SULLa SCOPERTA DELLA Biblioteca
di Assurbanipal
enciclopedia ante litteram
di Massimo Manzo
Quando si pensa a una biblioteca
antica, la prima a saltare
inevitabilmente in mente è quella di
Alessandria d’Egitto, creata alla
fine del IV secolo a.C. da Tolomeo
Lago e divenuta simbolo dell’immenso
sapere accumulato nell’antichità.
Eppure, alcuni secoli prima della
sua fondazione, il mondo ne conobbe
un’altra altrettanto grande e ricca,
nota come “Biblioteca di
Assurbanipal”, dal nome del sovrano
assiro che la costruì. E se della
raccolta dei libri di Alessandria
non rimane più nulla, parte
dell’immensa collezione di
Assurbanipal ha resistito
all’incedere del tempo, venendo
ritrovata alla metà del XIX secolo
dall’esploratore e archeologo
britannico Austen Henry Layard. Un
tempo, si pensa che essa
comprendesse oltre 100mila testi di
tutti i tipi, riportati in tavolette
di argilla incise in scrittura
cuneiforme: da trattati astronomici
a preghiere, da opere di medicina
fino a poemi epici come la celebre
“Epopea di Gilgamesh”, una delle
storie mitologiche più note del
Vicino Oriente antico.
Oggi, ne rimane una collezione di
ben 30mila tavolette ammirabile al
British Museum. Il suo contenuto ha
fornito nel tempo una comprensione
approfondita della civiltà assira,
prima nota agli studiosi solo
attraverso la Bibbia o successivi
testi di autori classici. È proprio
da questa potente civiltà che
occorre iniziare la nostra
narrazione.
Dal IV millennio a.C., il fertile
territorio compreso tra i grandi
fiumi Tigri ed Eufrate vide il
sorgere delle prime grandi civiltà
della Storia. A partire da
quell’epoca, la Mesopotamia fu
abitata dapprima dai Sumeri e
Babilonesi, poi dagli Assiri, noti
come eccezionali guerrieri e
conquistatori, i quali ne presero il
posto tra il 1300 ca. e il 612 a.C.
L’impero assiro vide il suo nucleo
originario nella piccola città-stato
di Ashur, nel nord-est dell’attuale
Iraq, espandendosi in seguito su
un’area vastissima che comprendeva
zone oggi parte di svariati stati,
tra cui Turchia, Iran, Siria,
Giordania, Libano e Israele. Il
tutto, grazie alla sua prorompente
forza militare, per secoli
ineguagliata e temuta in tutto il
mondo antico. Dopo aver subito una
prima grande crisi nel XII secolo
a.C., tra il X e il IX secolo a.C.
l’Assiria conobbe un nuovo periodo
di crescita, culminato proprio nel
regno di Assurbanipal (noto come
Sardanapalo, Σαρδανάπαλος, nelle
fonti greche), che governò dal 669
al 631 a.C. A rifulgere era allora
la leggendaria Ninive, nei pressi
dell’attuale Mosul (Iraq), descritta
dalla Bibbia come una città tanto
grande quanto empia, emblema della
natura guerriera e crudele degli
assiri.
Autentica metropoli del mondo
antico, Ninive venne ampliata a
partire dal regno di Sennacherib
(705-681 a.C.) e sotto Assurbanipal
raggiunse l’apice della ricchezza.
Se vi fossimo entrati in quel
periodo attraversando una delle sue
maestose quindici porte monumentali,
vi avremmo trovato uno scenario da
favola: palazzi, parchi ricchi di
piante rigogliose, giardini abitati
da animali esotici ed edifici
religiosi adornati con sculture e
bassorilievi colossali, insieme a
sofisticate opere ingegneristiche
che comprendevano canali e
acquedotti. A spiccare erano, tra
gli altri, il tempio della dea
Ishtar, la residenza di Sennacherib,
definita “Palazzo senza rivali” e
sormontata da giganteschi portali
fiancheggiati da sculture di tori
alati dalla testa umana, e
ovviamente il palazzo reale di
Assurbanipal e la biblioteca in esso
contenuta. Noto con l’eloquente
appellativo di “re dell’universo”,
questi era in effetti una figura
straordinaria: a notevoli capacità
militari, con cui riuscì ad ampliare
i territori del proprio impero,
affiancò un notevole interesse per
la cultura. Era capace di scrivere
in accadico e sumerico, di dibattere
questioni teologiche insieme a
sacerdoti e indovini di corte e
persino di risolvere complessi
problemi matematici. Malgrado i suoi
eccellenti risultati su tutti i
fronti, tuttavia, il suo impero
tramonterà appena trent’anni dalla
sua morte e nel 612 a.C. la potente
Ninive cadrà distrutta da una
coalizione di Medi e Babilonesi.
