N. 86 - Febbraio 2015
(CXVII)
LA SCOMPARSA DEI PITTI
tra genocidio e assimilazione
di Anna Bernardo
Tra
il
IX e
il X
secolo
i
Vichinghi
si
insediarono
nel
nord
della
Scozia,
nelle
Orcadi
e
nelle
Isole
Shetland,
entrando
di
conseguenza
in
contatto
con
la
popolazione
locale:
i
Pitti.
In
seguito
a
questo
incontro
la
lingua
parlata
da
questa
popolazione
scomparve
lasciando
pochissime
tracce
in
queste
aree
e
generando
un
lungo
dibattito
tra
archeologi,
storici
e
linguisti.
Ad
oggi
non
solo
la
cronologia
resta
incerta,
ma
non
si
trova
ancora
un
accordo
in
merito
alla
natura
e
alle
implicazioni
di
tale
incontro.
Ma
chi
erano
i
Pitti?
Il
termine
deriva
da
un
soprannome
dato
dai
Romani
ad
un
popolo
che
dipingeva
il
proprio
corpo
e
che
viveva
in
quella
che
oggi
chiamiamo
Scozia
(Burns,
W.E.
2009).
La
prima
fonte
scritta
risale
al
297
d.C,
il
che
ha
portato
molti
storici
a
pensare
che
questa
popolazione
non
fosse
presente
nell’area
prima
di
questa
data
(Ritchie,
A.
1994).
In
seguito,
nella
sua
Historia
Norvegiae
(XII
secolo)
un
monaco
descrive
i
Pitti
come
“Pigmei
che
vagano
la
mattina
e la
sera,
ma
che
a
metà
giornata
perdono
la
loro
forza
e si
nascondono
in
buchi
sotto
terra”.
Per
quanto
riguarda
la
loro
lingua,
Beda
il
Venerabile
parla
nella
Historia
Ecclesiastica
(VIII
secolo)
di
una
lingua
Pictorum
affermando
che
i
Pitti
parlavano
una
lingua
totalmente
diversa
rispetto
alle
altre
popolazioni
della
Britannia.
Allo
stesso
modo
nella
Vita
di
Columba
si
parla
di
come
quest’ultimo
nel
visitare
la
terra
dei
Pitti
avesse
bisogno
di
un
interprete.
Nel
XIX
secolo
venne
alla
luce
un’iscrizione
in
alfabeto
ogamico,
la
quale
portò
i
ricercatori
a
pensare
che
la
lingua
parlata
da
questo
popolo
non
potesse
essere
inclusa
tra
le
lingue
Indo
–
Europee
(Jackson,
K.H.
1980).
Tuttavia,
altre
teorie
sostengono
che
la
lingua
dei
Pitti
non
fosse
altro
che
una
diversa
forma
di
Gaelico
(Dunbavin,
P.
1998).
Purtroppo
resta
difficile
arrivare
ad
una
conclusione
univoca
poiché
tutti
i
materiali
a
disposizione
sono
generalmente
o
nomi
di
persona
(come
due
versioni
di
una
lista
di
Re
Pitti
la
quale
ha
subito
però
molti
errori
durante
la
trascrizione)
o
toponimi
(Lloyd
&
Laing
1994).
Considerando
in
particolar
modo
tale
scarsità
di
toponimi
e di
evidenze
archeologiche,
molti
ricercatori
come
Brian
Smith
sostennero
quella
che
è
conosciuta
come
la
“Teoria
del
Genocidio”.
Secondo
questi
studiosi
vi
fu
la
soggiogazione
e lo
sterminio
dei
Pitti
e la
conseguente
scomparsa
della
loro
lingua
(Smith,
B.
2001).
Tuttavia,
tali
mancanze
linguistiche
e
archeologiche
possono
portare
anche
ad
un’altra
interpretazione
e di
conseguenza
ad
un’altra
conclusione
in
cui
la
violenza
non
è
così
preponderante.
In
primo
luogo,
non
necessariamente
i
pochi
oggetti
Pitti
trovati
in
insediamenti
Vichinghi
devono
essere
interpretati
come
segno
di
schiavitù.
Essi
possono
anche
essere
visti
come
forma
di
rispetto
delle
tradizioni
e
della
cultura
dei
nativi
da
parte
dei
Vichinghi.
In
poche
parole,
come
forma
di
integrazione.
In
secondo
luogo
se
vi
fosse
stato
un
genocidio
dovrebbe
almeno
emergere
una
fossa
comune
come
è
avvenuto
a
Talheim.
I
ricercatori
a
sfavore
della
“Teoria
del
Genocidio”
hanno
preferito
invece
far
riferimento
a
quelle
fonti
in
cui
le
Orcadi
e le
Isole
Shetland
erano
definite
come
“isole
vicino
alla
terra
dei
Pitti”,
implicando
così
che
tali
luoghi
fossero
meno
popolati
rispetto
all’attuale
Scozia
e di
conseguenza
“meno
Pitti”
(Cummins,
W.A.
2001).
Questo
potrebbe
spiegare
secondo
Wainwright
come
mai
nelle
Orcadi
e
nelle
Isole
Shetland
vi è
una
mancanza
di
toponimi
precedenti
all’arrivo
dei
Vichinghi,
mente
in
Scozia
sono
ancora
presenti
alcuni
toponimi
con
prefisso
pit
–
(porzione
di
terra)
e
che
potrebbero
avere
radici
nella
lingua
dei
Pitti
(Wainwright,
F.T.
