N. 71 - Novembre 2013
(CII)
Storia di una scoperta
Le grotte di Frasassi
di Laura Ballerini
Settembre
1971.
È
un’assolata
giornata
di
fine
estate,
senza
un
filo
di
vento,
l’ideale
per
continuare
le
ricerche
speleologiche
sulle
impervie
balze
del
monte
Valmontagnana
(AN).
Mentre
i
ragazzi
del
Gruppo
Speleologico
Marchigiano
del
C.A.I.
di
Ancona
scrutavano
un
versante
nord
del
monte,
qualcosa
attirò
la
loro
attenzione.
In
una
giornata
senza
vento
i
fasci
d’erba
si
muovevano
in
un
unico
punto:
un
foro,
dalle
dimensioni
di
un
pallone
da
calcio.
L’aria
che
fuoriusciva
dal
buco
attirò
febbrilmente
i
giovani
speleologi
che
lo
allargarono
per
passarvi
all’interno.
Si
trovarono
in
una
breve
e
buia
galleria,
chiusa
in
fondo
da
concrezioni
calcaree,
da
cui
continuava
a
spirare
un
forte
vento.
I
ragazzi
allora
ruppero
quel
diaframma
calcareo
che
bloccava
la
loro
scoperta,
e
dopo
un’altra
fortissima
corrente
d’aria,
si
aprì
davanti
al
loro
una
nuova
galleria
discendente.
Le
diedero
il
nome
di
Grotta
Grande
del
Vento.
La
percorsero
e
sentirono
poi
un
profondo
vuoto
davanti
a
loro:
non
avendo
gli
adeguati
strumenti
con
sé,
lanciarono
un
sasso
e ne
cronometrarono
la
caduta
per
definire
la
vastità
della
gola:
la
caverna
risultò
profonda
130
metri.
Avevano
scoperto
la
sala,
all'interno
delle
grotte
di
Frasassi,
che
battezzarono
Abisso
Ancona.
Nel
buio
totale
della
grotta,
però,
gli
speleologi
non
riuscirono
a
quantificare
le
dimensioni
della
loro
scoperta
e
neanche
la
pericolosità
del
punto
da
cui
avevano
lanciato
il
sasso,
oltre
il
quale
si
estendeva
il
profondo
abisso:
questo
punto
infatti
è
chiamato
il
balcone
del
brivido.
Pochi
giorni
dopo,
il
29
settembre
1971,
tornarono
alla
grotta
con
una
scala
metallica
e le
apposite
corde
di
sicurezza
per
calarsi
nella
voragine.
Ad
accoglierli
trovarono
una
temperatura
di
circa
14
gradi
e
un’umidità
al
98%.
Non
potevano
immaginare
che
quello
che
avevano
scoperto
era
un'immensa
e
antichissima
grotta
(la
sua
formazione
risale
a
circa
due
milioni
di
anni
fa),
in
cui
entrerebbe
l'interno
Duomo
di
Milano.
La
sala
Abisso
Ancona,
infatti,
vanta
una
dimensione
di
circa
180
metri
di
lunghezza,
120
metri
di
larghezza
e
200
(non
130)
metri
di
altezza.
Al
suo
interno
si
possono
trovare
delle
enormi
formazioni
calcaree
che
si
stagliano
dal
pavimento
al
soffitto
(stalagmiti),
chiamate
appunto
giganti.
L'altezza
di
alcuni
di
loro
supera
i 20
metri,
anche
se
al
colpo
d'occhio
sembrerebbero
molto
più
piccoli.
Dentro
le
grotte,
infatti,
succede
molto
spesso
di
perdere
la
percezione
delle
dimensioni
delle
cose,
che
sembrano
più
piccole
e
più
vicine
di
quanto
non
siano.
Un
esempio
lampante
è
quello
di
una
stalagmite
collocata
nella
parte
alta
della
parete
della
sala:
sembra
piccolissima
e
per
questo
è
stata
chiamata
la
Madonnina,
ma
misura
in
realtà
circa
2
metri
di
altezza.
