N. 34 - Ottobre 2010
(LXV)
LA CHIESA DI ROMA E L’IMPERO D’ORIENTE
ORIGINI E CAUSE DELLO SCISMA
di Christian Vannozzi
L’imperatore
Leone
III
nel
730
con
un
editto
contro
la
venerazione
delle
immagini
sacre
aprì
una
lunga
controversia
iconoclastica
in
seno
alla
Cristianità
che
durò
più
di
un
secolo.
Alcuni
storici
ritengono
che
Leone
III
era
stato
indotto
a
tale
scelta
da
una
forte
influenza
ebraico-islamica
contraria
alla
rappresentazioni
della
Divinità
in
qualsiasi
sua
forma.
Il
Califfo
aveva
infatti
proibito
ai
cristiani
l’uso
delle
immagini
sacre
nelle
loro
chiese
poiché
la
religione
islamica,
come
quella
ebraica,
riteneva
impossibile
rappresentare
un
Dio
trascendente.
Disposizioni
del
genere
erano
state
anche
adottate,
senza
alcun
obbligo,
da
alcune
comunità
religiose
cristiane
dell’Asia
minore.
Per
alcuni
storici
infatti
la
distruzione
delle
immagini
era
una
spontanea
presa
di
posizione
di
alcune
comunità
greco-ortodosse
per
“purificare”
la
fede
cristiana
dalle
degenerazioni
superstiziose
collegate
al
culto
delle
immagini,
e
per
ristabilire
la
trascendenza
di
Dio.
Leone
III
fu
deciso
ad
estirpare
dall’impero
la
superstizione
e la
venerazione
collegate
al
culto
delle
immagini,
sostituendole
con
immagini
imperiali.
Gli
iconoclasti,
non
condannavano
la
rappresentazione
del
Cristo
e di
altre
immagini
sacre,
ma
la
loro
venerazione
e
l’uso
distorto
che
se
ne
faceva
nell’impero.
Leone
III
e
suo
figlio
Costantino
volevano
restaurare
la
figura
dell’imperatore
restituendogli
anche
un
carattere
sacro,
come
nelle
figure
bibliche
di
Melchisedek
e
Davide.
Rimasto
unico
reggente,
Costantino
V,
convocò
un
concilio
ecumenico
al
quale
non
parteciparono
rappresentanti
della
Chiesa
di
Roma.
Il
concilio
dopo
7
mesi
di
accese
discussioni
condannò
il
culto
delle
immagini.
L’imperatore
subì
una
forte
opposizione
da
parte
dei
monaci
dell’impero,
i
quali
vivevano
grazie
alle
cospicue
donazioni
dei
pellegrini
che
andavano
nei
loro
monasteri
per
venerare
immagini
e
reliquie.
Costantino
V
arrivò
addirittura
a
denunciare
come
nestoriani
coloro
che
continuavano
a
venerare
le
immagini,
poiché
affermava
che
rappresentare
Cristo
significasse
vedere
in
lui
solo
il
lato
umano
e
non
anche
quello
divino.
La
lunga
controversia
creò
un
forte
attrito
nei
rapporti
tra
la
Chiesa
di
Roma
e
l’impero,
che
già
si
erano
deteriorati
per
l’esoso
fiscalismo,
che
colpì
anche
la
chiesa,
dovuto
alle
guerre
contro
gli
arabi.
Inoltre
il
decreto
iconoclastico
colpì
una
religiosità
occidentale
radicata
nel
culto
delle
immagini.
Quando
il
re
Longobardo
Astolfo
conquistò
la
roccaforte
bizantina
di
Ravenna,
il
papato
e la
curia
romane
iniziarono
a
dubitare
che
l’impero
fosse
in
grado
di
difendere
Roma.
Nel
754
a
Ponthion,
in
Francia,
la
convergenza
in
funzione
anti-
longobarda
tra
Papa
Stefano
II e
Pipino
il
Breve,
re
dei
franchi,
mentre
poneva
le
premesse
per
la
formazione
di
un
estesa
signoria
territoriale
del
vescovo
di
Roma,
conduceva
a un
progressivo
allontanamento
della
chiesa
romana
dall’egida
politica
di
Costantinopoli.
Processo
che
terminò
con
l’incoronazione
ad
imperatore
del
Sacro
Romano
Impero
di
Carlo
Magno
la
notte
di
Natale
dell’800
a
San
Pietro.
I
territori
dell’esarcato
di
Ravenna,
strappati
da
Pipino
ai
longobardi,
non
vennero
infatti
restituiti
all’impero
bensì
donati
al
Papa
che
si
presentava
come
sovrano
temporale
dell’Italia
centrale
in
aperta
opposizione
al
dominio
bizantino.
L’impero,
occupato
in
oriente
con
i
bulgari
e
gli
arabi,
non
rispose
a
quella
che
fu
considerata
dall’imperatore
un’usurpazione
dei
territori
imperiali.
In
tale
contesto
l’incoronazione
di
Carlo
Magno
non
fu
che
l’esito
naturale
della
convergenza
in
atto
tra
il
regno
franco
e il
papato,
con
il
riconoscimento
della
suprema
autorità
politica
spettante
a
Carlo
per
le
molte
vittorie
su
tutta
la
Cristianità
latina.
La
restaurazione
dell’impero
ad
Occidente,
accrebbe
l’autonomia
del
papa
dall’impero
bizantino,
tanto
più
che
i
rapporti
tra
la
chiesa
latina
e
quella
greca
si
allentarono
ulteriormente
negli
anni
successivi.
L’avvento
dell’impero
carolingio
pose
formalmente
fine
alle
pretese
bizantine
sull’Italia.