1980).
Secondo
altri
studiosi
i
Vichinghi
cambiarono
invece
completamente
i
toponimi,
poiché
quelli
utilizzati
precedentemente
risultavano
loro
incomprensibili.
Tuttavia
non
vi è
nessuna
necessità
che
un
toponimo
venga
capito
e
come
suggerisce
Fellow
–
Jensen,
ci
deve
essere
un’altra
ragione
alla
sostituzione,
quale
ad
esempio
la
mancata
comunicazione
tra
le
due
popolazioni
(Fellows-Jensen,
G.
1984).
Micheal
Barnes
arricchisce
questa
visione
sostenendo
che
nonostante
il
mancato
interesse
nei
confronti
dei
nativi,
una
forma
di
comunicazione
deve
pur
essere
esistita
poiché
la
Pietra
di
Bressay
trovata
nelle
isole
Shetland
nel
1850
ne è
la
dimostrazione
(Barnes,
M.
1998).
Essa
infatti
porta
le
tracce
di
una
lingua
mista
tra
quella
dei
Pitti
e
quella
dei
Vichinghi
tra
il
IX e
il X
secolo
(Stevenson,
R.B.K.
1980).
Ma
se
vi
fu
un
periodo
di
coesistenza
come
mai
non
vi è
traccia
di
questa
antica
lingua?
Secondo
un’ipotesi
affascinante
proposta
da
Richards,
i
nativi
scelsero
di
loro
spontanea
volontà
di
adottare
i
toponimi
proposti
dai
Vichinghi
(Richards,
J.D.
2005).
È
probabile
infatti
che
pur
essendoci
la
volontà
di
alcuni
Pitti
di
continuare
ad
utilizzare
i
propri
toponimi,
quelli
impiegati
dalla
potente
aristocrazia
Vichinga
furono
poi
quelli
assimilati
nelle
fonti
scritte
per
la
regola
secondo
la
quale
la
storia
è
sempre
scritta
dal
più
potente
(Richards,
J.D.
2005).
Di
conseguenza
possiamo
anche
assumere
che
fosse
più
strategico
per
i
nativi
adottare
la
lingua
parlata
dai
Vichinghi
al
fine
di
essere
accettati
tra
la
loro
aristocrazia
(Bäcklund,
J.
2001).
In
conclusione
possiamo
forse
parlare
di
un’immigrazione
su
larga
scala
seguita
da
una
dominazione
politica,
linguistica
e
culturale
accompagnata
da
una
coesistenza
tra
due
identità
e da
un
lungo
periodo
di
bilinguismo
(Bäcklund,
J.
2001).
Nonostante
alcuni
possibili
conflitti,
le
cause
della
scomparsa
della
lingua
dei
Pitti
non
vanno
ricercate
in
un
contesto
di
violenza,
ma
piuttosto
in
una
pacifica
e
graduale
assimilazione
(Ritchie,
A.
2011).
Riferimenti
bibliografici
Bäcklund,
J.
(2001).
War
or
Peace?
The
relations
between
the
Picts
and
the
Norse
in
Orkney.
Northern
Studies
36.
p.
33 –
47.
Barnes,
M.
(1998).
The
Norn
Language
of
Orkney
and
Shetland,
p.8.
Burnes,
W.E.
(2009).
Brief
History:
A
Brief
History
of
Great
Britain.
Facts
On
File.
New
York
Cummins,
W.A.
(2001).
The
lost
Language
of
the
Picts.
Pinkfoot
Press.
p. 1
–
90.
Dunbavin,
P.
(2001).
Pictish
and
ancient
Britons:
an
explanation
of
Pictish
origins.
Long
Eatonm,
Nottingham:
Third
Millennium
Pub.
Fellows-Jensen,
G.
(1984).
Viking
settlement
in
the
Northern
and
Western
Isles—the
place-name
evidence
as
seen
from
Denmark
and
the
Danelaw,
in
Alexander
Fenton
and
Hermann
Pálsson
eds.,
The
Northern
and
Western
Isles
in
the
Viking
World,
Edinburgh,
p.152.
Jackson,
K.H.
(1980).
‘The
Pictish
language’,
in
F.T.
Wainwright
ed.,
The
Problem
of
the
Picts,
Perth,
p.152.
Lloyd,
R. &
Laing,
J.
(1994).
The
Picts
and
the
Scots.
Stroud,
Sutton.
p. 1
–
21.
Richards,
J.D.
(2005).
Vikings:
a
very
short
Introduction.
Oxford.
Oxford
University
Press.
p.
88 –
94.
Ritchie,
A.
(2011).
The
Viking
Colonists.
BBC
History.
17
Febbraio
2011.
Ritchie,
A.
(1994).
Perceptions
of
the
Picts:
From
Eumenius
to
John
Buchan.
Groam
House
Museum
Trust.
Smith,
B.
(2001).
The
Picts
and
the
Martyrs
or
did
Vikings
kill
the
Native
Population
of
Ornkey
and
Shetland.
Northern
Studies
36.
p. 7
–
32.
Stevenson,
R.B.K.
(1980).
Pictish
art.
In:
Frederick
Threlfall
Wainwright
(Hrsg.).
The
Problem
of
the
Picts.
Melven
Press,
Perth.
Wainwright,
F.T.
(1980).
The
Problem
of
the
Picts,
Edinburgh:
Nelson.