N. 83 - Novembre 2014
(CXIV)
Sebastiano del Piombo vero autore
del Cristo nella
pietà di Viterbo
"ERRORI" NON MichelangIOLESCHI
di Marco Zappa
“Ma
perché
sebbene
fu
con
molta
diligenza
finito
da
Sebastiano
che
vi
fece
un
paese
tenebroso
molto
lodato,
l’invenzione
ed
il
cartone
fu
di
Michelangelo”
(Vasari,
Vite).
Con
queste
parole
sintetiche
e
chiare,
riferite
al
dipinto
su
tavola
raffigurante
la
Pietà
di
Viterbo,
Giorgio
Vasari
liquidava
Sebastiano
Luciani
come
il
mero
esecutore
di
un
progetto
altrui,
eccetto
che
nell’ideazione
dello
sfondo,
ma
le
cose
andarono
realmente
così?
Le
testimonianze
pervenuteci
non
ci
offrono
un
quadro
completo
della
situazione
ed
anche
la
data
di
esecuzione
della
pala
è
incerta
se
pur
sul
retro
ci
sono
dei
disegni
che
fanno
riferimento
ad
alcune
figure
della
volta
della
Cappella
Sistina:
in
effetti
la
tavola
in
questione
potrebbe
essere
stata
conservata
nella
bottega
di
Michelangelo
e a
lui
forse
commissionato
il
dipinto.
.
Sebastiano
Del
Piombo,
La
Pietà,
(1513-16?)
Olio
su
tavola.
Viterbo,
Museo
Civico
È
un’ipotesi
come
le
tante
che
si
possono
considerare
e, a
mio
avviso,
neanche
peregrina,
visto
che
proprio
in
questa
opera
nasce
il
sodalizio
con
Sebastiano,
il
trentenne
veneziano
emergente
sulla
scena
romana
al
quale
l’artista
fiorentino,
stanco
di
anni
di
pittura
e
smanioso
di
tornare
a
scolpire
potrebbe
aver
passato
l’incarico:
in
tal
caso
sarebbero
giustificati
alcuni
disegni
posti
sul
retro
della
tavola,
uno
raffigurante
un
volto
con
evidenti
errori
anatomici,
schizzi
e
studi
di
chi
frequenta
una
bottega
e
non
spreca
preziosi
fogli
di
carta,
ricordiamolo,
“fatta
a
mano”.
A
conferma
di
tale
ipotesi,
c’è
la
costruzione
compositiva
della
Pietà
che
è
assolutamente
nuova
e
sulla
quale
si
dibatte
da
sempre:
considerando
i
precedenti
iconografici,
non
troviamo
nulla
di
simile
in
pittura
ma
se
allarghiamo
la
ricerca
alla
scultura
abbiamo
degli
esempi
magistrali
di
gruppi
statuari
in
area
bolognese-emiliana
riguardanti
il
“Compianto
sul
Cristo
morto”.
Se è
vero
che
Pietà
e
Compianto
sono
due
soluzioni
tematiche
e
compositive
diverse
è
altrettanto
vero
che
un’artista
non
ragiona
con
tale
rigidità
e se
coglie
una
forma,
un
‘immagine
o
una
posizione
del
corpo,
la
può
“ripescare”
dal
proprio
serbatoio
conoscitivo
anche
a
distanza
di
anni
e
magari
riproporla
anche
fuori
dal
suo
contesto:
questo
mi
fa
ritenere
che
il
giovane
Michelangelo,
considerando
la
qualità
e il
pathos
che
trasmettono
i
citati
Compianti
ne
sia
rimasto
talmente
affascinato
da
prenderne
spunti
per
l’idea
compositiva
della
Pietà
viterbese
(conosceva
certamente
quello
di
Niccolò
dell’Arca
in
Bologna
ma
anche
quello
di
Guido
Mazzoni
in
Modena).
.
Compianto
sul
Cristo
Morto
di
Niccolo
dell’Arca,
Chiesa
di
Santa
Maria
della
Vita,
(1463-90)
Bologna
.
