contemporanea
Scienza o scientismo?
brevi RIFLESSIONI tra passato
e presente
di Federico Fracassi
È pressoché pacifico che la parola
“scienza” abbia una propria estetica fin
dall’antichità, nella misura in cui il
comune sentire di ogni epoca ne
ha subìto il fascino sublime, in modi
diversi nello spazio e nel tempo. Non si
può quindi neanche escludere che la
parola abbia suscitato – e tutt’ora
rechi in sé – emozioni e comportamenti
contrastanti, del tutto o per nulla in
linea con l’essenza a cui essa
supplisce. Ma cosa sia la scienza, quale
sia la sua essenza e quando un uomo
possa dirsi scienziato sono
problemi specifici emersi in modo
evidente a partire dalla sistemazione di
tutto il sapere operata da
Aristotele: alle sue opere logiche, alla
sua Fisica e alla Metafisica
si deve far risalire la stessa
terminologia ereditata dal discorso
scientifico e dall’epistemologia
contemporanei.
In un certo senso dunque, qualsiasi
scienziato oggi come ieri ha guardato al
mondo e all’oggetto del suo studio
“attraverso gli occhi di Aristotele”,
cioè non solo attraverso il suo metodo,
ma in base alla concezione di
metodo e a tutto quanto egli derivò
criticamente sia dal suo maestro Platone
sia dalla cultura del suo tempo. Tanto
dovrebbe bastare a intendere quanto il
discorso scientifico sia oggi
internamente scisso e tragicamente
lontano in spirito dalla lettera
aristotelica, la cui persistenza nei
linguaggi attuali non può che provocare
una sensazione di straniamento
beckettiano a chiunque abbia anche solo
una conoscenza scolastica dell’autore
citato, o più in generale del pensiero
greco antico.
La logica intesa come analitica della
struttura formale generale della scienza,
o l’individuazione del concetto di
Sostanza come principio di
legittimazione ed equiparazione del
valore ontologico di tutte le scienze,
non sono i soli criteri in base ai quali
è opportuno denunciare l’attuale
parabola discendente del pensiero
scientifico, poiché non è affatto strano
che col passare dei secoli esso
acquisisca o perda certe
caratteristiche. Ciò che preoccupa è
piuttosto l’innaturale e spasmodica
ricerca di assoluta autonomia delle
singole scienze dalla originaria
dimensione umanistica a cui lo stesso
Aristotele le ascrisse, facendo
risiedere i loro princìpi – di ognuna
più o meno indirettamente – nella
Filosofia.
Ogni scienza è filosofia e la filosofia
stessa è il primus inter pares
delle scienze, perché indaga le cause
e i princìpi primi, l’Essere
e le cose eterne, il senso e
l’intelligibilità del mondo stesso. In
aperta polemica con la trascendenza
delle Idee platoniche e da vero amante
della Natura in ogni suo aspetto,
Aristotele sottrasse la possibilità di
una autentica e profonda conoscenza del
mondo all’esclusività del sapere divino
per restituirla alle capacità
speculative dell’intelletto umano, le
quali possono acquistare finanche
certezze se affinate con umiltà ed
esercizio di metodo.
Perfino il suo maestro può essere
considerato un mistico ma non proprio un
pensatore dogmatico. Questo accennato
confronto tra i magnifici Greci infatti
non vuole certo costituire un termine di
confronto con l’attuale deriva
religioso/dogmatica della comunicazione
scientifica e – con ogni probabilità –
del nerbo stesso della comunità
scientifica mondiale. Né potrebbe essere
un paragone adatto la Chiesa medievale,
che pure ricevette e sviluppò
straordinariamente il pensiero
scientifico greco, ad esempio
annoverando nel XII secolo filosofi del
calibro dell’aristotelico Tommaso
D’Aquino, al quale si riferisce un motto
importante per tutto il periodo della
filosofia Scolastica: scientia est
cognitio rerum per causas.
Tommaso rappresenta uno dei momenti
apicali del pensiero cristiano. Il suo
studio da solo sarebbe sufficiente a
smontare quell’infondata sequela di
pregiudizi tutt’ora diffusi sui “secoli
bui”, sulla “ignoranza medioevale”,
sulle damnatio memoriae e le
censure per eresia da parte della
Chiesa, le quali pure vi furono, ma non
riuscirono a bloccare significativamente
il fermento e la variegazione
filosofico-culturale crescenti in
Europa.
Talvolta addirittura le stimolarono non
intenzionalmente, come avvenne negli
anni immediatamente successivi alla
celebre condanna inflitta dal vescovo di
Parigi Ètienne Tempier (consacrato nel
1268) a ben 219 tesi sostenute dagli
aristotelici radicali, filosofi e
teologi d’alto profilo, laici e
chierici, i quali si videro costretti a
perfezionare i propri metodi di ricerca
e di comunicazione per far circolare i
loro studi nelle università anche al
costo di eludere la sentenza.
Naturalmente questi cenni pur
fondamentali non esauriscono
l’inesauribile discorso su cosa è stata
o cosa dovrebbe essere la scienza, non è
proprio del mestiere di storico
pretendere di applicare le stesse
categorie a tutte le epoche, quanto non
lo è di alcuna ricerca fare di tutta
un’erba un fascio. Ma quando,
sociologicamente, l’apologia del
relativismo si spinge troppo oltre, ecco
confondersi dialettiche e criteri fino
al fenomeno – paradossale per il
relativismo stesso – di considerare una
scienza assolutamente sovraordinata a
un’altra. In questo modo l’etica, come
avviene, si riduce a confine arbitrario,
labile e per lo più innocuo, al
desiderio potenzialmente infinito e
autodistruttivo dell’uomo perfettamente
rappresentato dall’odierna società di
mercato.
