N. 129 - Settembre 2018
(CLX)
Il conflitto anglo-americano del 1812
La
meno
nota
Seconda
Guerra
d’Indipendenza
Americana
-
Parte
I
di
Gian
Marco
Boellisi
Tra
i
tutti
i
conflitti
che
non
trovano
spazio
negli
annali
di
storia
risulta
di
particolare
interesse
la
guerra
anglo-americana
del
1812.
Inquadrata
nel
contesto
ben
più
ampio
dei
conflitti
napoleonici,
questo
scontro
riportò
su
fronti
opposti
l’Impero
Britannico
e la
sua
ex
colonia,
i
giovanissimi
Stati
Uniti
d’America.
Nonostante
la
durata
relativamente
breve
delle
ostilità
(circa
3
anni),
questo
episodio
ebbe
importanti
conseguenze
non
solo
per
l’Impero
Britannico,
il
quale
si
rassegnò
quasi
del
tutto
a
non
potersi
riprendere
la
vecchia
colonia,
ma
anche
per
gli
Stati
Uniti,
i
quali
si
consolidarono
non
solo
come
potenza
nel
Nord
America
ma
si
attestarono
come
nazione
indipendente
e
padrona
del
proprio
destino.
Prima
di
analizzare
le
ostilità
nel
dettaglio,
vale
la
pena
soffermarsi
su
quelle
che
furono
le
cause
che
portarono
a
esse.
Nei
primi
anni
del
1800
l’interezza
della
politica
europea
fu
concentrata
su
quell’uragano
storico
che
noi
tutti
oggi
conosciamo
come
Napoleone
Bonaparte.
Proprio
a
seguito
dell’ininterrotto
conflitto
tra
la
Francia
Imperiale
e
l’Impero
Britannico,
fu
decretato
da
parte
della
Gran
Bretagna
il
blocco
totale
dei
porti
francesi,
mossa
che
sarà
replicata
poi
da
parte
di
Napoleone
con
il
famoso
quanto
fallimentare
“Blocco
continentale”.
Questo
congelamento
provocò
una
grave
crisi
nella
giovane
economia
americana,
essendo
buona
parte
degli
scambi
con
l’Europa
provenienti
da
Inghilterra
e
Francia.
Alcuni
storici
vedono
in
queste
restrizioni
la
volontà
inglese
di
indebolire
la
propria
ex
colonia,
essendo
essa
secondo
opinione
comune
all’epoca
“una
delle
più
grandi
minacce
al
potere
marittimo
della
Gran
Bretagna”.
Dopo
anni
di
difficoltà
economiche
dovute
al
protrarsi
delle
ostilità
in
Europa,
gli
Stati
Uniti
si
videro
costretti
a
rispondere
a
tali
restrizioni
imponendo
essi
stessi
un
“blocco”
a
tutte
le
navi
inglesi
che
giungevano
nei
porti
statunitensi.
Tuttavia
non
vi
sono
solamente
ragioni
commerciali
alla
base
di
questo
scontro.
All’epoca
era
buona
norma
da
parte
della
Marina
di
sua
Maestà
perquisire
i
vascelli
statunitensi
in
cerca
di
disertori,
i
quali
spesso
e
volentieri
si
dirigevano
oltreoceano
per
scappare
alle
carneficine
europee.
Queste
ispezioni
arbitrarie
col
tempo
ebbero
un’involuzione
del
tutto
eccezionale.
Infatti,
nell’ottica
inglese,
come
un
cittadino
inglese
non
poteva
pensare
di
perdere
il
suo
status
scappando
negli
Stati
Uniti,
dove
a
tutti
gli
effetti
sarebbe
diventato
poi
cittadino
americano,
così
gli
ex
cittadini
britannici
non
potevano
sottrarsi
al
servizio
necessario
di
Sua
Maestà.
Con
questo
principio
legislativo
alle
spalle,
alle
perquisizioni
delle
navi
americane
seguirono
coscrizioni
forzate
di
marinai
americani
nei
ranghi
inglesi.
Inutile
dirlo,
vi
furono
numerosi
episodi
di
violenza
tra
le
due
nazioni
che
non
fecero
che
buttare
benzina
sul
fuoco.
Ma
non
è
tutto.
In
questi
anni
si
possono
collocare
le
prime
tensioni
tra
le
popolazioni
indiane
native
dell’interland
statunitense
ed i
coloni.
Infatti,
non
contenti
più
degli
spazi
ereditati
dai
loro
padri,
gli
americani
iniziarono
sempre
più
a
spostarsi
verso
Ovest,
dando
inizio
così
alla
sistematica
colonizzazione
di
tutta
la
superficie
degli
attuali
Stati
Uniti.
