N. 100 - Aprile 2016
(CXXXI)
Scienza e potere in Francia alla fine dell’Antico Regime
Sull’opera di Charles Coulston Gillispie - PARTE I
di Valentina Riccio
Scienza
e
potere
in
Francia
alla
fine
dell’Ancien
Régime
è
un’opera
analitica
e
curata
sul
rapporto
maturato
tra
scienza
e
governo
durante
il
secolo
dei
lumi.
Questo
studio,
pubblicato
in
Italia
nel
1983,
è
frutto
delle
ricerche
di
Charles
Coulston
Gillispie
(1918-2015),
storico
della
scienza
e
professore
emerito
all’università
di
Princeton.
Gillispie,
nato
e
cresciuto
a
Bethlehem,
in
Pennsylvania,
frequentò
l’università
di
Wesleyan,
laureandosi
nel
1940,
e
proseguì
gli
studi
con
il
dottorato
di
ricerca
all’università
di
Harvard,
che
concluse
nel
1949.
Successivamente,
ottenne
la
cattedra
presso
il
Dipartimento
di
Storia
dell’università
di
Princeton
dove,
negli
anni
’60,
istituì
un
corso
di
Storia
della
Scienza.
Diresse
e
curò
personalmente
la
redazione
del
Dictionary
of
Scientific
Biography,
composto
di
sedici
volumi,
per
il
quale
ricevette
il
premio
Darthmouth
nel
1981.
Quel
riconoscimento
non
fu
il
solo
nella
sua
carriera:
vinse
altresì
il
Premio
Balzan
nel
1997,
“per
il
contributo
eccezionale
dato
alla
storia
e
alla
filosofia
delle
scienze,
grazie
ai
suoi
lavori
intellettualmente
vigorosi
e
precisi
e
alla
pubblicazione
di
uno
straordinario
strumento
di
lavoro”.
Come
altri
grandi
studiosi
del
suo
calibro,
Gillispie
fu
anche
direttore
degli
studi
associati
dell’École
des
Hautes
Études
en
Sciences
Sociales
di
Parigi.
Tra
le
sue
numerose
pubblicazioni,
le
più
famose
furono:
Genesi
e
geologia:
uno
studio
delle
relazioni
del
pensiero
scientifico,
teologia
naturale,
e
l'opinione
sociale
in
Gran
Bretagna,
1790-1850
(1951);
Il
criterio
dell’oggettività:
un’interpretazione
della
storia
del
pensiero
scientifico
(1960);
Lazare
Carnot,
Savant
(1971);
Scienza
e
potere
in
Francia
alla
fine
dell’antico
regime
(1980),
per
il
quale
vinse
il
premio
Pfizer;
Science
and
Polity
in
France.
The
revolutionary
and
napoleonic
years
(2004);
I
fratelli
Montgolfier
e
l'invenzione
del
trasporto
aereo,
1783-1784
(1983);
Pierre-Simon
Laplace,
1749-1827:
una
vita
nella
scienza
esatta
(1997);
Saggi
e
recensioni
di
storia
e di
storia
della
scienza
(2006).
Gli
studi
di
Gillispie
si
riflettono
pienamente
nell’opera
qui
presa
in
considerazione,
in
cui
l’autore
rivela
una
profonda
conoscenza
delle
materie
scientifiche,
e
gli
accurati
dettagli
bibliografici
degli
scienziati
citati
sono
certamente
da
collegare
alla
produzione
del
suo
Dictionary
of
Scientific
Biography.
Il
suo
interesse,
in
questo
caso,
verte
sul
rapporto
che
si
può
creare
tra
un
sistema
di
governo
e la
ricerca
scientifica.
Gillispie
affronta
questo
tema
nel
contesto
francese
ormai
imbevuto
di
cultura
illuministica
e
orientato
allo
studio
e
alla
ricerca.
Questa
scelta
trova
fondamento
nella
particolare
importanza
che
l’istituzione
statale
ebbe
in
Francia
nel
corso
dell’età
moderna.
