N. 84 - Dicembre 2014
(CXV)
A DIFESA DELL’AQUILA
SCLAVI E GRADELLA: BANDIERE DI UN CALCIO CHE FU
di Andrea Bajocco
Con
il
termine
“bandiera”
non
si
indicano
soltanto
quei
giocatori
che
hanno
militato
per
anni
con
la
stessa
maglia,
a
volte
senza
mai
tradirla.
Possono
essere
definiti
“bandiere”
anche
quelli
che
per
la
propria
squadra
hanno
dato
tutto,
spesso
ricevendo
poco
e
niente
in
cambio.
Eroi,
leggende,
esempi
di
fierezza
e
coraggio
tali
da
spingersi
fino
all’estremo
pur
di
aiutare
i
compagni.
Tra
questi,
c’è
addirittura
chi
è
arrivato
a
mettere
a
repentaglio
la
propria
incolumità
per
la
maglia
indossata.
Ci
sono
poi
storie-limite,
in
cui
i
protagonisti
hanno
preferito
rinunciare
a
una
carriera
gloriosa
piuttosto
che
vedersi
con
un’altra
casacca
addosso
e un
altro
stemma
sul
petto,
all’altezza
del
cuore.
Storie
d’altri
tempi?
Certamente.
Storie
da
film?
Sì,
ma
non
solo.
Storie
d’amore,
d’onore,
di
uomini
valorosi,
di
tempi
in
cui
il
calcio
non
si
basava
ancora
soltanto
su
tecnica
e
vil
denaro.
Siamo
a
Roma,
negli
anni
Venti.
Ezio
Sclavi,
di
professione
“portiere
della
Stradellina”
senza
neanche
una
presenza
all’attivo
lascia
la
natìa
Stradella
(piccolo
comune
Lombardo)
per
intraprendere
il
servizio
militare
nella
Capitale.
Qui,
durante
un
torneo
estivo,
viene
notato
da
emissari
della
Lazio
che
lo
vogliono
a
tutti
i
costi,
lo
ingaggiano
e lo
buttano
nel
bel
mezzo
della
mischia,
nonostante
la
sua
inesperienza.
Senza
paura
Sclavi
si
prende
il
posto
da
numero
uno
e
difende
i
pali
della
Lazio
nel
biennio
1923-25,
al
termine
del
quale
ottiene
il
congedo
militare
insieme
a
Vojak
e
Cattaneo,
anch’essi
tesserati
della
squadra
capitolina.
L’intenzione,
comune
a
tutti
e
tre
i
calciatori,
era
quella
di
continuare
a
giocare
nella
Lazio
alla
fine
dell’anno
vengono
spediti
a
cercare
fortuna
al
Nord.
Sclavi,
nonostante
avesse
dichiarato
che
pur
di
rimanere
si
sarebbe
accontentato
del
solo
vitto
giornaliero,
viene
ceduto
alla
Juventus
con
la
quale,
pur
giocando
soltanto
una
partita
(tra
l’altro
sulla
linea
mediana
del
campo),
vince
lo
scudetto
dopo
aver
battuto
per
7-1
e
5-0
l’Alba
Roma
nella
doppia
finale.
A
campionato
concluso,
la
squadra
Campione
d’Italia
vuole
rinnovargli
il
contratto
ma
lui
declina
l’offerta.
La
sua
volontà
è
quella
di
tornare
alla
Lazio.
Grazie
alla
prestanza
fisica,
allo
straordinario
coraggio
nelle
uscite
alte
e
basse
e ai
riflessi
fuori
dal
comune,
il
portiere
(all’occorrenza
utilizzato
anche
da
centravanti...)
prende
per
mano
la
sua
squadra,
sia
nei
momenti
belli,
sia,
soprattutto,
in
quelli
più
difficili.
È il
23
giugno
1929.
Lazio
e
Napoli
si
affrontano
nello
spareggio
per
non
retrocedere.
Una
sconfitta
condannerebbe
i
romani
a
una
disastrosa
discesa
negli
inferi
della
Serie
B.
Nei
90
minuti
regolamentari
Sclavi
salva
con
parate
mostruose
la
porta
capitolina.
Al
triplice
fischio
finale
il
punteggio
si
ferma
sul
2-2.
Servono
i
tempi
supplementari
(che
all’epoca
si
chiamavano
“supplettivi),
serve
altro
lavoro.
Il
numero
uno
vola,
salta,
si
tuffa,
avvinghia
ogni
pallone
passi
davanti
ai
suoi
occhi.
Il
2-2
viene
difeso
con
coraggio
e
caparbietà.