Compianto
sul
Cristo
morto
di
Guido
Mazzoni,
Chiesa
San
Giovanni
Battista,
(1475-90)
Modena
Non
lascia
dubbio
in
proposito
la
figura
di
Gesù,
distesa,
con
il
capo
reclinato
e
posta
parallela
al
punto
di
osservazione
che
diviene
base
per
un
triangolo
al
cui
vertice
si
impone
il
viso
della
Madonna:
sembra
proprio
la
risposta
del
grande
maestro
fiorentino
alle
composizioni
triangolari
di
Raffaello,
così
tanto
celebrate.
In
definitiva,
ritengo
che
Michelangelo
abbia
progettato
la
Pietà
attraverso
studi
di
insieme
dell’impianto
strutturale
compositivo
(disegni
non
pervenutici)
e,
successivamente,
sia
passato
alla
realizzazione
del
disegno
definitivo,
come
riporta
Vasari…
Ma
non
del
tutto.
Non
ci
sono
dubbi
circa
la
sua
progettazione
della
figura
della
Madonna
perché
ne
conserviamo
studi
specifici,
mani,
panneggi
e
struttura
del
corpo
autografi
(Vienna,
Albertina).
Il
dibattito
invece
resta
ad
oggi
aperto,
sulla
figura
del
Cristo
della
quale
non
rimane
alcuna
testimonianza
grafica
ma
che,
forse
proprio
per
la
sua
struttura
possente
e
per
le
cosi
autorevoli
parole
che
Vasari
ne
spende
in
merito,
viene
attribuita
da
sempre
a
Michelangelo:
in
effetti
gli
unici
spunti
anatomici
ce
li
offre
l’osservazione
del
corpo
dipinto.
Il
termine
specifico
di
cartone
che
Vasari
utilizza
per
la
Pietà
di
Viterbo
indica
inequivocabilmente
un
disegno
finito
in
tutte
le
sue
parti
da
ricalcare
su
muro,
tavola
o
tela
come
scrive
l
artista
aretino
nel
breve
trattato
sulla
pittura
nell’introduzione
alle
Vite.
Il
cartone
definitivo
di
norma
veniva
ombreggiato
e
serviva
da
riferimento
in
corso
d’
opera
all’artista
come
sostitutivo
del
modello
vivente
ma
non
solo,
spesso
veniva
riutilizzato
dalla
bottega
per
copie
o
varianti
sul
tema
o
addirittura,
nel
caso
di
artisti
di
somma
grandezza,
richiesto,
in
sostituzione
di
un’opera
ben
più
rara
come
un
quadro
e
tenuto
in
gran
conto.
Nel
caso
della
Pietà
viterbese
è
stato
dimostrato,
attraverso
l’uso
dell’analisi
riflettografica,
come
Sebastiano
in
effetti
abbia
ricalcato
sula
tavola
un
disegno
finito
in
scala
reale
e
questo
dato
avvalora
l’ipotesi
vasariana
della
presenza
di
un
cartone.
Eppure
due
aspetti
non
convincono
e mi
fanno
ritenere
che
il
disegno
del
Cristo
non
sia
opera
finita
di
Michelangelo:
la
prima
cosa
che
risulta
evidente
leggendo
la
Vita
di
Sebastiano
del
Piombo
è la
scarsa
considerazione
della
sua
opera
artistica
che
ne
ha
il
Vasari,
oltretutto
legata
secondo
l’autore
ad
una
condotta
professionale
non
ottimale,
ma
soprattutto
colpisce
la
brevità
delle
poche
pagine
del
testo,
ancor
più
se
relazionata
a
quella
riguardante
le
Vite
di
artisti
ben
più
scarsi
del
Luciani.
L’impressione
che
si
ha,
è
quella
di
un
Vasari
geloso
verso
un
collega
scelto
dal
divino
Michelangelo
per
un
sodalizio
unico
ed
irripetibile
per
la
realizzazione
di
opere
eccezionali
(in
effetti
basterebbero
le
sole
opere
viterbesi,
la
Pietà
e
Flagellazione,
oltre
alla
Resurrezione
di
Lazzaro
della
National
Gallery
di
Londra
per
considerare
Sebastiano
come
uno
dei
massimi
artefici
della
Rinascenza).
Eppure
l’artista
aretino
con
la
sua
logica
del
fare
e
del
produrre
pittura
a
“metri
quadri”
preferisce
attribuire
i
meriti
delle
opere
di
Sebastiano
al
sodalizio
avendo
in
questo
gioco
facile,
visto
che
nel
1550,
anno
della
prima
edizione
delle
Vite,
il
Luciani
è
già
morto
e
che
Michelangelo
settantacinquenne,
ha
altro
in
testa
che
leggere
o
controbattere
il
testo
dell’artista
aretino…
Viene
perciò
a
mancare
un
contraddittorio.