Il
testo
è
finalizzato
sia
a
dimostrare
quanto
e
come
il
governo
di
antico
regime
possa
strumentalizzare
la
ricerca
scientifica
a
proprio
vantaggio,
finanziandola
per
poterla
rendere
anche
uno
strumento
di
consenso,
sia
quanto
la
ricerca
scientifica
possa
condizionare
il
governo.
Nella
prefazione,
l’autore
esordisce
dichiarando
che
«Questo
libro
è
scritto
con
la
consapevolezza
che
buona
parte
della
scienza
in
generale
ha
poco
o
nulla
a
che
vedere
col
governo,
e
che
buona
parte
del
governo
ha
poco
o
nulla
a
che
vedere
con
la
scienza,
ma
che
esistono
delle
intersezioni».
Quelle
intersezioni
sono
visibili
nelle
numerose
richieste,
da
parte
dell’amministrazione,
di
poter
acquisire
sapere
pratico
per
migliorare
il
governo
e
rinnovare
l’industria;
da
parte
degli
scienziati,
invece,
si
risolvono
in
sostegno
politico
ed
economico,
oltre
che
nel
riconoscimento
della
loro
situazione
professionale.
Lo
scopo
di
Gillispie,
come
si è
visto,
è
quello
di
ricostruire
una
storia
delle
intersezioni
tra
lo
stato
e la
scienza,
nel
momento
in
cui
esse
cominciano
ad
assumere
la
forma
di
Stato
moderno
e di
scienza
moderna.
Egli
stesso
definisce
la
sua
opera
una
«storia
civile
della
scienza
francese
pratica
alla
fine
dell’Illuminismo»,
per
l’evidente
nesso
che
il
mondo
scientifico
aveva
con
gli
affari
pubblici.
Secondo
l’autore,
alla
fine
dell’antico
regime
il
modello
relazionale
tra
scienza
e
governo
assunse
una
dimensione
generalizzata
rispetto
alla
sua
origine,
che
sta
in
un
momento
storico
anteriore,
e si
legò
alla
natura
stessa
di
scienza
e
politica.
In
pratica,
nacque
una
“storia
pubblica
della
scienza”.
Il
titolo
originale
dell’opera,
Science
and
polity
in
France
at
the
end
of
the
old
regime,
fa
senz’altro
riflettere
sul
contenuto
del
libro:
il
termine
polity
indica
propriamente
un
sistema
di
governo,
cosa
che
il
titolo
tradotto
in
italiano
non
riesce
a
rendere
espressamente.
La
traduzione,
infatti,
accosta
la
parola
potere
a
scienza
e in
questo
modo
non
chiarisce
come
la
ricerca
si
sia
concentrata
sul
rapporto
col
sistema
di
governo,
suscitando,
a
mio
avviso,
l’impressione
un
po’
troppo
generica
data
dal
significato
di
potere,
anche
se
quest’ultimo,
a
livello
editoriale,
risulta
più
accattivante.
Nel
corso
della
trattazione
Gillispie
non
manca
di
illustrare
dettagliatamente
le
grandi
scoperte
compiute
in
Francia,
per
lo
più
a
Parigi,
proprio
nel
XVIII
secolo,
di
cui
il
mondo
moderno
è
indubbiamente
debitore.
Lo
stile
profondamente
analitico
di
Gillispie
non
può
certo
prescindere
da
fonti
d’archivio,
come
gli
estratti
e i
saggi
scientifici
contenuti
nell’Histoire
et
mémoires
de
l’Académie
Royale
des
Sciences
de
Paris
e
nelle
Mémoires
de
la
Societé
Royale
de
Médicine.
La
bibliografia,
inoltre,
è
molto
ricca
ed
apporta
il
contributo
di
grandi
intellettuali,
tra
cui
Bloch,
Burkhardt,
Foucault,
Roche,
e di
grandi
philosophes
come
Condorcet,
Laplace
e
Lavoisier.
