è
composto
dalla
radice
AM-
che
non
è
indoeuropea
e
che
si
pensa
si
stata
desunto
da
una
lingua
appartenente
al
sostrato
preindoeuropeo:
i
parlanti
latini
riconoscevano
nella
radice
LEWBH-
il
significato
di
«amare»,
ma
venendo
a
contatto
con
popolazioni
che
si
ponevano
in
modo
più
delicato
ai
rapporti
d’amore,
hanno
assimilato
da
loro
questo
tema
AM-,
circoscrivendo
il
proprio
LEWBH-
a
concetti
più
estremi
come
lubet/libet
e
libīdo.
È
certo
che
amīcus
derivi
dal
verbo
amāre
e
nel
contesto
latino
si
fa
riferimento
a
un’attrazione
affettiva
che
lega
due
persone.
L’irlandese
care
«amico»
(cfr.
anche
gall.,
cor.,
bret.
car)
fa
riferimento
allo
stesso
grado
di
affettività
latina,
infatti
il
verbo
caraim
«amo»
ha
il
medesimo
tema
KAR-
al
quale
vengono
collegati
lat.
cārus
«caro»,
got.
hors
(<*hōra)
«adultero»,
a.isl.
hòrr
«id.»,
a.a.
ted.
huora/huorra
(<*
hòrion)f.
«prostituta»,
ags.
hōre
f. «id.»,
a.isl.
hōra
f. «id.»
(<*horon-),
a.isl.
hōr
n.
«amori
illesi,
lussuria»,
a.a.ted.
hōr
n. «id.»,
ags.
hōr
n. «id.»,
lell.
kārs
«cupido,
avido,
desideroso»,
toc.
A
krant,
B
krent
«buono».
C’é
da
ricordare,
inoltre,
la
radice
WEN-
che
ben
si è
insediata
nelle
lingue
indoeuropee:
a.ind.
vanati
«desidera,
ama,
conquista,
vince»,
vañchati
«desidera»,
vanas-
n.
«voglia,
piacere»,
lat.
venus
–eris
«amore»,
venustus
«grazioso,
leggiadro»,
veneror
–ari
«onorare
con
religioso
rispetto,
adorare»,
*wunskō
(ted.
Wunsch,
ingl.
wish)
«desiderio»,
a.sl.
uniti
«volere»,
toc.A
wañi-
B
win-
«piacere».
Così,
il
tema
*WENY-
«amico»
deriva
dal
compiacimento,
concetto
base
dei
rapporti
di
parentela
e
dunque
dell’amicizia.
Si
potrebbe
ricordare
il
termine
germ.
frijōnd-,
che
gli
studiosi
ritengono
sia
di
recente
formazione,
che
a
sua
volta
fa
derivare
la
sua
origine
dalla
radice
PRAY-
«gradire,
aver
caro,
amare»,
comune
alle
varie
lingue
indoeuropee
(a.ind.
prīnāti
«rallegra»,
prīyate
«ama»,
priyá-
«caro,
diletto,
amato
[al
maschile
«sposo»
e al
femminile
«sposa»],
avest.
frāy-
«soddisfare»,
frya-
«caro»,
gr.
prāÿs
(<prájý-)
«dolce,
mite»,
a.isl.
Frigg,
a.a.ted.
Frija
«sposa
(di
Odino)»,
ags.frēo
«donna
di
alto
lignaggio»
(orig.
«cara»),
a.isl.
prijati
«essere
favorevole,
provvedere,
assistere»).
Passando
allo
slavo
si
nota
che
ha
prevalso
il
vocabolo
prjatelĭ
(russo
prijatel’,
pol.
przyjaciel,
ceco
prìtel,
s.cr.
přijatel:
e
solo
il
russo
ha
drug);
questa
parola
trae
la
sua
origine
dal
verbo
přijatel
che
significa
«essere
favorevole,
provvedere,
assistere»
ed
era
originariamente
costruito
sulla
morfologia
di
a.isl.
friotill
m.
«amante»,
a.a.ted.
fridel
«amante,
sposo».
È
lampante
l’analogia
della
parola
slava
con
quelle
dell’area
germanica,
sia
per
l’isolessi
PRĀY-,
sia
con
le
aree
linguistiche
occidentali
che
si
riferiscono
all’idea
di
«caro,
gradito,
amato»
(celtico,
latino,
ma
anche
greco).
