N. 134 - Febbraio 2019
(CLXV)
Morto da Feltre
La
riscoperta
delle
mirabili
“grottesche”
di
Paolo
Fundarò
Racconta
il
Vasari:
"Morto,
pittore
da
Feltro,
il
quale
fu
astratto
nella
vita
come
era
nel
cervello
e
nelle
novità
nelle
grottesche
ch’egli
faceva,
le
quali
furono
cagione
di
farlo
molto
stimare,
si
condusse
a
Roma
nella
sua
giovanezza
in
quel
tempo
che
il
Pinturicchio
per
Alessandro
VI
dipigneva
le
camere
papali,
et
in
Castel
Sant’Angelo,
le
logge
e
stanze
da
basso
nel
torrione
e
sopra
altre
camere".
Morto,
così
detto
per
l’abitudine
che
aveva
di
esplorare
cunicoli
e
calarsi
negli
ipogei
delle
antiche
rovine
romane
dove
studiò,
disegnò
e
riprese
i
motivi
delle
grottesche,
fu
uno
dei
primi
divulgatori
di
questa
singolare
e
stravagante
decorazione
dalle
tinte
ardite
a
cui,
Vitruvio
nel
VII
libro
del
suo
famoso
trattato
De
Achitectura
si
era
opposto
in
maniera
energica
condannandola
come
assurda
e
incoerente.
La
curiosità
e la
scoperta
dell’antica
decorazione
della
grottesca,
iniziata
da
parte
di
alcuni
giovani
artisti
negli
anni
tra
il
1480
e
1490
tra
cui
il
Morto,
calandosi
in
esplorazioni
più
o
meno
acrobatiche
nelle
aule
sotterranee
della
Domus
Aurea
di
Nerone
a
colle
Oppio;
percepite
dal
popolino
come
“grotte”
e
perciò
ribattezzate
grottesche
da
Benvenuto
Cellini
nella
sua
autobiografia,
raccolse
rapidamente
una
cospicua
quantità
di
appunti
e
taccuini
comprendenti
un
ricco
repertorio
di
ornamenti
utilizzati
già
a
partire
dal
1500
nelle
botteghe
rinascimentali
che
ne
tradussero
i
motivi
fantastici
sulle
cornici,
zoccoli
e
volte.
Una
delle
prime
testimonianze
si
trova
nella
cappella
Carafa
nella
chiesa
di
Santa
Maria
sopra
Minerva
a
Roma,
dipinta
Da
Filippino
Lippi
e
poco
dopo
dal
Pinturicchio
sulle
lesene
della
cappella
Bufalini
nella
chiesa
dell’Aracoeli.
Morto,
“misterioso
e
astratto,
fu
il
primo
a
ritrovarle
più
simili
alla
maniera
antica,
e
mettere
tutto
il
suo
studio
in
questa
sorte
di
pitture”
secondo
il
Vasari,
“e
per
questo
merita
infinite
lodi”.
Suggestionato
dalla
sua
indole
malinconica,
e
dai
suoi
“pensieri
strani”
si
spinse
nella
sua
ansia
di
ricerca
a
Tivoli,
nei
cunicoli
della
Villa
Adriana,
fino
a
Pozzuoli
e
Baia
continuando
ad
investigare
e
repertoriare
immagini
di
stucchi,
grottesche,
pavimenti
a
mosaico.
I
primi
esploratori
avevano
ripreso
soprattutto
i
frammenti
e i
dettagli
che
potevano
essere
annotati
velocemente
al
chiarore
chimerico
d’una
torcia
e
tradotti
in
un
rapido
schizzo
o
acquarello.
Un
testo
poetico
tratto
dalle
Antiquarie
Prospettiche
Romane
dedicato
a
Leonardo
da
Vinci
perché
si
recasse
a
Roma
a
studiare
le
mirabili
vestigia
archeologiche,
composto
in
terzine
da
un
anonimo,
ci
restituisce
perfettamente
l’atmosfera
avventurosa
e
disagiata
della
scoperta:
Hor
son
spelonche
ruinate
grotte
di
stuccho
di
rilievo
altri
in
colore
di
man
di
Cinabuba
Apelle
Giotte.
D’ogni
stagion
son
piene
dipintori
piu
lastate
par
chel
verno
in
fresche
secondo
el
nome
dato
da
lavori.
Andian
per
terra
con
nostre
ventresche
con
pane
con
presutto
poma
e
vino
per
esser
piu
bizarri
alle
grottesche.
El
nostro
guidarel
mastro
pinzino
che
ben
ci
fa
abottare
el
viso
elochio
parendo
inver
ciaschun
spaza
camino.
Et
facci
traveder
botte
ranochi
civette
e
barbaianni
e
nottoline
rompendoci
la
schiena
cho
ginochi.