Il
testo
è
strutturato
in
tre
parti,
rispettivamente
dedicate
a
istituzioni,
professioni
e
applicazioni.
Gillispie
muove
da
fatti
e
istituzioni
perché,
a
suo
giudizio,
da
essi
è
possibile
cogliere
il
nesso
tra
scienza
e
storia.
Il
suo
percorso
inizia
con
l’analisi
del
rapporto
tra
stato
e
scienza
visto,
in
primo
luogo,
dalla
prospettiva
statale
e,
in
secondo
luogo,
da
quella
della
scienza;
prosegue
con
lo
sviluppo
di
tutti
quei
mestieri
strettamente
legati
alle
scoperte
scientifiche,
dedicando
un
ampio
spazio
alla
medicina,
per
poi
giungere,
nella
sezione
conclusiva,
ad
applicazioni
strettamente
ingegneristiche.
La
struttura
che
l’autore
ha
riservato
per
il
suo
testo
è
pienamente
coerente
con
quello
che
è
stato
lo
sviluppo
della
scienza
nel
corso
del
XVIII
secolo.
A
partire
dalla
pubblicazione
dei
Principia
mathematica
naturalis
philosophiae
di
Newton,
il
nuovo
modello
dell’universo
si
diffuse
in
tutti
gli
ambiti
e
presto
sostituì
l’immagine
del
vecchio
universo
cartesiano.
La
diffusione
della
cultura
scientifica
divenne
così
una
caratteristica
fondamentale
dell’Illuminismo,
ma
restava
il
problema
della
sua
divulgazione:
da
una
parte
la
nuova
mentalità
scientifica
coinvolse
i
gruppi
sociali
più
colti,
dall’altra
la
scienza,
con
la
sua
necessità
di
persuadere
il
pubblico,
accentuò
la
sua
operatività
e si
collegò
saldamente
al
mondo
della
tecnica.
Proprio
su
questo
legame
si
concentra
l’attenzione
di
Gillispie.
Nel
primo
capitolo,
intitolato
Lo
Stato
e la
Scienza,
l’autore
ricostruisce
il
percorso
costitutivo
delle
varie
istituzioni
scientifiche
a
partire
dal
governo
del
ministro
Anne-Robert-Jacques
Turgot,
barone
di
Laune,
ex
enciclopedista,
considerato
da
Voltaire
un
uomo
di
scienza.
In
qualità
di
ministro
nel
1774,
Turgot
si
affidò
alla
scienza
per
formulare
le
scelte
della
monarchia
di
Luigi
XVI.
Secondo
Gillispie,
il
governo
Turgot
costituiva
«l’inizio
del
moto
rivoluzionario
e
l’ultima
possibilità
di
evitarlo»,
quasi
potesse
rappresentare
una
conciliazione
tra
i
lumi
della
ragione
e
l’oscurità
del
governo
assoluto.
Non
a
caso,
Turgot
aveva
avuto
contatti
con
il
mondo
della
massoneria,
che
si
potrebbe
definire
una
realtà
limite
tra
l’antico
regime
e la
sua
fine.
Fu
il
conte
Maurepas,
capo
del
consiglio
della
corona,
a
proporre
la
nomina
di
Turgot
al
sovrano,
dopo
averlo
avuto
come
mentore
personale.
L’operato
di
Turgot
aveva
già
aperto
la
strada
agli
esperti
in
affari
pubblici:
egli
aveva
già
fatto
della
sua
città,
Limoges,
un
«laboratorio
dell’illuminismo».
Giunto
a
Parigi
in
qualità
di
giovane
avvocato,
conobbe
i
maggiori
enciclopedisti
e fu
proprio
d’Alembert
a
presentarlo
a
Voltaire,
ma
nel
momento
in
cui
la
censura
si
abbatté
sull’Encyclopédie
prese
le
distanze
dai
philosophes.
Fu
un
personaggio
fortemente
critico
nei
confronti
dell’esercizio
dell’autorità
e la
sua
carriera
fu
contraddistinta
dalla
vicinanza
alla
storia
e
alla
scienza.