Oltre
ai
giganti,
la
sala
è
piena
di
stalagmiti
e
stalattiti
(concrezioni
calcaree
pendenti
dal
soffitto),
che
crescono
circa
un
mm
l’anno.
Alcune,
appena
nate,
sono
così
sottili
da
essere
state
ironicamente
chiamate
bucatini.
Vi
sono
poi
altre
due
caratteristiche
formazioni
calcaree:
le
prime,
per
il
loro
aspetto
bianco
e
quasi
scintillante,
sono
chiamate
fette
di
lardo,
le
seconde,
invece,
essendo
sottili
e di
colore
rosa
chiaro,
sono
chiamate
fette
di
pancetta.
Questi
millenari
elementi
sono
in
realtà
tra
i
più
fragili
al
mondo:
basta
un
tocco
per
causarne
la
morte.
La
pelle
umana,
infatti,
è
ricoperta
di
una
patina
di
grasso
totalmente
estranea
alle
rocce,
che
ne
blocca
la
crescita,
annerendole
e
divenendo
letale.
Dalla
sala
Abisso
Ancona
gli
speleologi
si
trovarono
all’interno
di
un
mondo
sotterraneo
di
cunicoli
labirintici,
laghetti
gelidi,
costruzioni
calcaree
e
piccoli
animali.
L’unica
flora
costantemente
presente
all’interno
della
grotta,
infatti,
è
quella
costituita
dai
pipistrelli
e i
geotritoni.
Il
primo
vive
in
colonie
nella
parte
altra
della
gola,
mentre
il
secondo
è
una
specie
di
salamandra
stanziata
intorno
i
bacini
sotterranei.
Vi
sono
poi
anche
i
troglobi,
ovvero
vermi,
molluschi
e
crostacei,
che
vivono
nelle
le
fessure
tra
le
rocce.
All’interno
di
questo
mondo
gli
speleologi
ebbero
grandi
difficoltà
a
stabilire
dei
punti
di
riferimento,
e
raggiunsero
faticosamente
la
Sala
Finlandia.
Diedero
nomi
alle
numerose
concrezioni
cristalline,
che
ancora
oggi
vengono
spiegate
dalle
guide
(il
cammello
e il
dromedario,
il
castello
delle
streghe,
la
spada
di
Damocle,
etc.).
Alla
fine
di
ogni
giornata
di
esplorazione,
i
ragazzi
dovevano
ripercorrere
a
ritroso
tutti
i
cunicoli,
le
gallerie
e i
pozzi
che
avevano
attraversato,
per
ritornare
poi
alla
sala
Abisso
Ancora
e
risalire
la
scala
pendente
dal
foro
della
scoperta
e
ondeggiante
nel
vuoto.
Un
lavoro
faticosissimo.
A
venirgli
incontro
fu
un’ulteriore
scoperta
compiuta
dal
Gruppo
Speleologico
del
C.A.I.
di
Fabriano.
Nell’agosto
di
quell’anno,
infatti,
erano
stati
scoperti
nuovi
rami
dell’adiacente
Grotta
Fiume.
In
quei
giorni,
gli
studiosi
di
Fabriano
seguirono
il
nuovo
percorso
e
arrivarono
anch’essi,
l’8
dicembre,
alla
“Sala
Finlandia”.
In
questo
modo
scoprirono
un
passaggio
più
facile
per
entrare
nella
grotta,
e si
aprirono
ai
loro
occhi
nuove
sale,
bacini,
cunicoli,
fino
a
poterne
definire
con
certezza
le
dimensioni:
30
km
di
estensione
carsica.
L’eco
della
scoperta
divenne
assordante
e la
popolarità
delle
grotte
aumentò
sempre
di
più:
da
allora,
infatti,
si
contano
circa
12
milioni
di
visite.