A posteriori, la famosa mano
invisibile – che il teorico del
liberismo Adam Smith istituì a metafora
del meccanismo “provvidenziale” di
autoregolamentazione del mercato –
straripa fuori dall’economia, si
radicalizza grottescamente e sdogana di
conseguenza un’etica frammentata in
“etichette” personalizzabili in base ad
esigenze di consumo, quasi sempre
eterodirette con mezzi invalsi nel
capitalismo tradizionale quali la
creazione/induzione di falsi bisogni e
la pubblicità subliminale. Qualsiasi
aspetto del mondo e della vita umana ne
risente, in questo caso la parola
“scienza”. Niente più che un erroneo ma
ormai canonizzato modo di riferirsi a un
particolare complesso industriale, con
relativo indotto.
Gli scienziati assumono un ruolo di
operai e attori economici (volenti o
nolenti, consapevoli o meno) costretti a
brevettare e vendere metaforicamente le
loro “verità” attraverso pubblicazioni
su riviste scientifiche a loro volta
legate a diversi centri economici e di
potere, affannandosi a far crescere e
difendere il loro H-index dalle
intemperie mediatiche, dalla concorrenza
su scala globale e dalla volubilità dei
gusti e dell’opinione pubblica.
Dal momento che sono stati resi dei
novelli brokers, sempre sull’orlo
del conflitto d’interesse come è ovvio
in un simile sistema, ci sarebbe da
chiedersi se e quale valore abbiano i
contenuti di una scienza rispetto ai
suoi attori diretti e indiretti, ed è
proprio qui che sta la grande differenza
con lo scientismo, che è invece
il già denunciato atteggiamento di
privilegio nei confronti della
tecnoscienza, del tecnoentusiasmo,
del culto della personalità scientifica
e del “progresso”. Resta da vedere,
soprattutto alle condizioni attuali,
quale progresso e secondo chi.
Certo è che il concetto di comunità
scientifica appare perduto, se per
comunità si intende uno spazio di
condivisione tra studiosi affiatati,
guidati dalla coscienza che più
intelletti in collaborazione sono meglio
di uno alla ricerca di un qualche bene
che possa dirsi “comune”. Non è
compatibile con lo scientismo attuale,
il quale presenta tratti comuni ad una
perversa religione, soprattutto perché
ipostatizza alcuni contenuti e/o autori,
non ammette che la ricerca torni sui
propri passi, è spesso accompagnato da
un risentito ateismo, è pregiudizievole
nei confronti dei quesiti posti da altre
discipline e sostiene radicalmente la
divisione delle due culture: quella
scientifica e quella umanistica.
La “vera scienza” dunque non è divina ma
è appannaggio di quanti credono
in essa come all’unica chiave per la
soluzione di tutti i problemi e
l’emancipazione finale, la quale,
favoleggiano alcuni, consisterebbe
proprio nel congedarsi dell’uomo dalla
sua stessa natura materiale e psichica
nei modi più fantasiosi ed inquietanti.
È quanto si può rintracciare anche in
numerosi e diffusi film di fantascienza,
romanzi o documentari di divulgazione.
Questi, pur essendo prodotti di fantasia
o rappresentazioni della realtà
subordinate ad esigenze di
intrattenimento, sono un mezzo come un
altro per produrre culture e
sottoculture in grado di espandersi e
sedimentarsi in un intelletto comune,
indipendentemente dal favore o lo
sfavore con cui l’individuo le
recepisce. L’eventualità di trascendere
o annullarsi attraverso l’unione di
scienza e tecnica non è mai stata
estranea ad un certo pensiero elitario,
ma ora attraverso globalizzazione e
comunicazione di massa sembra farsi
perfino “popolare”.
Non è assurdo qui distinguere il profilo
di una Gnosi che -in modi nuovi-
affligge ancora oggi non solo
l’accademia italiana. Un’accessibile e
generale definizione di Gnostico
la offre Origene (Alessandria d’Egitto,
185 o 186 d.C.-Tiro, 254 o 255 d.C.) uno
dei primi dottori della Chiesa ad aver
elaborato un grande sistema di filosofia
cristiana, che nel prologo del De
Principiis descrive il compito da
lui assunto: “Gli apostoli [...] ci
hanno tramandato con la più grande
chiarezza tutto ciò che hanno giudicato
necessario per tutti i fedeli, anche a
quelli più lenti nel coltivare la
scienza divina. Ma hanno lasciato a
quelli dotati dei doni superiori dello
spirito e specialmente della parola,
della saggezza e della scienza, la cura
di ricercare le ragioni delle
loro affermazioni. Su molti altri punti
essi si sono limitati all’affermazione e
non hanno dato alcuna spiegazione:
affinché quelli dei loro successori che
abbiano la passione della saggezza
possano esercitare il loro genio”.
Si può dire che almeno in Italia –
soprattutto dacché la gestione
dell’emergenza sanitaria lo ha posto in
primo piano – lo scientismo dogmatico
abbia sconfinato nella politica, che
intenda la storia della scienza come
parallela e superiore a quella umana e
lo faccia in modo lineare e continuo, o
magari intenda l’“emancipazione finale”
di cui sopra come un ragionare al di
là del bene e del male, ora tentando
di arrogarsi la primazia culturale in
ambito scientifico, così come fu per gli
Gnostici in ambito religioso, seppure in
essi non c’era confine tra vera scienza
e vera religione.
Quella odierna diviene così una nuova –
ma non certo la prima – forma di
pericolosa deriva culturale logicamente
incompatibile coi presupposti di un
assetto democratico egualitario come
quello descritto al titolo I della
Costituzione. Restano la vecchia
sensibilizzazione al dubbio e una certa
dose di “stoicismo” gli ingredienti
fondamentali per resistere all’angoscia. |