Secondo
l’autore,
Turgot
apparteneva
alla
seconda
generazione
dell’Illuminismo,
quella
che
passò
dalla
critica
all’azione,
e
che
meglio
si
presterebbe
ad
un’analisi
di
tipo
venturiano.
La
sua
prima
opera
fu
uno
scritto
di
economia
politica,
poiché
«di
fatto
era
la
conoscenza
sull’economia
politica
che
permetteva
a
coloro
che
cercavano
di
essere
esperti
ed
informati
di
anticipare
gli
eventi,
di
guidare
le
scelte
in
rapporto
alla
realtà
e di
condizionare
le
opinioni
nella
pratica
dell’applicazione».
È
proprio
questo
il
punto
di
partenza
del
ragionamento
di
Gillispie,
ovvero
la
funzionalità
pratica
della
conoscenza,
che
con
il
ministero
Turgot
si
proietta
in
campo
politico
e,
come
si
vedrà,
sarà
sulla
ricerca
scientifica
che
si
concentreranno
gli
interessi
del
governo
francese.
Nei
confronti
della
comunità
scientifica
Turgot
si
pose
come
una
sorta
di
“mecenate”:
gli
studi
si
rivelarono
necessari
a
sostegno
della
sua
politica
indubbiamente
fondata
sulla
razionalità,
grazie
alla
quale
Turgot
aveva
già
salvato
la
sua
terra
d’origine.
Tra
il
1769
e il
1772
il
limosino
fu
colpito
da
una
grave
carestia,
e
Turgot
seppe
ribaltare
la
situazione
con
una
riforma
finanziaria
mirata
a
dare
una
base
razionale
alle
riscossioni
mediante
la
creazione
di
un
accurato
catasto.
Il
suo
massimo
impegno
stette,
inoltre,
nel
movimento
per
la
liberalizzazione
del
commercio
dei
grani
e,
anche
quando
fu a
capo
del
ministero,
la
questione
centrale
del
governo
riguardò
proprio
la
liberalizzazione
e la
stimolazione
dell’economia.
Turgot
dovette
perciò
affrontare
una
situazione
di
per
sé
complicata,
ma
resa
ancor
più
difficile
dalla
complessità
che
il
concetto
di
liberalismo
aveva
agli
occhi
dei
riformatori
poiché
non
si
riusciva
ad
immaginarlo
applicato
in
concreto.
Il
fallimento
della
sua
politica,
dunque,
venne
in
breve
tempo,
ma
non
soltanto
per
questo
motivo:
Turgot
cadde
principalmente
perché
le
sue
riforme
non
avevano
un
peso
politico
sufficiente
a
controbilanciare
la
coalizione
contro
di
lui,
formatasi
anche
per
via
della
sua
figura
impositiva
di
uomo
politico
che
denunciava
sempre,
con
vigorosa
espressione,
i
suoi
sentimenti.
Il
contributo
della
scienza,
secondo
Gillispie,
ebbe
una
fondamentale
importanza
in
quello
che
egli
definisce
non
un
passaggio
da
liberalismo
a
democrazia,
bensì
da
burocrazia
a
tecnocrazia.
Nella
sua
riforma
amministrativa,
Turgot
prestò
particolare
attenzione
ai
canali,
sfruttabili
a
livello
commerciale,
per
gestire
i
quali
si
affidò
agli
studi
di
idrodinamica.
Il
suo
impegno
si
concentrò
anche
sulla
prevenzione
delle
malattie
infettive
che
decimavano
la
popolazione
e,
in
questo
caso,
il
contributo
delle
accademie
di
medicina
e
veterinaria
si
rivelò
determinante.
L’idea
di
creare
una
scuola
veterinaria
dalla
quale
trarre
supporto
per
prendere
provvedimenti
volti
a
circoscrivere
le
epidemie
di
bestiame
non
fu
propriamente
di
Turgot,
ma
di
Bertin,
ex
intendente
le
cui
linee
guida
politiche
si
basavano
su
cautela,
miglioramento
delle
condizioni
igieniche,
e
terapeutica.