Nella loro furia distruttiva, gli
assalitori misero a ferro e fuoco la
capitale incendiando anche il
palazzo di Assurbanipal, ma le
fiamme di quel terribile incendio
furono provvidenziali:
inavvertitamente, proprio il loro
calore preservò, “cuocendole”, le
tavolette di argilla all’interno
della biblioteca del re, risorte
miracolosamente millenni dopo.
Frattanto, però, dopo quella brutale
devastazione, Ninive non ritornò mai
più ai fasti passati. Rioccupato nel
corso delle epoche successive e
scomparso nel corso del Medioevo, il
sito delle sue rovine non era del
tutto ignoto ai viaggiatori che
passavano da quelle parti, ma le
campagne di scavo vere e proprie
iniziarono solo dal XIX secolo,
epoca in cui si accese l’interesse
europeo per le antichità
pre-classiche. Uno dei primi
contributi in tal senso arrivò dal
britannico Claudius James Rich
(1787-1821), seguito da un italiano,
il piemontese Paolo Emilio Botta
(1802-1870), che giunse in quelle
remote province intorno al 1842
nella veste di console francese di
Mosul. Personalità poliedrica e
intraprendente, Botta decise di
compiere delle indagini nell’area
della collina di Kuyunjik, intuendo,
sulla scia di Rich, che lì poteva
trovarsi traccia dell’antica
capitale assira. La sua intuizione
era corretta, ma ciò nonostante i
suoi scavi non furono portati a
termine, dato che qualche tempo dopo
l’italiano, incoraggiato da
rinvenimenti di rovine più
consistenti, si era spostato a
Khorsabad, a circa 20 km di
distanza, dove rinvenne i resti di
un palazzo reale di grandi
dimensioni. Si trattava, nello
specifico, della reggia sorta nella
capitale del regno assiro precedente
a Ninive, costruita dal sovrano
Sargon ii (al potere dal 721 al 705
a.C.). In ogni caso, l’operato di
Botta aprì definitivamente la strada
a nuove campagne di scavo e
l’accurato riassunto della sua
missione, intitolato Monument de
Ninive (1849) è oggi considerato
uno dei primi moderni “giornali di
scavo” nella storia
dell’archeologia.
A raccogliere l’eredità di Botta fu
una nuova schiera di archeologi che
ne continuarono il lavoro, primo tra
tutti il britannico Austen Henry
Layard. Nato a Parigi nel 1817 da
una influente famiglia di origine
francese, Bayard fu fin da piccolo
abituato a viaggiare seguendo i
frequenti spostamenti del padre e
nel corso della propria esistenza
vagò in cerca d’avventura in Europa
e in Asia, passando una buona fetta
della prima giovinezza in Italia, a
Pisa e Firenze, dove si innamorò
dell’arte e della cultura italiana.
In lui, il desiderio di esplorare i
luoghi dell’antica Assiria fu
stimolato dall’incontro con
l’ambasciatore britannico presso
l’impero ottomano, Sir Stratford
Canning, l’uomo che finanzierà la
sua prima spedizione a Ninive.
All’epoca, pur essendo ancora
giovane (non aveva ancora
trent’anni) Henry aveva già un
grosso bagaglio di esperienze alle
spalle: poco prima di conoscere
Canning aveva peregrinato per mesi
in Persia al seguito delle tribù
nomadi dei Bakhtiari, per poi far
tappa a Costantinopoli. Lì, nel 1845
il diplomatico inglese lo aveva
inviato a svolgere una prima
spedizione nei pressi di Mosul, dove
iniziò la propria attività di scavo
a Nimrud e Ninive insieme
all’iracheno Hormuzd Rassam,
considerato un pioniere tra gli
archeologi di origini mediorientali.
