N. 27 - Agosto 2007
SEATTLE
1999
Il "movimento dei movimenti"
di
Stefano De Luca
Circa 50.000 persone dal 30 novembre al 4 dicembre del
1999 a Seattle, negli Stati Uniti, hanno
protestato contro la terza conferenza
dell’Organizzazione mondiale per il commercio (World
trade organizzazion, Wto), convocata per avviare
il Millenium round, un nuovo ciclo di
negoziati per dare vita ad un’ulteriore
liberalizzazione dei mercati.
E’ stata una protesta collettiva senza precedenti sia per
la consistenza numerica dei partecipanti, che per la
natura stessa della mobilitazione. Già la mattina
del primo giorno, vengono organizzati da gruppi di
disobbedienti civili una serie di sit-in che
impediscono, alla maggior parte dei 3.000 delegati
di 135 paesi, di raggiungere il luogo dove si doveva
svolgere la cerimonia di apertura del Wto.
Circa 10.000 manifestanti, organizzati in gruppi di
affinità, autonomi ma in collegamento tra loro, si
siedono per terra e si incatenano insieme per
rendere più difficile la rimozione dei blocchi. Alla
polizia, intervenuta per sgombrare le strade di
accesso al vertice, i dimostranti non hanno opposto
resistenza, applicando le tattiche apprese durante i
corsi di educazione alla non-violenza.
Nelle strade di Seattle c’erano anche i contadini francesi
(coordinati dalla Confédération Paysanne di
José Bosé) che distribuivano un tipo di formaggio,
il Roquefort, sottoposto ad alti dazi in Usa
come ritorsione ai vincoli introdotti dall’Unione
Europea sui prodotti alimentari trattati con ormoni.
Jubileum 2000, la coalizione di gruppi per
l’abolizione del debito pubblico dei paesi più
poveri, hanno predisposto una catena umana a
simboleggiare la schiavitù del debito. I sindacati
americani hanno organizzato una massiccia
manifestazione, che ha mobilitato oltre ventimila
lavoratori, per domandare l’estensione globale dei
diritti dei lavoratori. Organizzazioni di
agricoltori, insieme ad associazioni di consumatori
ed ecologisti, hanno organizzato una serie di azioni
di protesta per chiedere l’esclusione dei prodotti
alimentari dagli accordi di liberalizzazione.
Alcuni dimostranti travestiti da tartarughe, usate come
simboli della saggezza e della non-violenza, si
aggiravano tra la folla con il compito di evitare
violenze. Ma nonostante ciò, ai margini della
protesta, piccoli gruppi di anarchici, i black
block, sono intervenuti in modo violento,
rompendo le vetrine di alcuni negozi di
multinazionali (tra cui Nike, Levi’s e McDonald),
già sottoposte a campagne di boicottaggio per
l’utilizzo di lavoro infantile o di prodotti
geneticamente modificati.
Seattle può essere definito come un momento di svolta, ma
anche il punto culminante di un processo di
integrazione di gruppi e organizzazioni attive in
varie parti del mondo. Dopo vent’anni di crescita
lenta, attraverso campagne specifiche, mobilitazioni
locali e controvertici in coincidenza con i
summit dei maggiori organismi internazionali, si
è affermato sulla scena globale un nuovo
protagonista, variegato e diverso, unito non solo
dall’affermazione che ‘un altro mondo è possibile’,
ma anche da pratiche di lavoro comune, che
attraversano i confini nazionali e intrecciano
tradizionali settori di iniziativa politica e
sociale.
Questi nuovi soggetti possono essere definiti come
‘movimenti globali per la democrazia internazionale
e la giustizia economica’.
Le proteste contro la globalizzazione non sono quindi
iniziate a Seattle, ma hanno una storia parallela
all’affermarsi, dagli anni Ottanta in poi, del
progetto neo-liberista di globalizzazione
dell’economia e di arretramento dello stato e della
sfera pubblica.
A partire dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e dagli
Stati Uniti di Ronald Regan, c’è stata un’ondata di
politiche di liberalizzazione dei mercati, di
deregolamentazione e di privatizzazione di molte
attività economiche precedentemente gestite dallo
Stato. Ne è risultato un ritiro dell’azione pubblica
e dei controlli da parte degli Stati nazionali su
molte attività economiche, lasciate alla gestione di
imprese sia nazionali che straniere.
Le decisioni politiche di liberalizzare i mercati, il
commercio, gli investimenti, la finanza hanno creato
le condizioni per sviluppare queste attività sempre
più su scala sovra-nazionale, svuotando le capacità
di controllo dei governi nazionali sulle proprie
economie.