Il
secondo
aspetto
poco
chiaro
nella
figura
del
Cristo
della
Pietà
viterbese,
riguarda
la
mancanza
di
pathos,
vera
cifra
artistica
del
Buonarroti.
Effettivamente
l’imponente
figura
distesa
sembra
esser
pronta
a
risorgere
piuttosto
che
portare
in
sé i
simboli
del
martirio
da
poco
subìto,
ma
più
che
su
queste
considerazioni
emotive
e
soggettive
voglio
soffermare
la
mia
analisi
su
un
altro
aspetto:
la
figura
del
Cristo
da
un
punto
di
vista
anatomico
è
incongruente
in
molte
sue
parti
e
Michelangelo
non
può
aver
commesso
una
serie
di
errori
cosi
evidenti,
contemporaneamente,
in
un
unico
disegno.
La
sensazione
iniziale
che
si
ha
guardando
la
figura
di
Gesù,
è
quella
di
un
collage
di
brani
anatomici
che
appare
evidente
soprattutto
nella
parte
che
va
dal
perizoma
fino
al
volto
reclinato,
mentre
per
la
metà
inferiore
le
gambe
eleganti
e
slanciate,
se
pur
muscolose,
sembrano
femminee
ed
il
piede
destro
in
primo
piano
risulta
piccolo.
Né
deve
ingannare
la
massa
muscolare
così
accentuata,
in
quanto
davanti
alle
opere
michelangiolesche
difficilmente
gli
artisti
rimanevano
indifferenti,
tanto
che
lo
stesso
Raffello
ne
sentirà
il
fascino
modificando
atteggiamenti
e
fattezze
delle
sue
figure.
L’errore
anatomico
più
grossolano
riguarda
la
testa
che
è
posta
completamente
fuori
asse,
spostata
troppo
in
basso
e
quindi
a
ridosso
della
spalla:
anche
questa
non
è
priva
di
errori,
in
quanto
appare
sproporzionata
ovvero
abduce
troppo
l’arto
superiore
che
sembra
disarticolato,
mentre
l’avambraccio
presenta
una
muscolatura
poco
definita
nella
regione
laterale-posteriore,
zona
caratteristica
per
il
movimento
di
rotazione
delle
due
ossa,
Radio
e
Ulna.
.
Sebastiano
Del
Piombo,
Particolare,
La
Pietà,
(1513-16?)
Olio
su
tavola.
Viterbo,
Museo
Civico.
Se
da
un
lato
la
sapienza
pittorica
di
Sebastiano
ha
nascosto
queste
carenze
anatomiche
(e
sulla
scia
lo
stesso
accadrà
ad
altri
eccelsi
maestri
veneti,
non
ultimo
Tiziano),
al
contempo
non
possiamo
ritenere
possibile
che
Michelangelo
nel
pieno
della
maturità,
ancora
lontano
dal
conferire
alla
muscolatura
del
corpo
quei
caratteri
di
esagerazione
anatomica
che
caratterizzeranno
i
periodi
successivi,
disegni
un
cartone,
definito
ma
scombinato.
Conoscendo
direttamente
la
procedura
del
disegno
di
un
artista
va
poi
considerato
che
in
alcune
parti
anatomiche
si
vede
inequivocabilmente
la
cifra
dell’autore,
in
particolare
nel
disegno
della
forma
del
naso
e
delle
mani:
dettagli
questi,
i
quali
nell’opera
in
questione,
appartengono
in
pieno
alla
tipologia
usata
costantemente
da
Sebastiano.
La
Pietà
viterbese
offre
però
anche
un
indizio
suggestivo,
evidentemente
ancora
non
indagato
ma
sicuramente
interessante
per
argomentazioni
future:
se
analizziamo
con
attenzione
la
fisionomia
del
volto
di
Gesù
troviamo
una
somiglianza
evidentissima
con
i
caratteri
anatomici
di
Giulio
dè
Medici,
futuro
papa
Clemente
VII.
.