C’è
bisogno
di
un
rematch
per
stabilire
chi,
tra
Lazio
e
Napoli,
deve
subire
l’onta
della
retrocessione.
Tuttavia,
con
le
nuove
regole
che
prevedono
la
Serie
A a
18
squadre,
tale
incontro
sarà
cponsiderato
nullo:
Lazio
e
Napoli
sono
entrambe
salve.
Il 7
dicembre
1930
è il
giorno
del
derby
contro
la
Roma.
La
partita
termina
1-1,
ma
quando
Volk
si
presenta
a tu
per
tu
con
Sclavi,
questi
gli
si
scaraventa
contro
incurante
dei
rischi.
Il
portierone
salva
il
risultato
ma
viene
colpito
violentemente
alla
testa.
Sorte
addirittura
peggiore
gli
spetta
contro
l’Alessandria,
in
trasferta.
Dopo
l’ennesimo
colpo
ricevuto
su
quella
testa
così
dura
e
granitica,
il
portiere
cade
a
terra
privo
di
sensi.
Partita
finita?
Neanche
per
scherzo.
Non
sarà
di
certo
una
ferita
lacero-contusa
dietro
a un
orecchio
a
fermare
Ezui
Sclavi.
Come
se
non
bastasse,
poi,
il
destino
avverso
gli
riserva
nel
proseguio
del
match
un
altro
duro
colpo,
questa
volta
al
mento.
La
leggenda
racconta
che
dal
taglio
si
potevano
addirittura
vedere
le
ossa.
L’arbitro
prega
i
dirigenti
della
Lazio
di
portare
all’ospedale
Sclavi,
ma
ogni
tentativo
risulta
vano.
Il
portiere
decide
di
rientrare
nonostante
abbia
la
testa
completamente
bendata.
La
Lazio
vince
per
due
reti
a
uno
e
una
volta
tornati
a
Roma
una
medaglia
d’oro
viene
regalata
dalla
Lazio
a
Sclavi
per
l’onore
con
cui
ha
difeso
i
pali
nonostante
gli
infortuni.
Le
stagioni
passano
con
Sclavi
grande
protagonista
con
la
Lazio,
con
la
Nazionale
e
con
la…
Juventus.
Già,
perché
allora
era
possibile
prestare
giocatori
ad
altre
squadre
se
queste
ne
avevano
bisogno,
e la
Lazio
lo
girò
alla
Vecchia
Signora
in
occasione
della
finale
di
Coppa
Europa
contro
lo
Sparta
Praga
in
trasferta
nella
città
boema.
La
squadra
torinese
perde
1-0,
ma
la
stampa
celebra
Sclavi
come
assoluto
protagonista
ed
eroe
della
partita.
La
carriera
straordinaria
di
Ezio
Sclavi
continua
di
questo
passo
–
partite
su
partite,
parate
su
parate
e
colpi
in
testa
su
colpi
in
testa
–
fino
al
1934,
quando
contro
il
Genoa
sente
un
forte
dolore
al
ginocchio.
Sembrava
inizialmente
niente
di
grave,
ma
tornato
in
campo
dopo
qualche
settimana,
accusa
un
dolore
ancora
più
forte
nello
stesso
punto.
Solo
quando
decide
di
uscire
dal
campo
di
sua
spontanea
volontà
tutti
si
rendono
conto
che
il
problema
è
serio.
Lesione
al
menisco,
recita
il
referto
medico.
Una
formalità
con
le
tecnologie
di
oggi,
ma
all’epcoa
si
trattava
di
un
intervento
quantomeno
rischioso.
Difatti
non
andò
per
il
meglio,
tant’è
che
Sclavi
si
dovette
operare
due
volte,
dopo
che
la
prima
ebbe
esito
negativo.
Tornato
a
disposizione,
la
Lazio
–
che
intanto
si
era
premunita
con
Blason,
portiere
della
Triestina
costato
175.000
lire
–
gli
annuncia
che
il
posto
da
portiere
spetta
ora
al
nuovo
acquisto.
Tuttavia,
per
ringraziare
Sclavi
degli
strepitosi
anni
passati
con
la
casacca
biancoceleste,
gli
viene
riconosciuta
la
lista
gratuita
con
la
quale
sarebbe
potuto
andare
a
giocare
ovunque
preferisse.
Il
mondo
intero
cade
adosso
a
Ezio
Sclavi,
che
da
sempre
non
vedeva
altro
che
quei
colori
e
quello
stemma,
che
da
sempre
non
vedeva
altro
che
la
Lazio.
