A PROPOSITO DI SCUOLA
TRA tagli, SCIOPERI E PROTESTE
di Giovanna
D'Arbitrio
Dopo la drammatica esperienza della
pandemia causata dal Covid,
pensavamo che tutti si fossero resi
conto dei gravi problemi di
ospedali, scuole e trasporti,
purtroppo, a quanto pare, ora
ritornano irrisolti suscitando
proteste e polemiche. È
comprensibile che ora tutta
l’attenzione sia concentrata sule
tragiche guerre in corso e sui
migranti, ma anche se si discute sul
settore “pubblico” in verità si
parla poco della Scuola Statale che
ha già scioperato diverse volte nel
corso del 2024 e si prepara a un
nuovo sciopero per il prossimo 31
ottobre 2024.
La protesta è stata proclamata dalla
Federazione FLCCGIL dopo il fallito
tentativo di conciliazione con i
rappresentanti del Ministero
dell’Istruzione e del Ministero di
Università e Ricerca. Secondo il
comunicato dei sindacati allo
sciopero parteciperanno tutte le
scuole, l’università, la ricerca e
l’Afam, cioè il personale docente e
non docente delle scuole, così come
il personale universitario e di
ricerca.
Ecco le motivazioni dello sciopero e
le consequenziali richieste messe in
rilievo da FLC CGIL:
- stanziamento di risorse aggiuntive
per il rinnovo del Ccnl 2022-2024 al
fine di tutelare la perdita del
potere di acquisto dei salari in
linea con la percentuale
dell’inflazione Ipca per il triennio
di riferimento;
- salvaguardia della dimensione
nazionale del Ccnl contro qualsiasi
ipotesi di regionalizzazione;
- stabilizzazione del precariato;
- rafforzamento degli organici;
- cessazione immediata delle
invasioni di campo da parte del
legislatore sulle materie che
attengono la regolazione del
rapporto di lavoro;superamento delle
numerose e pesanti emergenze
affrontate quotidianamente dal
personale di scuola, università,
ricerca e Afam.
Significative le osservazionidi
Irene Manzi, responsabile Scuola
nella Segreteria Nazionale del Pd e
capogruppo Dem in commissione
Cultura di Montecitorio: «I tagli ai
ministeri indicati nel Dpb
consegnato a Bruxelles dovrebbero
valere nel 2025 circa 2,5 miliardi
di euro. Questo significa tagli
lineari di spesa a partire da
cultura, istruzione e università che
già nelle scorse leggi di bilancio
sono state oggetto di mancati
investimenti e tagli. Ribadiamo con
forza che togliere ulteriori fondi a
questi comparti, già sottofinanziati,
sarebbe un grave errore. A scuola,
università e cultura mancano risorse
e sono comparti che non possono
sopportare ulteriori tagli. L’Italia
è indietro rispetto alla spesa per
l’istruzione in rapporto al PIL, e
occorrono investimenti per colmare
questo divario, non tagli. Non è
condivisibile una legge di bilancio
che incide negativamente, ancora una
volta, sui comparti del sapere,
della conoscenza e della cultura,
definiti sempre strategici nelle
dichiarazioni ma marginalizzati
nelle scelte di spesa».
Anche l’Anief, associazione di
categoria per il settore scolastico,
ha espresso forte contrarietà sui
tagli a scuola, università e ricerca
nella Legge di Bilancio. «Togliere
anche un solo euro dalla scuola e ai
suoi dipendenti avrebbe il sapore
della beffa», ha detto Marcello
Pacifico, Presidente di Anief. A
quanto pare, l’aumento salariale
previsto per il personale
scolastico, pari al 6%, non è
sufficiente a compensare
l’inflazione, che negli ultimi due
anni è salita del 15%. Per quanto
riguarda gli atenei, si evidenziano
tagli al Fondo di Finanziamento
Ordinario (Ffo), cioè il 2% in meno
rispetto al 2023. Sarebbero serviti
almeno 500 milioni soltanto per
recuperare l’inflazione del 2023,
invece il governo ha scelto di
tagliare sull’istruzione terziaria,
secondo i giovani dell’Udu, l’Unione
degli universitari,
Ho dedicato molti articoli alla
Scuola Statale, in uno di essi sul
“diritto allo studio”, pubblicato in
InStoria nel dicembre 2022, scrissi
quanto segue: «A quanto pare, il
diritto allo studio, sancito dalla
nostra Costituzione, viene
costantemente attaccato con tagli
sempre più massicci sulla Scuola
Statale che dovrebbe rappresentare
un luogo di cultura, di crescita e
di formazione delle nuove
generazioni in un paese civile. In
effetti anche l’attuale governo
intende realizzare un
“dimensionamento delle scuole”
innalzando il numero minimo di
alunni per istituto che arriva a 900
alunni: a quanto pare, ciò significa
che verranno eliminate altre 700
scuole in tutta Italia. Con
l’innalzamento del parametro minimo
saranno a rischio soprattutto le
scuole delle isole e delle comunità
montane, scuole già in sofferenza
perché colpite dalla denatalità e
dall’abbandono dei territori e che
adesso potrebbero essere costrette a
chiudere. Si perpetua dunque
l’operazione tagli e accorpamenti
iniziato nel 1998/1999, operazione
incrementata poi con gli “istituti
comprensivi”, strutture enormi e
difficili da gestire, con migliaia
di alunni e decine di plessi sparsi
anche in luoghi diversi. Fusioni e
chiusure di istituti accresceranno,
inoltre, il disagio per alunni e
famiglie, obbligandoli a raggiungere
scuole distanti dalla loro
abitazione o costringendoli ad
accettare pluriclassi di alunni di
età diverse e differente grado
d’istruzione. E pensare che molte
scuole rappresentano l’unico
presidio contro la criminalità
organizzata in zone critiche del
nostro Paese!».
Purtroppo, tali misure hanno fatto
crescere il numero degli alunni
nelle classi, incidendo sulla
qualità della didattica e
incrementando la dispersione
scolastica nelle zone a rischio dove
la povertà rende ancor più arduo
inseguire la scuola “nel centro più
vicino”, per cui a molti bambini è
stato negato il diritto allo studio.
Si deduce, inoltre, che anche i
posti di lavoro con tali strategie
diminuiranno sempre più e sarà
sempre più difficile risolvere i
problemi del precariato. Servono
quindi più risorse da investire in
un sistema scolastico pubblico di
qualità in tutto il Paese per
garantire un reale diritto allo
studio.