Questo
significò
una
sensibile
perdita
di
prestigio
per
l’autocrazia
orientale,
non
più
ecumenica
agli
occhi
della
Cristianità
occidentale.
Di
fatto
l’impero
d’Oriente
riconobbe
a
Carlo
il
titolo
imperiale
in
cambio
della
restituzione
delle
città
costiere
e
delle
isole
dalmate
così
come
del
ducato
veneto
da
Chioggia
a
Grado,
che
tornava
ad
essere
ufficialmente
una
provincia
greca,
seppur
con
larga
autonomia.
Gli
imperatori
di
Costantinopoli,
riconoscevano
a
Carlo
non
il
titolo
di
imperatore
dei
romani,
che
rimaneva
una
loro
prerogativa,
ma
quello
di
rex
e
imperatore
dei
franchi
e
dei
longobardi.
Tale
precisazione
è
sottolineata
dalla
lettera
dell’imperatore
d’Oriente
ad
Antonino
Pio,
successore
di
Carlo,
che
viene
chiamato
“re
dei
longobardi
e
dei
franchi
e
che
viene
detto
anche
loro
imperatore”.
Terminata
la
disputa
iconoclastica
con
la
vittoria
del
“partito
dei
monaci”
favorevoli
alla
rappresentazione
delle
immagini,
un
nuovo
attrito
con
la
Chiesa
di
Roma
si
ebbe
con
l’elezione
al
soglio
patriarcale
di
Costantinopoli
del
letterato
Fozio,
uomo
senza
dubbio
saggio
ed
intelligente
che
però
scatenò
nel
861
una
disputa
di
supremazia
tra
le
due
sedi
patriarcali
e di
ortodossia
teologica
per
quanto
riguardava
lo
Spirito
Santo,
che
per
i
Greci
procedeva
dal
Padre
mentre
per
i
Latini
dal
Padre
e
dal
Figlio.
Questo
generava,
secondo
il
parere
di
Fozio,
confusione
nella
Trinità
su
quale
dovesse
essere
l’entità
suprema,
e
cioè
il
Padre.
Nell’867
Basilio,
consigliere
e
correggente
dell’imperatore
Michele
III,
dopo
aver
assassinato
il
sovrano
rimaneva
l’unico
reggente
dell’impero
con
il
preciso
compito
di
una
renovatio
imperi.
Un
primo
passo
fu
un
riavvicinamento
a
Roma
per
poter
consolidare
il
dominio
bizantino
sull’Italia
meridionale.
Per
dirimere
le
controversie
religiose
sorte
tra
le
due
sedi
patriarcali,
Basilio,
rimosse
Fozio
dall’incarico
di
patriarca
richiamando
Ignazio,
il
patriarca
precedente,
che
dopo
essere
stato
destituito
dall’imperatore
Michele
III
si
era
ritirato
in
un
convento.
Alla
morte
di
Ignazio,
venne
però
richiamato
Fozio,
il
quale
però
stabilì
un
compromesso
con
Roma
stabilendo
la
supremazia
del
patriarca
romano
sulla
Cristianità
occidentale.
Lo
scontro
con
il
papato
riprese
nuovo
vigore
sotto
il
patriarcato
di
Michele
Cerulario,
interprete
convinto
del
sentimento
nazionale
e
religioso
greco,
che
si
contrapponeva
al
pontefice
Leone
IX
risoluto
ad
affermare
il
primato
romano
nella
cristianità.
L’ombra
di
un
accordo
tra
i
normanni,
che
ormai
si
stavano
consolidando
nell’Italia
meridionale,
e il
papato
resero
possibile
una
politica
di
avvicinamento
tra
Roma
e
Costantinopoli,
generando
l’ostilità
del
patriarca
Michele,
che
temeva
che
l’imperatore
sacrificasse
l’autonomia
della
chiesa
greca
in
nome
della
ragion
di
stato.
La
visita
alle
chiese
latine
di
Costantinopoli
del
messo
pontificio
nel
1054
accolto
con
enormi
onori,
generò
una
disputa
tra
legato
pontifico,
patriarca
e
imperatore,
che
si
risolse
in
una
scomunica
a
vicenda
tra
le
due
chiese.
Michele
Cerulario
uscì
rafforzato
dalla
vicenda
del
1054
soprattutto
per
il
grande
prestigio
conseguito
presso
il
popolo
della
capitale
pronto
ad
esaltare
la
fierezza
e
l’autonomia
del
suo
agire
nei
confronti
di
Roma.
Per
l’impero
invece
lo
scisma
fu
tutt’altro
che
positivo,
in
quanto
segnò
in
modo
irreversibile
le
sorti
dell’Italia
meridionale
facilitando
il
definitivo
assestarsi
della
dominazione
normanna.
A
seguito
dello
scisma
svanì
infatti
ogni
possibilità
di
intesa
tra
Roma
e
Costantinopoli
in
funzione
anti-normanna
proprio
mentre
le i
rapporti
tra
le
province
Occidentali
e il
resto
dell’impero
andavano
sempre
più
disfacendosi.
Si
accelerò
invece
il
processo
di
avvicinamento
tra
i
normanni
e il
clero
latino,
desideroso
di
contrastare
l’egemonia
politico-culturale
bizantina
nell’Italia
meridionale.
Riferimenti bibliografici:
L.
Bossina
,
Teologia
come
problema
politico,
in
Quarta
Crociata:
Venezia
–
Bisanzio
–
Impero
Latino
M.
Gallina,
Bisanzio,
storia
di
un
impero
G.
Ostrogorsky,
Storia
dell’impero
bizantino