In
risposta
a
questa
spinta
le
popolazioni
indiane
formarono
diverse
confederazioni
a
difesa
dei
propri
territori,
effettuando
sempre
maggiori
incursioni
negli
insediamenti
americani.
In
questo
delicatissimo
frangente
si
intromise
l’Inghilterra
come
solo
lei
ha
saputo
fare
in
circa
300
anni
di
storia.
Infatti,
vedendo
un
possibile
territorio
abitato
dai
nativi
come
“buffer”
per
la
colonia
del
Canada,
la
corona
inglese
fornì
di
armi
e
fondi
le
tribù
indiane
in
modo
che
attaccassero
sempre
maggiormente
i
coloni
americani,
lasciandoli
costantemente
a
ridosso
del
mare.
Insomma,
una
polveriera
quella
dell’Ovest
con
un
potenziale
distruttivo
analogo
a
quello
dell’Est.
Finora
tutte
le
cause
descritte
sono
imputabili
all’Impero
Britannico.
Tuttavia
i
cugini
americani
non
sono
immuni
da
colpe.
Infatti
non
è un
segreto
che
Washington
mirasse
da
tempo
ad
annettere
il
Canada
ai
propri
possedimenti.
Alcuni
storici
pensano
che
la
ragione
fosse
quella
di
indebolire
la
Gran
Bretagna,
cancellando
così
totalmente
ogni
suo
possedimento
in
Nord
America
e
così
anche
la
speranza
di
poter
riprendere
gli
Stati
Uniti
con
la
forza.
Altri
pensano
che
la
ragione
principale
fosse
quella
di
fermare
il
rifornimento
di
armi
ai
nativi.
Altri
ancora
ritengono
che
il
Canada
sarebbe
stata
un’ottima
moneta
di
scambio
per
acquisire
maggiore
indipendenza
dalla
Gran
Bretagna
sul
fronte
dei
commerci
marittimi
(l’80%
degli
scambi
commerciali
statunitensi
via
mare
era
ancora
con
la
vecchia
madrepatria).
Quale
di
queste
sia
la
verità?
Probabilmente
un’po'
tutte
quante,
come
sempre.
Sta
di
fatto
che
gli
Stati
Uniti
erano
pronti
alla
guerra
con
la
Gran
Bretagna
da
prima
dell’embargo
europeo
e
con
ogni
probabilità
ciò
che
accadde
dopo
fornì
un’ottima
scusa
ai
cosiddetti
“Falchi
di
Guerra”
(War
Hawks),
membri
del
Congresso
in
favore
all’inizio
delle
ostilità,
per
portare
il
Parlamento
ad
un
voto
favorevole
alla
dichiarazione
di
guerra.
Questa
giunse
il
18
giugno
1812,
dopo
una
votazione
da
parte
di
entrambe
le
camere
con
maggioranza
del
60%
circa.
Colta
al
principio
impreparata
a
questo
corso
di
eventi,
essendo
la
sua
attenzione
maggiormente
dedicata
agli
scenari
europei,
l’Inghilterra
reagì
prontamente
a
questo
affronto
nelle
Americhe.
L’intero
conflitto
può
quindi
essere
suddiviso
in 3
teatri
principali:
la
regione
dei
Grandi
Laghi
ed
il
Nord-Ovest,
l’Oceano
Atlantico
ed i
territori
del
Sud.
In
merito
ai
territori
del
Nord-Ovest,
qui
il
conflitto
si
incentrò
prevalentemente
sul
confine
canadese.
Gli
Stati
Uniti
ritenevano
che
la
conquista
del
Canada
fosse
così
semplice
che
l’ex
presidente
Jefferson
aveva
addirittura
affermato
fosse
“solo
questione
di
marcia”.
Inutile
anche
dirlo,
gli
americani
pagarono
cara
la
loro
arroganza.
Nel
periodo
1812-13
gli
Stati
Uniti
subirono
una
serie
di
sconfitte
lungo
il
confine,
sia
per
la
maggior
esperienza
e
disciplina
delle
truppe
di
Sua
Maestà
sia
per
il
supporto
della
popolazione
locale
canadese,
in
particolare
i
coloni
francofoni,
i
quali
temevano
che
un
dominio
americano
avrebbe
sradicato
le
loro
radici
europee
e
cattoliche.
Inoltre
non
aiutarono
certo
le
truppe
statunitensi
le
minacce
fatte
dal
loro
comandante,
William
Hull,
alla
popolazione
canadese
di
“rilasciare
gli
orrori
e le
calamità
della
guerra
qualora
venga
incontrata
una
qualsiasi
forma
di
resistenza”.