Le politiche che caratterizzano il neo-liberismo
comprendono azioni come la liberalizzazione, le
privatizzazioni, limitare le regole dell’economia,
il ridimensionamento del welfare state, la
riduzione delle spese per i beni pubblici, e anche
favorire la libertà di movimento di capitali. In
poche parole, in nome del libero mercato si sarebbe
rinunciato alla difesa di quei diritti sociali che
erano entrati, almeno nel Nord del mondo, nella
definizione stessa dei diritti di cittadinanza.
Con l’aumentare dell’importanza delle questioni globali e
dei poteri sovra-nazionali, è cresciuta anche
l’attenzione e l’azione della società civile.
Partendo dal tradizionale impegno a esercitare
pressione sui governi nazionali, si è sviluppata una
forte attenzione sui problemi globali e
sull’incapacità degli Stati ad affrontarli in eventi
come i vertici.
Negli ultimi vent’anni per far fronte al potere dei vertici
di Stato e delle istituzioni internazionali, le
organizzazioni della società civile hanno ideato i
“contro-vertici”. Questi vengono organizzati in
coincidenza di vertici ufficiali dei governi e delle
istituzioni internazionali, affrontano gli stessi
problemi dei vertici ufficiali, ma con una
prospettiva critica sulle politiche dei governi e
delle imprese. Scopo di questi contro-vertici è
anche di proporre delle soluzioni alternative ai
problemi globali.
Possiamo affermare che a Seattle c’è stata un’esplosione di
immagine di movimenti nati e cresciuti dalla fine
degli anni Settanta. Le radici dei new global
sono da rintracciare nei movimenti che si sono
venuti formando con i primi forum delle
organizzazioni non governative accanto ai vertici
Onu su ambiente e diritti: a Londra nel 1994 c’è
stato il primo contro-vertice del G7; a Berlino nel
1988 è stata organizzata una manifestazione, con
l’adesione di circa centomila persone, contro il
Fondo monetario; il contro-vertice del G7 a Napoli
nel 1994, dove era stato organizzato il Cerchio dei
popoli, un forum per capire la
globalizzazione.
In coincidenza della celebrazione dei 50 anni delle Nazioni
Unite nel 1995, si è tenuta a Perugia la prima
riunione dell’assemblea dell’Onu dei popoli: una
conferenza con rappresentanti della società civile
provenienti da oltre 100 paesi. Organizzata dalla
Tavola della Pace, che coordina 500 gruppi italiani
locali e nazionali, da allora l’Assemblea si è
tenuta ogni due anni. Ma l’evento più importante che
ha concluso ogni edizione dell’Assemblea è stata la
marcia Perugia-Assisi, itinerario storico del
movimento pacifista italiano, a cui hanno
partecipato mediamente 50.000 persone.
In questi anni si assiste anche ad una trasformazione degli
obbiettivi nei movimenti sociali. I movimenti degli
anni Sessanta e Settanta hanno sì sfidato l’ordine
economico e politico a livello nazionale e
internazionale, ma con una prospettiva di
trasformazione ancora focalizzata sul potere dello
stato. Una eccezione è stata la crescita del
movimento delle donne, che ha introdotto nuove forme
delle politica, nuove pratiche sociali basate
sull’identità.
Negli anni Ottanta i nuovi movimenti sociali sulla pace,
l’ecologia e anche quello delle donne, si sono
invece concentrati su questioni che avevano meno a
che fare col potere dello stato e più con sfide
globali, sottolineando la mancanza di adeguate
istituzioni sovra-nazionali.
A partire dal 1990 i contadini indiani hanno avviato una
serie di proteste contro i brevetti su semenze e
organismi geneticamente modificati, appoggiati dal
Wto. Le organizzazioni a difesa dei consumatori più
volte si sono mobilitati contro gli accordi
sovra-nazionali (Nafta, nel Nord America, e, ancora
Gatt e Wto) accusati di ridurre, in nome del libero
commercio, gli standard di protezione dei cittadini.
Le Organizzazioni non governative (Ong) per lo sviluppo
hanno fatto pressione per un aumento degli aiuti al
Terzo mondo, fino a rivendicare la ripartizione dei
debiti imposti dal Nord al Sud. Coinvolgendo
soprattutto, ma non solo, gruppi religiosi (come
cattolici, evangelisti, battisti, buddisti, ebrei)
che con la campagna Jubileum 2000 (campagna
ripresa in Italia da Sdebitarsi), chiedevano
l’abolizione del debito estero dei paesi più poveri
ed una riduzione di quello dei paesi in via di
sviluppo, sulla base del principio di un debito
sostenibile, cioè sopportabile senza rinunciare a
sviluppo economico e sovranità nazionale.