Nella
stagione
successiva
Sclavi
si
allena
per
poche
partite
con
il
Messina.
Scoraggiato
e
deluso,
decide
di
arruolarsi
per
la
guerra
in
Etiopia,
lasciandosi
alle
spalle
il
calcio
giocato.
Mentre
Sclavi
inizia
a
giocare
con
la
Lazio,
nel
1923,
Uber
Gradella
è un
bambino
poco
più
che
in
fasce.
Ha
soltanto
due
anni
e
non
può
ovviamente
sapere
quante
cose
in
futuro
lo
avrebbero
accomunato
al
grande
Ezio
Sclavi.
A
partire,
ovviamente,
dal
folle
amore
per
la
Lazio.
Gradella
approda
nella
Lazio
di
Silvio
Piola
(con
il
quale
in
breve
tempo
stringe
un
forte
rapporto
d’amicizia)
nel
1940
e
per
quasi
tutta
la
decade
è
l’ultimo
baluardo,
a
volte
insormontabile,
della
compagine
capitolina.
L’amore
per
la
sua
squadra
lo
porta.
nell’immediato
dopoguerra
ad
accettare
una
strana
proposta
da
parte
della
Lazio.
Per
mancanza
di
soldi
al
posto
di
pagare
l’ingaggio
la
società
gli
propone
un
aiuto
per
aprire
un
negozio
di
materiale
sportivo,
il
Gradella
Sport,
che
fornirà
il
materiale
tecnico
alla
squadra
romana
fino
agli
anni
’60.
La
favola
di
Uber
Gradella
arriva
al
capolinea,
come
successo
per
Ezio
Sclavi,
a
causa
di
un
brutto
infortunio.
Il
13
febbraio
1949,
a
Bergamo,
va
di
scena
Atalanta-Lazio,
la
partita
che
sarebbe
costata
la
carriera
al
portierone
Laziale.
Questi,
anni
dopo,
ha
commentato
così
quella
giornata:
“[...]
Mancavano
due
minuti
alla
fine
della
partita
e
pareggiavamo
1-1.
Per
noi
quel
punto
era
vitale
e
l’avrei
difeso
a
tutti
i
costi.
Su
un
calcio
d’angolo
mi
gettai
senza
paura
incontro
ad
una
palla
nonostante
l’opposizione
di
diversi
avversari.
Caddi
a
terra
cercando
di
difendere
la
sfera,
ma
in
quel
preciso
momento
sette
giocatori,
tra
avversari
e
compagni
caddero
sul
mio
corpo.
Sentii
il
ginocchio
girarsi
completamente,
ma
decisi
di
rimanere
in
campo
per
i
minuti
finali...”.
Il
referto
è di
quelli
che
lasciano
poche
speranze:
frattura
di
entrambi
i
femori
e un
lungo,
lunghissimo
periodo
lontano
dal
calcio
giocato.
Ed
ecco,
ancora
una
volta,
che
la
storia
si
ripete.
Come
accaduto
con
Sclavi,
la
Lazio
–
che
si è
intanto
affidata
alle
solide
mani
di
Sentimenti
IV,
portiere
ex
Juventus
scomparso
il
28
novembre
2014
–
gli
concede
la
lista
gratuita.
Uber
Gradella
non
è
più
un
giocatore
della
Lazio.
Con
il
curriculum
maturato
negli
anni,
ci
sono
molte
pretendenti,
ma
nella
mente
e
nel
cuore
dell’ormai
ex
portiere
capitolino
c’era
sempre
e
solo
la
Lazio.
“Per
la
Lazio
sarei
sempre
pronto
a
tutto”.
“Lazio
oppure
niente!”.
E
così
è.
Uber
Gradella
lascia
il
calcio
nemmeno
trentenne
e
inizia
a
dedicarsi
in
pianta
stabile
al
suo
negozio
di
sport
e
alla
sua
Lazio
in
maniera
differente,
andando
allo
stadio
in
tram
come
un
semplice
tifoso.
Le
cosiddette
“bandiere”
sono
di
solito
impersonificate
da
centravanti
che,
a
suon
di
gol,
entrano
nel
cuore
della
gente.
Nel
caso
della
società
romana,
oltre
ai
sopracitati,
ci
sono
anche
due
uomini
straordinariamente
fedeli,
due
atleti
sfortunati,
due
grandi
portieri
che,
dopo
aver
giocato
con
la
Lazio
hanno
preferito
smettere
pur
di
non
“tradirla”,
lasciando
il
calcio
per
sempre
e
continuando
ad
avere
l’aquila
anziché
stampata
su
una
maglia,
ben
impressa
nel
cuore.