N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
LA SCOPERTA DI TROIA
LA
VITA STRAORDINARIA DI HEINRICH SCHLIEMANN
di
Serena
Scicolone
Ci
sono
storie
che
andrebbero
raccontate
come
favole
a
tutti
i
bambini
e a
tutti
gli
adulti
che
hanno
smesso
di
sognare
e credere
in
sé.
Tra
le
storie
realmente
accadute
ed educative
come
favole
vi è
quella
di Heinrich
Schliemann.
La
vita
di
quest’uomo,
infatti,
è
talmente
straordinaria
e
ricca
di
sorprese
da
essere
degna
di
appassionare
ogni
sera
un
bambino
di
qualunque
epoca.
Il
piccolo
Heinrich
nacque
in
Germania,
a
Neubukow,
il 6
Gennaio
del
1822
da
una
famiglia
di
modeste
condizioni.
La
figura
del
padre
fu
di
fondamentale
importanza
nella
vita
di
Heinrich:
ogni
giorno
la
voce
paterna
lo
trasportava
nel
mondo
antico
attraverso
la
narrazione
della
guerra
di
Troia
e
delle
vicende
mitiche
degli
eroi
greci.
I
racconti
del
padre
non
solo
ispiravano
la
fantasia
del
piccolo
Heinrich
ma
consolidavano
in
questo
una
ferma
fiducia
nella
veridicità
di
tali
vicende.
Fu
così
che
sera
dopo
sera,
anno
dopo
anno,
Heinrich
si
convinse
che
valorosi
eroi
come
Ettore
e
Achille,
donne
straordinarie
come
Andromaca
e
Elena,
guerre
interminabili
e
affascinanti
come
quella
di
Troia,
non
fossero
solo
miti
ma
realtà
storiche.
Tale
convinzione
lo
accompagnò
sempre,
nonostante
sapesse
che
la
maggior
parte
degli
studiosi
nutrivano
forti
dubbi
persino
sulla
reale
esistenza
della
città
di
Troia
e
accordavano
al
racconto
omerico
di
tale
guerra
la
stessa
fiducia
che
mostravano
nei
confronti
di
altri
miti
e
leggende
eroiche.
Nonostante
ciò,
l’adulto
Heinrich
Schliemann
ebbe
la
forza
di
credere
nel
piccolo
Heinrich
piuttosto
che
nei
grandi
specialisti
della
storia.
All’età
di
quattordici
anni
Heinrich
fu
costretto
a
interrompere
gli
studi
a
causa
della
povertà
e
dovette
così
iniziare
a
lavorare.
Per
cinque
anni
e
mezzo
lavorò
diciotto
ore
al
giorno
come
garzone
in
una
drogheria,
non
avendo
pertanto
il
tempo
necessario
neppure
per
leggere.
Per
fortuna
l’Heinrich
adulto
era
ancora
lo
stesso
Heinrich
che
all’età
di
sette
anni,
affascinato
dall’immagine
della
fuga
di
Enea
da
Troia
in
fiamme
(presente
nel
libro
che
il
padre
gli
aveva
regalato
a
Natale),
esclamò
con
sicurezza
che
tale
città
non
poteva
essere
totalmente
distrutta
e
che
da
grande
l’avrebbe
scoperta
e
avrebbe
così
portato
alla
luce
il
tesoro
di
Priamo.
La
reazione
del
padre
fu
la
stessa
che
tempo
dopo
avrebbero
avuto
i
grandi
studiosi:
una
fragorosa
risata.
Né
nell’uno,
né
nell’altro
caso
però,
Heinrich
si
lasciò
influenzare
o
scoraggiare.
Prima
di
partire
per
la
sua
grande
impresa
Heinrich
studiò
tantissimo
(imparò
in
pochissimo
tempo
numerose
lingue)
e,
contando
solo
sulle
sue
forze
e su
un
pizzico
di
fortuna,
si
trasformò
da
un
povero
giovane
a un
grande
e
milionario
uomo
d’affari.
Si
potrebbe
credere
che
un
uomo
ricco
e
con
una
carriera
eccellente
non
avesse
motivo
di
pensare
ancora
ai
sogni
infantili
animati
dai
racconti
paterni.
Non
fu
così
per
Heinrich
Schliemann.
Egli
stesso
scrisse
nella
sua
autobiografia
che
in
qualunque
momento
della
sua
vita
fu
costantemente
accompagnato
dal
sogno
che
aveva
avuto
a
sette
anni:
scoprire
Troia
e
vedere
così
lo
scenario
della
guerra
raccontata
da
Omero.
Fu
per
questo
motivo
che
nel
1868,
a 46
anni,
si
ritirò
dal
commercio
e
iniziò
a
dedicare
tutto
il
proprio
tempo
e il
proprio
denaro
esclusivamente
alle
ricerche
archeologiche.