Da Seattle in poi, ogni incontro al vertice su scala
mondiale o europea è diventata un’occasione che fa
convergere un’ondata di protesta di natura del tutto
nuova. Le novità sono molteplici. In primo luogo la
dimensione cosmopolita: i manifestanti provengono da
molti Paesi, per lo più appartenenti al mondo
avanzato delle società opulente. Non vi è
un’organizzazione a livello internazionale che li
chiama a raccolta, ma i collegamenti sono
reticolari, la “parola” corre attraverso la rete.
Internet infatti è divenuto un potente ed innovativo
strumento di coordinamento, che riesce a mettere ad
esempio in relazione gruppi dei paesi più poveri con
quelli dei paesi ricchi. Quella di Seattle è stata
definita come la prima grande protesta organizzata
online.
Si può affermare che il movimento globale è esso stesso
effetto della globalizzazione: infatti pur avendo
messo in discussione la globalizzazione economica,
la mobilitazione di Seattle è stata facilitata dalla
globalizzazione culturale.
La diffusione di televisioni satellitari e collegamenti
Internet ha reso possibile una comunicazione
istantanea che oltrepassa i confini nazionali, senza
che i governi dei singoli Stati riescano a fare
molto per controllarla o censurarla. Le nuove
tecnologie offrono strumenti per una mobilitazione
globale, facilitando la comunicazione tra mondi un
tempo separati. La globalizzazione è anche la
risorsa di questo movimento: nel sistema economico,
in quello culturale e in quello politico, la
crescita delle interconnessioni ha generato sia dei
nuovi conflitti, che delle opportunità per esprimere
questi conflitti a diversi livelli territoriali.
Altro elemento di novità consiste nell’estraneità alle
forme tradizionali dell’agire politico, in
particolare ai partiti politici dai quali questi
gruppi non si sentono rappresentati. Vengono
criticate le forme della democrazia rappresentativa.
Nella critica del movimento, non solo il potere
delle multinazionali economiche e delle
organizzazioni intergovernative sfida il
tradizionale modello di democrazia degli stati
nazionali, ma anche all’interno di essi la crescita
del potere degli esecutivi rispetto ai parlamenti,
così come la personalizzazione della politica legata
all’uso dei mass-media, sono considerati come
evoluzioni che mettono in crisi il modello
rappresentativo di democrazia.
Caratteristica del movimento globale è la presenza di due
anime: i sindacati operai e i contadini, entrambi
tendenzialmente più protezionisti, e i nuovi
movimenti sociali (ecologisti, femministe, attivisti
dei diritti umani), più abituati a ragionare in
termini globali. In più è composto da un elevato
numero di associazioni, di Ong, gruppi religiosi e
anche gruppi teatrali di strada.
Più in generale è possibili riscontrare all’interno del
movimento una politica degli interessi, posta alla
base della protesta dei lavoratori del Nord contro
il dumping sociale e la delocalizzazione
della produzione nel Sud, è stata contrapposta ad
una politica di solidarietà, più propria di quei
gruppi che protestano in nome dei poveri del Terzo
mondo.
E’ stata osservata una eterogeneità ideologica delle
mobilitazioni, che ha portata anarchici accanto a
socialisti, anti-capitalisti accanto a riformisti,
chi chiedeva una democratizzazione delle
organizzazioni intergovernative esistenti, chi
invece voleva la loro abrogazione. Infatti il
movimento globale si può definire come un ‘movimento
dei movimenti’, cioè una coalizione di movimenti
già esistenti, tenuti insieme dall’individuazione di
un unico nemico, la globalizzazione neo-liberista,
ma non di comuni proposte.
Nel movimento new global si è creata un’interazione
tra i temi classici della sinistra tradizione, in
particolare la giustizia sociale (propri dei
‘vecchi’ movimenti sociali), e temi che erano stati
avanzati dai nuovi movimenti sociali, come la
ricerca di nuove forme di democrazia.
Nelle proteste sulla globalizzazione quindi si ritrovano
insieme attori definiti normalmente come
materialisti, cioè legati alla difesa degli
interessi economici, e i nuovi movimenti, definiti
post-materialisti, a sottolineare il superamento del
conflitto puramente economico, con un’attenzione
alle libertà individuali. Quest’incontro tra valori
‘materialisti’ e ‘post-materialisti’, è permesso da
un processo di collegamento nell’individuare un
comune nemico nella globalizzazione neo-liberista.