Particolare
del
volto
di
Cristo
nella
Pietà
confrontato
col
volto
del
Ritratto
di
Clemente
VII
(1526)
e
del
Ritratto
di
Clemente
VII
(1528)
Questi
ritratti,
dipinti
dallo
stesso
Sebastiano
e
conservati
al
Museo
Nazionale
di
Capodimonte
in
Napoli,
sono
sovrapponibili
all’immagine
del
viso
del
Cristo
e ne
determinano
una
corrispondenza
quasi
perfetta.
Possiamo
notare
come
gli
aspetti
più
significativi
della
parte
definita
faccia,
naso
occhi
e
bocca,
siano
coincidenti
cosi
come
il
muscolo
corrugatore
del
sopracciglio,
il
quadrato
del
labbro
superiore
e lo
zigomatico:
anche
la
fronte
presenta
depressioni
e
sporgenze
analoghe
ed
infine
il
mento
che,
se
pur
nascosto
dalla
barba,
risulta
volitivo
nel
Cristo
come
nel
pontefice.
.
Confronto
digitale
dei
ritratti
di
Papa
Clemente
VII
e
del
volto
di
Cristo
nella
Pietà
di
Sebastiano
del
Piombo
Purtroppo
i
due
citati
ritratti
del
Medici,
hanno
uno
scarto
temporale
minimo
di
oltre
dieci
anni
rispetto
al
viso
di
Gesù
nella
Pietà,
ma
dobbiamo
ricordare
–
come
insegnano
i
dettami
dell’anatomia
forense
–
che
i
tratti
del
volto
non
subiscono
negli
anni
modifiche
essenziali.
Questa
somiglianza,
così
evidente,
non
appare
casuale
,
soprattutto
se
consideriamo
il
rapporto
privilegiato
che
legherà
l’artista
veneziano
a
Giulio
dè
Medici,
tanto
che
sarà
lo
stesso
Clemente
a
conferirgli
nel
1531
l’agognato
incarico
di
piombatore
pontificio.
Forse
la
genesi
di
questa
protezione
è da
ricercarsi
proprio
al
tempo
della
realizzazione
dell’opera
viterbese,
con
l’emergente
Luciani
che
studia
le
fattezze
del
cardinal
Medici
e lo
omaggia
ritraendolo
nel
volto
di
Gesù,
magari
su
consiglio
dell’amico
Buonarroti.
Resta
il
fatto
che
queste
osservazioni
di
natura
anatomica
sul
corpo
del
Cristo,
in
realtà
sfuggono
all’osservatore
e a
chi
lavora
sugli
aspetti
critici
più
che
tecnico-artistici
a
conferma
della
grande
virtù
dell’artefice
che
con
una
sublime
pittura
ha
mascherato
un
cartone
perfettibile,
da
lui
evidentemente
disegnato,
creando
un’opera
magistrale:
in
effetti
in
tal
modo
ha
contraddetto
chi,
al
tempo,
riteneva
superiore
la
pratica
del
disegno
a
quella
della
pittura,
contrapponendo
la
scuola
fiorentina
a
quella
veneta.
Infine
come
ultima
osservazione,
riguardo
al
paesaggio,
sono
dell’idea
che
Sebastiano
l’ha
dipinto
senza
prendere
spunto
da
uno
determinato
e
preesistente
ma
ha
preso
immagini
dal
suo
repertorio
conoscitivo
assemblandole
insieme:
nello
specifico,
un
ponte
potrebbe
essere
uno,
visto
e
rielaborato,
sul
Tevere
e
l’idea
che
si
ha
dell’abitato
sullo
sfondo
è
quella
di
un’ipotetica
periferia
romana,
di
certo
sulla
desta,
è
visibile
un
edificio
che
sembra
evidentemente
la
cupola
del
Pantheon.
In
conclusione
ritengo
sia
doveroso
restituire
a
Sebastiano
del
Piombo
quella
considerazione
e i
meriti
venuti
meno
progressivamente
nel
corso
dei
secoli,
soprattutto
se
pensiamo
che
Michelangelo
lo
scelse
come
sodale
per
una
collaborazione
che
ha
dato
vita
a
capolavori
eccelsi,
opere
che
insieme
a
quelle
dipinte
autonomamente,
fanno
entrare
di
diritto
il
Luciani
nel
novero
dei
massimi
esponenti
del
Rinascimento
italiano.