filosofia & religione
LA SCRITTURA RONGORONGO
Storia di una lingua misteriosa e
indecifrabile
di Lorenzo Bruni
Con il termine “Rongorongo” si intende una
particolare forma di scrittura tramite glifi,
scoperta dagli europei sull’Isola di Pasqua nel
corso XIX secolo, ancora oggi impossibile da
decifrare. Il suo nome completo in lingua pasquense
è Kohau Rongorongo, dove Kohau
significa “legno utilizzato per fabbricare lo scafo
della barca” e Rongorongo “il grande
messaggio”, oppure “recitare, declamare”: il nome
potrebbe essere tradotto in “legno di recitazione”.
Le testimonianze materiali che ci sono arrivate e
che da anni hanno definitivamente abbandonato
l’Isola di Pasqua per finire in musei o collezioni
private, sono tutte incise su tavolette lignee,
parte delle quali rovinate da bruciature. I glifi
sono ottenuti tramite profondi solchi, impressi nel
legno probabilmente adoprando denti da squalo; a
fianco di questi ne sono presenti altri di
profondità inferiore, una prima stesura, nella quale
si pensa siano presenti anche errori di scrittura,
ricavata con piccoli stili d’ossidiana.
Un ristretto numero di tavolette, in base alle
analisi sopra condotte, sarebbe invece stato
ottenuto con coltelli di ferro, i quali si ritiene
siano arrivati in possesso della popolazione
pasquense in seguito al commercio con gli europei:
dato che il loro arrivo nell’area è datato nel XVIII
secolo, queste sarebbero successive alle altre,
presumibilmente create tra il 1200 e il 1400, oppure
si tratti di imitazioni.
Il mistero della loro interpretazione resta legato
in particolare alla scarsità del materiale a
disposizione, dato che le tavolette sopravvissute
fino ai giorni nostri sono soltanto ventisei, ma
soprattutto a causa dell’assenza di fonti dirette:
già a partite dalla seconda metà del 1800 nessun
abitante dell’isola era più in grado di interpretare
il significato dei glifi. Questo a causa della
complicata e conflittuale storia della popolazione
pasquense, la civiltà Rapa Nui (nome dato
alla stessa isola e che può essere tradotto con
“grande roccia”).
Pur non essendoci prove certe sulla sua origine, si
crede che questa si sia formata nel corso del IX
secolo in seguito alla migrazione di alcuni popoli
polinesiani. In un primo momento i Rapa Nui vissero
sfruttando al meglio le risorse naturali del luogo e
la ristretta superficie dell’isola, ma dal 1200 in
poi l’incremento demografico della popolazione e la
volontà di utilizzare le palme per costruire i
moai, i giganteschi monoliti in pietra,
portarono a un inesorabile disboscamento e alla
riduzione di fauna e risorse commestibili.
Nei due secoli successivi l’albero della palma si
estinse del tutto e iniziarono violente lotte
interne per il possesso delle poche risorse residue;
ciò comportò una drastica diminuzione della
popolazione, processo facilitato dal dilagare delle
malattie portate dagli europei nel corso del
Settecento e dalle numerose spedizioni schiaviste di
tribù peruviane, delle quali la più sanguinosa
avvenne nel 1862, che passò dagli originari
15-20mila abitanti fino ai 111 presenti nel 1877.
È nel corso di questi difficili secoli che la
scrittura Rongorongo prima si sviluppò e, infine,
andò a sparire, dato che i locali iniziarono a
riutilizzare le tavolette lignee come combustibile o
per costruire strumenti da pesca. Queste dovettero
inoltre sopravvivere all’aperta avversione degli
europei che, impossibilitati a leggere e capire ciò
che vi era scritto, giunsero alla conclusione che si
trattassero di invocazioni demoniache e ne
distrussero una buona quantità.
In epoca contemporanea un importante tentativo di
decifrare i glifi è stato compiuto nel 1914
dall’antropologa Katherine Routledge, la quale si
recò in loco per intervistare due anziani di nome
Kapiera e Tomenika, quest’ultimo da tempo malato di
lebbra, che sembravano conoscere la lingua
rongorongo. I due uomini, però, si contraddissero su
più punti, rendendo la ricerca non scientificamente
probante. Proprio per questo motivo la Routledge
giunse alla conclusione che sulle tavolette non
fosse utilizzata una vera e propria forma di
scrittura, ma che i glifi appartenessero a un
sistema mnemonico idiosincratico, un linguaggio che
poteva dunque essere interpretato unicamente da chi
lo avesse scritto o che fosse stato appositamente
istruito per leggerlo. Prese così piede la teoria,
riconosciuta tutt’oggi, che fossero litanie per
sacerdoti e che con la scomparsa della casta
sacerdotale fosse venuta meno nel popolo anche la
possibilità di interpretarne i segni.
Nel corso della spedizione l’antropologa definì
anche l’andamento bustrofedico inverso della
scrittura, cioè scritto in direzioni alternanti: per
essere letta, si doveva procedere fino al margine
del supporto, invertendo la direzione nel rigo
sottostante, dal basso verso l’alto. Un altro
importante contributo è stato fornito da Rafal
Wieczorek, professore dell’Università di Varsavia,
secondo il quale il Rongorongo non sia una
derivazione linguistica, evoluta dal polinesiano o
da altre lingue della zona, ma si sia sviluppato in
autonomia e indipendentemente dai sistemi di
notazione conosciuti. Il professor Wieczorek
continua tutt’oggi a studiare i glifi Rongorongo,
sicuro prima o poi di riuscire a decifrarli. |