L’eterogeneità del movimento è un elemento innovativo
rispetto a quelli del passato. Se la base sociale di
riferimento dei nuovi movimenti sociali (ecologisti,
femministi, ecc.) era stata individuata soprattutto
nei ceti medi, prevalentemente occupati in posizioni
stabili nel settore dei servizi, con buoni livelli
di reddito e alti livelli d’istruzione, i sindacati
portano con sé una base operaia. Inoltre, le
trasformazioni nel mercato del lavoro, hanno fatto
aumentare, anche fra chi protesta, il numero dei
lavoratori precari, oltre che dei disoccupati. Anche
dal punto di vista dell’età, le mobilitazioni
presentano una forte eterogeneità, segnando
soprattutto il ritorno alla politica delle
generazioni più giovani.
Queste varietà all’interno del movimento globale, sono
rivendicate con orgoglio nei documenti delle
principali campagne di protesta. Come dichiarano gli
attivisti nella ‘Carta dei movimenti sociali’,
approvata a Porto Alegre nel primo Forum Sociale
Mondiale nel 2001: “Noi, forze sociali provenienti
da ogni parte del mondo, ci siamo riuniti qui, nel
forum sociale mondiale di Porto Alegre. Siamo
sindacati e Ong, movimenti e organizzazioni,
intellettuali e artisti. Insieme vogliamo costruire
una grande alleanza, per creare una nuova società
[…] siamo donne e uomini, contadini e contadine,
lavoratrici e lavoratori, professionisti, studenti,
disoccupate e disoccupati, popoli indigeni e neri,
proveniamo dal Sud e dal Nord”.
La diversità è ancora proclamata nel documento del secondo
Forum Sociale Mondiale: “Siamo diversi: donne e
uomini, adulti e giovani, popoli indigeni, contadini
e urbani, lavoratori e disoccupati, senza casa,
anziani, studenti, persone di ogni credo, colore,
orientamento sessuale. L’espressione di questa
diversità è la nostra forza e la base della nostra
unità. Siamo un movimento di solidarietà globale”.
Questo è un movimento variegato ma tenuto insieme da alcuni
obbiettivi comuni, come si legge nel manifesto
approvato a Porto Alegre nel 2002: annullamento del
debito dei paesi poveri, istituzione delle Tobin
Tax, abolizione dei paradisi fiscali, protezione
dell’ambiente e della bio-diversità, opposizione
alle privatizzazioni, sostegno ai diritti dei
lavoratori, diffusione della democrazia nel mondo.
Una parte del movimento, a partire da Greepeace, si
mobilita per la riduzione dell’effetto serra, e a
difesa della natura e delle foreste. Tutti
condannano il terrorismo ma sono anche contro la
guerra e, dopo l’11 settembre, sempre più centrali
appaiono i riferimenti al tema della pace, che viene
collegato a tutti gli altri nodi tematici centrali
del movimento.
Caratteristica innovativa del movimento new global è
la capacità di collegare queste identità molto
diverse dal punto di vista sia organizzativo sia di
classe sociale, sia generazionale, che in passato si
erano espresse attraverso movimenti, proteste,
strutture organizzative diverse, a volte anche con
qualche tensione tra loro. Per esempio, in passato
tra il movimento ambientalista e i sindacati c’erano
stati momenti di ‘scontro’, quando i temi
dell’ambiente venivano contrapposti allo sviluppo e
all’occupazione.
In Italia il movimento dei new global è composto da
una parte cattolica, pacifista che raccoglie le
cooperative e le associazioni che agiscono nel
sociale e nelle parrocchie, come ad esempio la Rete
Lilliput, nata nel 2000, che coinvolge circa mille
gruppi locali, o ancora l’Acli, la laica Arci e
Legambiente. Una rete di associazioni solidaristiche,
contraddistinte da una forte motivazione morale, cui
va aggiunta Attac, l’organizzazione nata in Francia
per promuovere la Tobian Tax.
Poi vi è il Laboratorio dei Disobbedienti, una vasta area
che mette insieme i centri sociali e altre strutture
della sinistra antagonista comprese le ex Tute
Bianche di Luca Casarini (si sono sciolte proprio
durante i giorni del G8 a Genova), i campani della
Rete No Global Forum e anche i giovani di
Rifondazione comunista, e i Verdi. Da ultimo anche
la Cgil si è avvicinata al movimento, portando
dentro di esso il tema del lavoro.
Dopo l’esperienza del Genoa Social Forum, partita
all’inizio del 2001, si è sviluppata una rete di
Social Forum locali (oltre 90) riuniti nelle
assemblee nazionali di Firenze (2001) e Bologna
(2002).
Una presenza unitaria a livello internazionale dei
movimenti italiani, che ha avuto un’importante
visibilità e influenza anche a Porto Alegre, nel
tracciare il futuro percorso dell’esperienza del
Forum Sociale Mondiale. |