Tutto
ciò
che
aveva
guadagnato
poteva
finalmente
essere
sfruttato
per
il
suo
grande
sogno,
come
affermò
egli
stesso
scrivendo
«Il
mio
cuore
era
sempre
attaccato
al
denaro
ma
solo
perché
lo
consideravo
un
mezzo
per
raggiungere
questo
grande
scopo
della
mia
vita».
Ma
da
dove
bisognava
partire
per
scoprire
Troia?
Certamente
da
Omero,
dall’autore
che
aveva
cantato
le
grandi
gesta
compiute
in
quella
città
sia
dai
vincitori,
sia
dai
non
meno
ammirabili
vinti.
Se
ancora
oggi
sorgono
dubbi
sulla
figura
e
sulla
realtà
storica
di
Omero,
non
può
non
stupire
che
un
uomo
d’affari
riponesse
solo
in
Omero
tutte
le
sue
speranze
per
il
ritrovamento
della
città
di
Priamo.
La
storia
gli
diede
ragione.
Il
racconto
di
Omero
si
rivelò
essenziale
sia
per
negare
che
Troia
fosse
sorta
un
tempo
nel
sito
del
villaggio
Bunarbaschi
(sito
che
era
invece
indicato
dagli
studiosi
di
allora
come
la
più
probabile
sede
dell’antica
Troia),
sia
per
trovare
la
vera
città
che
il
piccolo
(e
il
grande)
Heinrich
aveva
sognato.
Nell’Iliade,
infatti,
si
trovano
al
riguardo
di
Troia
informazioni
geografiche
ritenute
non
trascurabili
da
Schliemann.
Quest’ultimo,
leggendo
più
e
più
volte
l’Iliade,
si
era
ormai
fatto
un’idea
ben
precisa
del
sito
da
ricercare:
in
esso
dovevano
essere
presenti
due
sorgenti
(una
d’acqua
calda
e
una
d’acqua
fredda),
la
distanza
della
città
dalla
costa
doveva
essere
limitata
(visto
che
gli
eroi
descritti
da
Omero
l’avevano
percorsa
più
volte
al
giorno)
e il
perimetro
della
città
doveva
essere
tale
da
poter
essere
percorso
rapidamente
per
tre
volte
consecutive
da
uomini
dotati
di
una
straordinaria
forza
fisica
quali
Ettore
e
Achille.
Il
villaggio
di
Bunarbaschi
era
privo
di
tutte
queste
caratteristiche:
conteneva
quaranta
sorgenti
d’acqua
(da
cui
il
nome
di
Kirk
Gios,
cioè
Quaranta
Occhi)
con
una
temperatura
costante
di
circa
diciassette
gradi,
distava
ben
tre
ore
dalla
costa
ed
era
circondata
da
un
pendio
così
ripido
e
impervio
che
neppure
Achille
piè
veloce
avrebbe
potuto
percorrerlo
agilmente
per
tre
volte
consecutive!
Altro
dato
che
giustificava
le
perplessità
di
Schliemann
era
la
totale
assenza
a
Burnabaschi
sia
di
resti
di
mura
sia
di
frammenti
di
vasellame.
Così
si
espresse
l’archeologo
a
tal
riguardo:
«Sul
luogo
di
Micene
e
Tirinto
non
occorre
neppure
scavare,
ma
basta
esaminare
la
superficie
del
terreno
per
trovare
enormi
quantità
di
frammenti,
e
fra
10
000
anni
se
ne
troveranno
ancora
perché
il
terreno
non
contiene
altro.
Troia
è
stata
distrutta
soltanto
722
anni
prima
di
queste
città;
se
quindi
si
fosse
trovata
sul
luogo
che
viene
indicato,
sulle
alture
di
Burnabaschi,
ancor
oggi
senza
dubbio
dovrebbero
trovarsi
rovine
come
a
Micene
e
Tirinto,
giacché
le
costruzioni
ciclopiche
non
scompaiono
senza
lasciare
tracce,
e
dovunque
siano
esistite
abitazioni
umane
si
trovano
frammenti
di
mattoni
e
vasellame».
Dopo
essersi
pienamente
convinto
dell’impossibilità
che
Troia
sorgesse
sul
sito
di
Burnabaschi,
Schliemann
si
diede
da
fare
per
ritrovare
l’autentico
sito
archeologico.
Se è
del
tutto
vero
che
fu
Schliemann
a
scavare
sul
sito
di
Hissarlik
realizzando
una
delle
più
grandi
scoperte
della
storia
archeologica,
è
altrettanto
vero
che
l’intuizione
che
l’antica
Ilio
sorgesse
in
quel
luogo
fu
in
realtà
di
un
archeologo
americano,
Frank
Calvert.
