N. 31 - Dicembre 2007
SCHERZI DELLA NATURA
Nella secca di Capo Bianco…
di Marcello Camici
Negli anni
cinquanta e sessanta del secolo scorso si
parlò della presenza di una città sommersa a
largo di Capo Bianco all’isola d’Elba. La
zona è conosciuta come secca di Capo
Bianco.
Si parlò anche
di un mitico Porto Argo di greca memoria
proprio davanti alla spiaggia delle Ghiaie.
La zona è
tutta bianca, di una bellezza unica.
Taluni hanno
voluto riconoscere questo luogo come quello
dove Strabone afferma essere approdato
Giasone con la nave Argo che conduceva gli
Argonauti e che andava in cerca dell’isola
di Circe volendo vedere l’incantatrice
Medea. In greco poi, Argo significa
bianco.
Ho letto la
relazione pubblicata dall’archeologo
subacqueo Alessandro Pederzini
sull’esplorazione subacquea che fece nel
1958 presente l’archeologo prof. Giorgio
Monaco nella secca di Capo Bianco.
La propongo
integralmente: è intitolata Prospezione
di resti di antiche costruzioni sommerse al
largo della località Ghiaie di Portoferraio.
Il 17
agosto si procedette a esplorare la zona
subacquea al largo delle Ghiaie(Secca di
Capo Bianco) dove Vittorio Bonetti, su
indicazione di pescatori,già due anni orsono
aveva avvistato resti di una città sommersa.
Presenti il prof. Giorgio Monaco e i signori
Del Bruno e Farina dell’Ente valorizzazione
Elba,scesi in acqua,munito di apparecchio
fotografico,insieme a Renzo Ferrandi,in un
punto a circa 50 metri dal palo di cemento
indicante la secca. Ci dirigemmo in
direzione nord-est. La visibilità era
ottima. Il fondale sui m 12,è ricco di
poseidonie con piccoli spiazzi di sabbia e
scogli isolati,fittamente coperti di bassa
vegetazione.Sulla sabbia o fra le poseidonie,specie
vicino ai piccoli scogli,sono visibili
frammenti di anfore(un collo con manici fu
ricoverato alla fine dell’immersione).
Proseguendo
verso est il fondo diviene uniforme con
poseidonie e sabbia: spintici in questa zona
per diverse centinaia di metri senza trovare
tracce interessanti,decidemmo il ritorno.
Vicino al punto di discesa ritrovammo gli
scogli circondati da vegetazione. Raschiai
con il coltello uno di questi massi, e fu
così scoperto che non si trattava di
scogli,bensì di muri formati con pietre
irregolari,ma ben connesse,con le linee di
congiunzione fra pietra e pietra bene
evidenti.Questi bassi tronconi di muro
risultarono sparsi in un a ampia zona senza
alcun apparente elemento di concatenazione.
Volgendo
verso ovest vedemmo innalzarsi grandi masse
isolate,disposte in maniera strana. Il fondo
intanto si alzava e apparve quindi un grande
complesso che ci parve essere in parte
naturale e in parte opera umana. Al di là di
questo grande complesso il fondo si
abbassava, e ricomparvero imponenti
muraglioni,talora abbinati parallelamente a
non molti metri di distanza l’uno
dall’altro. La loro altezza è anche di 8
metri ed è possibile vedere alla base pietre
franate dall’alto.
Ritornando
alla parte centrale,cioè quello che ho
definito grande complesso,scoprimmo una
specie di sottopassaggio in gran parte
caduto,ma per tre metri ancora stabilmente a
posto. Più che un arco potremmo definire un
architrave (costruito oltre che con
pietre,con una sorte di calcestruzzo)
(vedi foto), sovrastante una specie di
camminamento lungo una cinquantina di
metri(è il più lungo) che corre fra due
muraglioni in parte diroccati.
Vicino
all’arco.posta diagonalmente alla parete
esterna,Ferrandi notò una sbarra metallica
piatta.
Forzando un
poco essa venne recuperata,e nel toglierla
ci accorgemmo che non era solamente
incrostata al muro,ma che vi era
imprigionata.. Il metallo presenta una
spessa ossidazione nera,ed è da escludere
che sia piombo(per le ossidazioni e le
incrostazioni).
Eseguite
diverse fotografie ebbe termine
l’immersione,che era durata un’ora e venti.
Il 19
agosto venne eseguita una seconda
ricognizione con la partecipazione delle
medesime persone e Virgilio Cella,che eseguì
riprese cinematografiche subacquee.
L’immersione fu dedicata alla prospezione
del grande complesso. Risultò evidente che
questo,nella parte centrale,è almeno
parzialmente costituito da grossi scogli
granitici chiari; nelle parti esterne invece
si ha l’impressione che vi siano ciclopiche
mura di pietre. Le mura presentano una
vegetazione molto più fitta delle rocce
naturali. Venne infine scoperta una grande
galleria ,che si diparte da una specie di
pozzo e termina all’esterno del complesso.Sotto
questa grande galleria o arco raccogliemmo
un frammento di un vaso in ceramica(orlo
superiore con motivo ornamentale) e in
vicinanza del pozzo un pezzo metallico
probabilmente di bronzo,che potrebbe essere
il bordo di un vaso o di un elmo. Un metro
quadro circa di muro del grande camminamento
fu raschiato per consentire di fotografare
le congiunzioni delle pietre. L’immersione
ebbe termine dopo oltre un’ora.
In generale si
può concludere che ci troviamo dinanzi a
opere imponenti,che nella parte centrale
sono state costruite sfruttando ciò che
esisteva naturalmente.
L’ipotesi di
una fortificazione potrebbe essere la più
attendibile.
L’archeologo
prof. Michelangelo Zecchini che ammiro
perché ha eseguito mirabili studi e ricerche
sul territorio elbano pubblicando testi
fondamentali per la conoscenza del tempo
preistorico e della storia antica elbana,afferma:
….Nel 1959,
lo stesso anno in cui il prof. Lamboglia
scopriva a Baia
mura,colonne,gradinate,strade e una infinità
di vasellame frammentario,all’Elba si usciva
con la notizia bomba:città sommersa nel mare
di Portoferraio ! Era successo che alcuni
subacquei,alla ricerca del mitico Porto
Argo,avevano creduto di individuare enormi
muraglie e larghe strade appena a largo di
Capo Bianco,poco più a occidente della
spiaggia delle Ghiaie. E in effetti muraglie
e strade c’erano, come ebbero modo di vedere
e di scrivere giornalisti e studiosi. Solo
che-cosa alla quale nessuno lì per lì dette
importanza- quelle strutture edilizie erano
opera della natura e non dell’uomo. Vero è
che le burle della natura sono le più
difficili a smascherarsi, ma altri falsi
avrebbero dovuto mettere sull’avviso…Dunque
niente città inabissata,niente misterioso
sprofondamento tettonico;
e,soprattutto,niente tesori da scoprire,coma
ha già sperimentato chi si è calato sul
fondo senza riportare in superfice neanche
un coccetto di consolazione…
(L’archeologia
nell’arcipelago toscano,
pgg.148-151)
Se uno
studioso come il prof. Zecchini scrive
questo avrà certamente eseguito ricerche
sulla zona o saprà di altri che lo hanno
fatto.
A me, che non
sono archeologo,la relazione del Pederzini
ha lasciato un dubbio: che sia davvero tutto
uno scherzo della natura ?
La zona non
meriterebbe un’indagine con i moderni
strumenti di archeologia subacquea più
sofisticati di quelli di cinquanta anni
orsono? |