Una
tattica
decisamente
poco
efficace.
Gli
americani
tentarono
per
3
volte
di
invadere
il
territorio
canadese,
e
tutte
e 3
le
volte
furono
respinti
dalle
truppe
inglesi
insieme
ai
coloni
canadesi
e ai
nativi
americani.
Gli
statunitensi
arrivarono
a
doversi
ritirare
entro
i
propri
confini
e,
tanto
fu
lo
slancio
delle
truppe
nemiche,
che
la
città
di
Detroit
fu
conquistata
dal
nemico
nel
1812.
Tuttavia,
sostituito
il
generale
Hull
con
il
generale
William
Harrison
e
organizzata
una
serie
di
attacchi
alle
fortificazioni
inglesi
durante
i
primi
6
mesi
del
1813,
gli
americani
riuscirono
a
cacciare
gli
inglesi
da
Detroit,
tornando
praticamente
ai
confini
ante-guerra.
Per
quanto
riguarda
invece
il
teatro
dell’Oceano
Atlantico,
questo
vide
la
netta
superiorità
tattica
e
numerica
dell’Impero
Britannico.
Non
è un
segreto
infatti
che
già
allora
gli
inglesi
avessero
il
dominio
dei
mari
praticamente
di
tutto
il
globo,
sfruttando
secoli
di
esperienza
come
marinai
esperti.
Nonostante
l’impegno
nei
mari
Europa
per
contrastare
Napoleone,
la
flotta
schierata
dall’Inghilterra
fu
di
gran
lunga
maggiore
rispetto
ai
giovani
Stati
Uniti.
Questi
tuttavia
non
si
arresero
e
cercano
di
sfruttare
al
meglio
le
risorse
a
loro
disposizione.
L’obiettivo
principale
dell’Inghilterra
fu
quello
di
difendere
i
propri
convogli
mercantili
che
dalle
colonie
canadesi
portavano
merci
alla
Madrepatria,
così
da
poter
foraggiare
le
varie
coalizioni
anti-napoleoniche.
Ovviamente
gli
americani
cercarono
di
colpire
questo
traffico
marittimo
quanto
più
possibile.
Nonostante
alcune
sconfitte
subite
dalla
marina
americana,
gli
Stati
Uniti
resistettero
all’assalto
inglese
soprattutto
grazie
all’impiego
di
corsari.
Infatti,
avendo
imparato
bene
ciò
che
fece
Elisabetta
I
con
il
suo
storico
avversario
Filippo
II
250
anni
prima,
la
tattica
principale
statunitense
fu
quella
di
catturare
le
navi
britanniche
per
poi
riusarle
contro
i
loro
vecchi
padroni.
E
funzionò.
Si
calcola
che
nella
storia
del
conflitto
i
corsari
furono
così
efficienti
da
riuscire
a
catturare
oltre
1300
navi
contro
le
254
scarse
catturate
dalla
marina
regolare
statunitense.
Alla
faccia
di
Francis
Drake.
Nonostante
queste
difficoltà,
la
marina
di
Sua
Maestà
non
si
fece
intimidire
ed
attuò
un
vero
e
proprio
embargo
verso
la
totalità
delle
coste
statunitensi.
L’impresa
ebbe
degli
effetti
devastanti
sull’economia
americana.
Basti
pensare
che
il
volume
dei
commerci
nel
1807
ammontò
a
circa
130
milioni
di
dollari
mentre
nel
1814,
nel
pieno
del
blocco
navale,
arrivavò
a
mala
pena
a 7
milioni.
L’economia
di
un’intera
nazione
fu
resa
insignificante.
Non
contenti,
gli
inglesi
riportarono
in
auge
una
pratica
già
ampiamente
usata
durante
la
Guerra
d’Indipendenza,
circa
40
anni
prima,
ovvero
quella
di
usare
gli
schiavi
nel
proprio
esercito
promettendo
loro
la
libertà
a
fine
conflitto.
Non
è un
segreto
infatti
che
molti
schiavi,
cogliendo
l’opportunità
con
lo
scoppio
delle
ostilità,
decisero
di
scappare
dai
maltrattamenti
subiti
nelle
piantagioni
statunitensi
per
unirsi
ai
ranghi
inglesi.
Qui
combatterono
per
tutta
la
durata
del
conflitto,
sperando
di
guadagnarsi
la
tanto
agognata
e al
contempo
negata
libertà.
La
verità
è,
come
purtroppo
sarebbe
accaduto
ancora
per
troppo
tempo,
scambiarono
solo
un
padrone
per
un
altro.