Ciò
non
fu
mai
nascosto
dallo
stesso
Schliemann,
il
quale
affermò
in
tutta
sincerità:
«Dopo
aver
esaminato
attentamente
per
due
volte
tutta
la
pianura
di
Troia
condivisi
pienamente
la
convinzione
di
Frank
Calvert,
che
la
piattaforma
di
Hissarlik
indica
il
sito
dell’antica
Troia».
Le
caratteristiche
di
Hissarlik,
il
cui
nome
significa
palazzo,
coincidevano
con
la
descrizione
omerica.
L’unica
anomalia
riscontrabile
era
l’assenza
di
sorgenti.
Parlando
di
ciò
con
Calvert,
Schliemann
comprese
che
tale
fatto
potesse
essere
trascurato:
il
suolo
vulcanico
della
Troade,
infatti,
aveva
fatto
sparire
e
ricomparire
più
volte
nel
tempo,
in
seguito
ai
terremoti,
diverse
sorgenti
d’acqua
calda
e
fredda.
Ancor
prima
di
iniziare
gli
scavi
Schliemann
fu
pervaso
dalla
certezza
di
trovarsi
nel
posto
giusto,
tanto
da
immaginare,
osservando
il
panorama,
di
vedere
le
navi,
i
soldati
e le
battaglie
narrate
nell’Iliade.
Fu
nell’aprile
del
1870
che
l’archeologo
tedesco
diede
il
via
agli
scavi.
Durante
tale
attività,
non
priva
di
difficoltà
e
fatica,
Schliemann
fu
costantemente
assistito
e
supportato
dalla
moglie
ateniese
Sophie
Engastromenos,
appassionata
lettrice
dell’Iliade
(tanto
da
conoscerla
quasi
a
memoria).
Gli
scavi
mostrarono
la
presenza
a
Hissarlik
di
ben
nove
città
costruite
l’una
sopra
l’altra.
Se
da
un
lato
questa
scoperta
rivelava
ancora
una
volta
la
straordinarietà
storica
di
quel
luogo,
dall’altro
poneva
un’ulteriore
domanda
alla
quale
trovare
risposta:
quale
era,
tra
questi
nove
strati,
quello
che
aveva
ospitato
la
Troia
omerica?
Dall’analisi
dei
vari
strati
archeologici
Schliemann
dedusse
che
la
città
che
aveva
sempre
cercato
corrispondeva
al
secondo
o al
terzo
strato
partendo
dal
basso.
Stavolta
si
sbagliò.
La
grande
porta
ritrovata
in
questo
strato
non
era
in
realtà
la
Porta
Scea
così
come
il
tesoro
dal
quale
trasse
i
gioielli
aurei
con
cui
adornò
e
fotografò
la
moglie
Sophie
come
una
novella
Elena,
non
era
il
tesoro
di
Priamo.
L’archeologo
tedesco
non
seppe
mai
di
questo
errore
poiché
soltanto
dopo
la
sua
morte,
avvenuta
nel
1890,
fu
provato
che
lo
strato
prediletto
da
Schliemann
risaliva
a
circa
un
millennio
prima
della
guerra
di
Troia
e
che
quest’ultima
doveva
aver
avuto
luogo
nel
sesto
strato
partendo
dal
basso.
Sembra
paradossale
che,
in
preda
all’entusiasmo,
Schliemann
avesse
continuato
a
scavare
sempre
più
in
basso
distruggendo
così
parte
dei
resti
della
città
da
lui
tanto
sognata.
Tale
fatto
e le
successive
giuste
critiche
rivolte
al
suo
metodo
di
scavo
condotto
in
maniera
non
sempre
del
tutto
scientifica,
non
devono
però
mai
far
dimenticare
l’importanza
storica
di
questo
archeologo
autodidatta
che
se
certamente
commise
degli
errori,
altrettanto
certamente
ebbe
l’enorme
merito
di
rendere
Storia
ciò
che
fino
ad
allora
era
considerato
Mito.
A
proposito
dei
suoi
scavi
bisogna
inoltre
aggiungere
che
questi
migliorarono
enormemente
con
l’esperienza.
L’archeologo
che
scoprì
Troia
era
ancora
un
dilettante
ma
lo
stesso
archeologo
che
in
seguito
scavò
a
Micene
e a
Tirinto
era
ormai
uno
scavatore
scientifico.
Riferimenti bibliografici:
Heinrich
Schliemann,
La
scoperta
di
Troia,
a
cura
di
Wieland
Schmied,
trad.
it.
Di
Fausto
Codino,
Einaudi,
Torino
1995.