N. 143 - Novembre 2019
(CLXXIV)
SULLA
NASCITA
DELLA
SCUOLA
MEDICA
SALERNITANA
TRA
STORIA
E
LEGGENDA
di
Marianna
Mainenti
La
leggenda
sulla
nascita
della
Scuola
Medica
Salernitana
narra
che
un
pellegrino
greco
di
nome
Pontus
si
fermò
nella
città
di
Salerno
e
trovò
rifugio
per
la
notte
sotto
gli
archi
dell’antico
acquedotto
dell’Arce.
Scoppiò
un
temporale
e un
altro
viandante
si
riparò
nello
stesso
luogo:
si
trattava
del
latino
Salernus;
costui
era
ferito
e il
greco,
in
un
primo
tempo
diffidente,
si
avvicinò
per
osservare
da
vicino
le
medicazioni
che
il
latino
praticava
alla
sua
ferita.
Nel
frattempo
erano
giunti
altri
due
viandanti,
l’ebreo
Elinus
e
l’arabo
Abdela.
Anch’essi
si
interessarono
alla
ferita
e
alla
fine
si
scoprì
che
tutti
e
quattro
si
occupavano
di
medicina.
Decisero
allora
di
creare
un
sodalizio
e di
dare
vita
a
una
scuola
dove
le
loro
conoscenze
potessero
essere
raccolte
e
divulgate.
È
racconto
che
viene
elaborato
per
simboli:
i
quattro
viandanti
rappresentano
le
distinte
influenze
che,
mischiate
insieme,
conducono
al
fiorire
della
Scuola:
la
sapienza
classica,
greca
e
latina,
in
aggiunta
a
quelle
ebraica
e
araba.
Più
che
riferirsi
al
periodo
di
vera
e
propria
nascita
della
istituzione,
la
leggenda,
che
in
base
alle
sue
caratteristiche
può
dirsi
nata
in
ambiente
colto
laico
intenzionato
a
costruire
una
genesi
della
Scuola,
concerne
in
realtà
il
fiorire
del
suo
momento
aureo,
quando
cioè,
a
partire
dal
secolo
XI,
al
talento
dei
medici
salernitani
(non
è
noto
se
di
originaria
derivazione
monastica
o
laicale
o di
entrambe)
venne
fornito
il
supporto
delle
traduzioni,
provenienti
dall’
Oriente,
delle
perdute
opere
classiche
oltre
che
della
letteratura
scientifica
ebraica
e
araba.
In
particolare,
a
volersi
specificamente
individuare
quelli
che
la
leggenda
indica
come
fondatori,
si
può
ritenere
che
il
greco
Pontus
sia
Garioponto
(medico
che
si
distinse
per
l’applicazione
dei
principi
della
medicina
greca),
il
latino
Salernus
sia
Alfano
da
Salerno
(medico
di
provenienza
salernitana,
Abate
di
S.
Benedetto
e
poi
Arcivescovo
di
Salerno
con
il
nome
di
Alfano
I,
che
condusse
alla
Corte
di
Roberto
il
Guiscardo
Costantino
l’
Africano),
l’arabo
Abdela
(da
Abd
Allah,
nome
musulmano
che
significa
servo
di
Allah)
sia
Costantino
l’
Africano
(medico,
poi
monaco
benedettino,
che
introdusse
i
principi
della
medicina
araba),
e
l’ebreo
Elinus
(da
Eli
cioè
Dio
in
ebraico)
sia
forse
Isacco
l’Ebreo
(medico
la
cui
opera,
fondata
sulla
medicina
ebraica,
fu
tradotta
da
Costantino).
E
probabilmente
non
è un
caso
che
i
viandanti
che
per
ultimi
intervengono
sulla
scena
siano
i
depositari
della
scienza
non
classica,
la
quale
si
aggiunse
in
un
secondo
tempo
al
sapere
classico,
e
che
i
loro
nomi
rimandino
alle
relative
religioni;
il
sincretismo
medico
è
dunque
anche
il
confluire
in
un’unica
cultura
in
aggiunta
alle
divinità
greche
e al
Dio
cristiano,
dell’Allah
mussulmano
e
dell’
Eli
ebraico.
La
leggenda
fornisce
poi
un
altro
dato
simbolico,
spesso
trascurato,
individuando
il
luogo
dell’incontro
tra
i
quattro
viandanti
negli
archi
dell’acquedotto.
Si
tratta
dell’acquedotto
che
portava
acqua
al
monastero
di
San
Benedetto,
a
simboleggiare
che
l’unione
tra
le
diverse
culture
scientifiche
potè
avvenire
sotto
la
protezione
della
Chiesa
cattolica,
in
particolare
di
quel
mondo
benedettino
che
nella
Regola
tanta
importanza
dava
alla
cura
degli
infermi.
Qui
occorre
fare
una
riflessione.
Anche
se
da
una
leggenda
non
è
doveroso
attendersi
la
piena
verosimiglianza,
suona
nondimeno
strano
che
dei
viandanti,
di
cui
uno
ferito,
possano
ritener
di
trovare
ricovero
per
la
notte
sotto
gli
archi
di
un
acquedotto:
la
struttura
di
quest’ultimo,
che
in
buona
parte
si è
conservata
fino
ai
nostri
tempi,
è
completamente
aperta
da
tutti
i
lati
e
non
può
offrire
rifugio
alcuno,
men
che
mai
per
un’intera
notte
e
sotto
un
temporale.
Nei
pressi
di
alcuni
monasteri
salernitani,
però,
esisteva
(e
in
parte
esiste
ancora)
una
struttura
coperta,
con
archi
a
volta,
che
ben
potrebbe
invece
aver
svolto
tale
funzione.
Parlo
delle
volte
della
via
che
nell’area
del
Plajum
montis
dal
monastero
di
Santa
Sofia
conduce
a
quello
di
San
Massimo
e
quindi
a
quello
di
San
Lorenzo.
Tutti
monasteri
fondati
dai
benedettini.
La
leggenda
quindi,
nella
sua
versione
originaria
poi
interpolata
nei
secoli
per
richiamo
all’altra
leggenda
sulla
realizzazione
in
una
sola
notte
da
parte
del
diavolo
degli
archi
dell’acquedotto,
faceva
probabilmente
riferimento
non
già
a
questi
ultimi
bensì
agli
archi
e
volte
della
via
dei
monasteri
benedettini,
la
quale
peraltro
era
di
enorme
importanza
in
quanto
si
trattava
dell’unica
strada
che
consentiva
all’epoca
il
collegamento
della
città
con
il
Castello
(passando
per
la
Nova
Civitas
longobarda
sui
cui
resti
erano
sorti
i
monasteri).
A
ogni
modo,
che
si
tenga
conto
della
versione
tradizionale
della
leggenda
o
della
differente
lettura
appena
esposta,
l’istituzione
al
riparo
della
quale
la
Scuola
Medica
potè
nascere
e
prosperare
fu
quindi,
e
qui
è la
storia
a
dirlo
oltre
alla
leggenda,
il
monachesimo
benedettino
salernitano,
in
particolare
quello
del
Plajum
montis.
Il
che
trova
conferma
nella
permanenza
nella
zona,
ricca
di
acque
e
con
condizioni
climatiche
particolarmente
favorevoli
per
la
coltivazione
dei
semplici
e
delle
erbe
medicinali,
di
giardini
e di
strutture
della
Scuola
Medica
(si
pensi
tra
l’altro
al
famoso
Giardino
della
Minerva,
risalente
al
sec.
XIII,
o
all’
Orto
di
S.
Lorenzo,
del
sec.
X).