Tornato in Inghilterra nel 1847 al
termine di una feconda missione,
Layard renderà note le proprie
scoperte nel volume Nineveh and
Its Remains, impressionando gli
intellettuali d’oltremanica. Due
anni dopo ritornerà in quelle
regioni, continuando la sua opera
con il supporto del governo
britannico. A Ninive, nel 1849
ritroverà il “palazzo senza rivali”
di re Sennacherib, mentre nella
primavera dell’anno seguente
riporterà finalmente alla luce
insieme a Rassam una prima parte
della collezione di tavolette
all’interno del palazzo di
Assurbanipal. Così scriveva
ricordando la scoperta che lo
renderà noto: «Le camere che sto
descrivendo sembrano essere state un
deposito nel palazzo di Ninive per
tali documenti. All’altezza di un
piede o più dal pavimento ne erano
interamente piene; alcuni interi ma
la parte più significativa spezzata
in molti frammenti, probabilmente
per il crollo avvenuto nella parte
superiore dell’edificio. Erano di
diverse dimensioni; le tavolette più
significative erano piatte e
misuravano circa 9 pollici per 6½
pollici (22,86 cm x 16,5 cm); le più
piccole erano leggermente convesse,
e alcune non erano più lunghe di un
pollice, con solo una o due righe di
scrittura. I caratteri cuneiformi
sulla maggior parte di esse erano
singolarmente nitidi e ben definiti
ma in alcuni così minuti da essere
quasi illeggibili senza una lente di
ingrandimento».
Quello era solo l’inizio di un
percorso che avrebbe portato, negli
anni seguenti, a spedizioni
altrettanto proficue, che
permetteranno di recuperare 30.943
tavolette e frammenti, oggi esposte
al British Museum. Seguendo il
percorso tracciato da Layard, che
negli anni seguenti si dedicherà
alla carriera politica e diplomatica
morendo nel 1894, Rassam ritrovò
un’altra ampia serie di tavolette e
successive generazioni di archeologi
restituiranno al mondo la prima
biblioteca della storia.
La grande aspirazione di
Assurbanipal era stata quella di
creare un luogo che oltre a fungere
da archivio ufficiale del regno,
raccogliesse tutto lo scibile umano.
Il re assiro aveva molto a cuore
l’organizzazione della sua
biblioteca, tanto da fornire
indicazioni agli scribi e dirigere
la sistemazione e persino la
modifica di alcuni scritti. A Ninive,
aveva convogliato negli anni tutti i
testi conservati allora nei
principali centri babilonesi e
assiri, compresi quelli custoditi
nei templi. Il risultato era stata
la creazione della più
impressionante raccolta di documenti
che si fosse vista fino ad allora. I
numerosi testi arrivati fino a noi
costituiscono dunque un patrimonio
inestimabile che è stato utilissimo
agli studiosi per conoscere “senza
filtri” non solo la civiltà assira,
ma l’intera cultura mesopotamica che
l’aveva preceduta.
La collezione reale era immensa e
comprendeva testi medici, filosofici
e matematici, preghiere, canzoni,
testi di astrologia, rituali magici,
profezie (usate dal re per
comunicare con gli dei) e poi ancora
raccolte giuridiche, inventari,
contratti, testamenti, lettere di
corte e vari altri documenti
amministrativi. Da tutti questi
scritti unici esce il vivido
spaccato della vita e dei costumi di
una civiltà evoluta e per molti
aspetti “moderna”. La loro
decifrazione è stata spesso una
scoperta nella scoperta, come
dimostra la vicenda dell’assiriologo
George Smith (1840-1876), che nel
1861 notò come in alcune di esse era
narrata la storia di un grande
diluvio, molto simile alla vicenda
biblica dell’arca di Noè. Non si
tratta del solo scritto celebre: un
altro altrettanto famoso è una copia
il Codice di Hammurabi, la prima
raccolta di leggi stilata nel XVIII
secolo a.C. dall’omonimo regnante
babilonese, e quello dell’Epopea di
Gilgamesh, testo che più di
qualsiasi altro ha influenzato la
cultura dell’oriente antico,
incentrato sulle gesta del mitico
eroe e considerato il primo poema
epico della storia dell’umanità.
Pensando al patrimonio eccezionale
che quella biblioteca ci ha
restituito, non paiono esagerate le
parole con cui il sovrano assiro
aveva voluto autocelebrarsi: «Io,
Assurbanipal, re dell’universo, a
cui gli dèi hanno conferito
intelligenza, che ha acquisito acume
penetrante per i dettagli più
reconditi dell’erudizione
scientifica (nessuno dei miei
predecessori aveva alcuna
comprensione di tali argomenti), ho
posto queste tavolette per il futuro
nella biblioteca di Ninive per la
mia vita e per il benessere della
mia anima, per sostenere le
fondamenta del mio nome regale».