Anche
il
Vasari
riprendendo
gli
argomenti
di
Vitruvio
definisce
le
grottesche
come
“una
spezie
di
pitture
licenziose
e
ridicole
molto,
fatte
dagl’antichi
per
ornamenti
di
vani,
dove
in
alcuni
luoghi
non
stava
bene
altro
che
cose
in
aria”
dipinte
“
senza
alcuna
regola,
appiccando
a un
sottilissimo
filo
un
peso
che
non
si
può
reggere,
a un
cavallo
le
gambe
di
foglie,
a un
uomo
le
gambe
di
gru”.
.
Roma,
Domus
Aurea,
criptoportico,
dettagli
di
grottesche.
Anonimo
francese
del
XVIII
secolo.
La
grottesca
è
dunque
una
sospensione
della
razionalità,
delle
leggi
fisiche
e
della
gravità
a
favore
della
leggerezza
onirica,
dell’ibrido,
del
capriccio
fantastico.
Morto,
sfortunatamente
per
i
suoi
meriti,
viene
confuso
e
ibridato
nel
tempo
a
causa
della
mancanza
di
opere
autografe
certe,
ora
con
Pietro
Luzzo
detto
“Zarotto”
da
Carlo
Ridolfi
e
Antonio
Cambruzzi
nel
Seicento,
ora
con
Lorenzo
Luzzo
all’inizio
del
Settecento
nelle
Memorie
istoriche
di
Feltre
pubblicate
da
Antonio
dal
Corno.
Anche
Giovan
Battista
Cavalcaselle,
ed
André
Chastel,
lo
identificano
con
Pietro
Luzzo.
Nell’Ottocento
lo
storico
lombardo
Stefano
Ticozzi
nel
suo
Storia
dei
letterati
e
degli
artisti
del
Dipartimento
della
Piave
assimila
il
pittore
Morto
da
Feltre
con
Pietro
Luci
o
Luzzo
e,
infine
nel
Novecento
lo
storico
dell’arte
Lionello
Venturi
lo
identifica
nuovamente
con
Lorenzo
Luzzo.
Perdute
le
decorazioni
che
aveva
realizzato
a
Firenze
all’inizio
del
Cinquecento
nella
camera
di
Pier
Sodarini,
Gonfaloniere
a
vita,
nel
2003
un’opera
citata
dal
Vasari,
la
“spalliera
a
grottesche”
scoperta
in
una
soffitta
del
Convento
della
Santissima
Annunziata
a
Firenze,
ora
sede
dell’Istituto
Geografico
Militare
ritenuta
perduta
gli
è
stata
attribuita.
Nei
due
volti
monocromi
ritratti
nelle
grottesche,
uno
studioso,
ha
voluto
scorgere
le
sembianze
della
Monna
Lisa
di
Leonardo.
Lo
scienziato,
pittore,
filosofo
e
poeta
di
origini
toscane
aveva
51
anni
quando
tornò
a
Firenze
nel
1503
dopo
molti
anni
passati
a
Milano.
Morto
che
fu a
stretto
contatto
con
Leonardo
a
Firenze,
dove
poté
seguire
il
lavoro
preparatorio
del
maestro
della
Gioconda
e di
Michelangelo
impegnati
nella
progettazione
dei
cartoni
delle
battaglie
di
Anghiari
e
Cascina
a
Palazzo
Vecchio,
ebbe
forse
con
Leonardo
un
rapporto
consono
alle
sue
fantasie
sotterranee
e
necromantiche.
Le
fonti
sostengono
infatti
che
al
ritorno
da
Roma,
Morto,
attirato
dagli
studi
di
Leonardo
che
aveva
attrezzato
un
laboratorio
di
ceroplastica
dove
venivano
modellate
maschere
funebri
per
gli
ex-voto
nella
Foresteria
dell’Annunziata,
si
stabilì
per
un
periodo
nel
convento.
L'uso
dei
locali
da
parte
di
Da
Vinci
è
stato
citato
in
lettere
scritte
da
Piero
da
Novellata
a
Isabella
D'Este
e
sono
attestate
da
Giorgio
Vasari.
Potrebbe
essere
proprio
Morto
da
Feltre,
con
tutto
l’immaginario
classico
documentato
e
rivelato
nelle
indagini
visionarie
nelle
nascoste
profondità
delle
rovine
classiche;
con
le
sue
infaticabili
ricerche
“le
quali
furono
cagione
di
farlo
molto
stimare”,
Morto
tanto
equivocato
e
sfuggente,
indagatore
negli
abissi
delle
rovine
dell’ombra
dipinta
di
estinti
fasti
pittorici;
l’ispiratore
–
per
una
adesione
totale
alla
cultura
antica
–
del
recupero
della
celebrata
tecnica
dell’
encausto,
adoperata
da
Leonardo
nella
perduta
battaglia
di
Anghiari?
“Per
il
che”,
concludendo
col
Vasari,
“meritamente
gli
fu
fatto
questo
epitaffio:
Morte
ha
Morto,
non
me,
che
il
Morto
sono,
ma
il
corpo,
ché
morir
fama
per
Morte
non
può,
l’opere
mie
vivon
per
scorte
de’
vivi...