Il
tema
sakhi-
prevale
nell’area
linguistica
indoiranica
(
a.ind.
sakhi-,
avest.haxi-)
che
abbraccia
il
significato
di
«amico,
compagno,
socio»;
gli
studiosi
fanno
notare
che
questo
tema
provenga
dalla
radice
SEKW-
«seguire»
(a.ind.
sacate,
gr.
hépomai,
lat.
sequor,
ecc.)
con
significati
simili
al
lat.
socius
«socio,
compagno»,
all’a.isl.
seggr
«guerriero»,
all’ags.
secg
«compagno,
guerriero»:
queste
lingue
orientali
hanno
in
comune
la
stessa
origine
semantica
del
tema
balto-slavo
*drougo-.
Il
ceppo
ugrofinnico
completa
il
quadro
delle
lingue
presenti
in
Europa
e
per
osservare
il
suo
concetto
relativo
all’«amicizia»,
faremo
riferimento
ai
dati
forniti
da
Danilo
Cheno.
Nel
finnico
per
ystävä
si
intende
«amico»
e
ystävyys
«amicizia»
e
con
molta
probabilità
questi
vocaboli
derivano
da
yskättävä
ysättäva
«che
si
stringe
al
petto»;
in
estone
troviamo
sõber
«amico»
e sõprus
«amicizia»
che
va
valutato
un
prestito
dalle
lingue
baltiche
(cf.lit.sẽbras
«compagno»).
Come
ultima
lingua
si
ha
l’ungherese
che
presenta
barát
e
barátseg
con
il
rispettivo
significato
di
«amico»
e
«amicizia»,
essi
risultano,
inoltre,
essere
prestiti
dall’a.slavo
bratǔ/bratrǔ
«fratello».
Questa
breve
analisi
delle
lingue
europee
ci
offre
alcuni
interessanti
aspetti
di
tipo
sociale:
nelle
lingue
occidentali
l’idea
di
«amico»
concerneva
un
tipo
di
rapporto
affettivo
che
legava
esclusivamente
il
parentado
stretto
e
acquisito;
ciò
spiega
la
spontanea
conseguenza
per
cui
tale
concetto
si
sia
spostato
da
«parente
(amato)»
ad
«amico».
Diversamente
dalle
lingue
occidentale,
le
lingue
orientali
hanno
elaborato
il
concetto
di
«amico»
partendo
da
«compagno»,
distante
da
ogni
sorta
di
riferimento
all’ambito
familiare.
Si
nota,
dunque,
che
la
delicatezza
del
bene
dell’amicizia
è
alimentata
da
un
affetto
che
ben
si
somiglia
a
quello
che
unisce
i
«parenti»
(visione
occidentale)
e i
«compagni»
(visione
orientale).
Nella
lingua
ci
sono
già
la
premesse
per
far
sì
che
il
dono
di
questo
stretto
legame
coinvolga,
a
partire
dai
singoli
individui,
intere
popolazioni.
Se
spesso
si
accusa
la
frenesia
dei
tempi
moderni
per
non
dar
modo
alle
giovani
generazioni
di
costruire
legami
affettivi
stabili
e
sinceri,
c’è
anche
da
dire
che
a
vera
amicizia
non
è
perduta
del
tutto:
esiste.
Affinché
essa
allieti
la
vita
in
tutte
le
sue
stagioni,
deve
essere
ben
riconosciuta
e
soggiacere
a un
decalogo
ideale.
Non
esiste
relazione
umana
in
cui
il
reale
deve
essere
sempre
così
vicino
all’ideale,
afferma
Alberoni.
L’amicizia
non
chiede
niente,
non
approfitta
dell’amico
che
esterna
una
sua
debolezza,
richiede
lealtà,
sincerità
e
fiducia.
Riprendo
una
frase
un
po’forte
dell’Alberoni
ma
che,
credo,
rende
davvero
l’idea
di
un
sentimento
che
funge
da
mezzo
necessario
per
una
vita
felice:«
l’amicizia
dice
sempre,
anche
di
fronte
alla
morte:
“Non
c’è
di
che”».
Scrittori,
poeti,
critici
possono
molto
con
le
parole
ma
solo
l’impegno
personale
assieme
alla
fiducia
reciproca
sarà
la
“lanterna”
per
la
faticosa
ricerca
del
dono
dell’«amicizia».
Riferimenti
bibliografici:
A.
ALBERONI,
L’amicizia,
Garzanti,
Milano,
1992;
C.A.
MASTRELLI,
L’«amicizia»
nel
lessico
europeo,
intervento
raccolto
in
«il
concetto
di
amicizia
nella
storia
della
cultura
europea
–
ATTI
del
XXII
convegno
internazionale
di
studi
italo-tedeschi.
MERANO,
9-11
maggio
1994».