Turgot
si
prese
carico
dell’eliminazione
di
un’epidemia.
Sebbene
fosse
ancora
circoscritta
in
zone
provinciali,
era
necessario
eliminare
il
bestiame
infetto
e
stabilire,
con
tutti
i
mezzi
che
si
potevano
trarre
dalla
fisica
e
dalla
chimica,
se
fosse
possibile
modificare
l’aria
putrida
che
portava
il
contagio.
Avendo
completa
fiducia
in
queste
discipline,
nel
1776
Turgot
fece
anche
costituire
una
commissione
medica
che
doveva
essere
operativa
proprio
contro
le
epidemie
di
bestiame
e
dell’uomo.
Si
può
dire
che
Turgot
credesse
pienamente
in
quel
luogo
comune
di
cui
parla
anche
Tortarolo,
secondo
cui
«solo
la
libertà
di
indagine
e di
pensiero
poteva
permettere
i
progressi
terapeutici».
Il
contributo
scientifico
ebbe
un
ruolo
decisivo
anche
nel
progetto
di
riforma
costituzionale
di
Turgot,
che
però
non
venne
mai
esposto.
Esso
prevedeva
il
riordinamento
dello
stato
francese
su
base
rappresentativa,
con
un
sistema
composto
da
assemblee
di
villaggio,
assemblee
provinciali
e
una
nazionale.
Il
potere
legislativo,
però,
doveva
rimanere
alla
corona,
poiché
Turgot
non
credeva
nella
capacità
della
comunità
di
poter
legiferare.
Per
poter
riordinare
lo
stato
sul
piano
governativo
e
amministrativo,
occorreva
una
popolazione
istruita.
La
società,
però,
era
costituita
da
elementi
molteplici:
come
creare
un
sistema
razionale?
Il
disegno
di
Dupont
di
Nemours
suggeriva
la
costituzione
di
un
ministero
dell’istruzione.
Per
la
prima
volta
si
tradusse
l’idea
di
un
sistema
istituzionale
in
azione.
Turgot
si
circondò
di
grandi
studiosi,
soprattutto
da
matematici
come
Condorcet
e
Laplace,
che
con
i
loro
studi
contribuirono
a
regolare
i
conti
finanziari
dello
stato
e le
rilevazioni
demografiche
inerenti
ad
essi.
Nel
1771
incaricò
allora
l’Accademia
delle
Scienze
di
appropriarsi
dei
dati
dei
registri
parrocchiali
e di
elaborarli.
Per
questo,
Laplace
progettò
accurati
metodi
di
campionatura
anche
se,
in
Francia,
le
rilevazioni
effettive
si
avranno
solo
a
partire
dal
1801.
I
collaboratori
di
Turgot,
dunque,
si
dedicarono
soprattutto
al
problema
della
costituzione
di
un’amministrazione
razionale.
Condorcet,
in
particolare,
aveva
proposto
di
sostituire
assemblee
elettive
agli
stati
corporativi
locali,
per
gestire
amministrazione
e
finanze.
Turgot
ricorse
alla
scienza
anche
per
l’industria
delle
armi,
in
cui
l’innovazione
tecnica
più
importante
di
quegli
anni
fu
la
raffinazione
del
salnitro.
Sotto
Luigi
XVI,
Colbert
adottò
l’espediente
di
appaltare
a
imprenditori
privati.
Fino
al
regno
di
Luigi
XV
c’era
stata
molta
speculazione
in
quel
mercato
e i
produttori
perciò
non
si
erano
interessati
alla
tecnologia.
Anche
per
riorganizzare
questo
tipo
di
industria
delle
munizioni
fu
probabilmente
scritta
sotto
suggerimento
di
Lavoisier.
Egli
si
assunse
dunque
la
responsabilità
dell’amministrazione
delle
munizioni.
Lo
scopo
dell’Accademia,
in
questo
caso,
era
quello
di
trovare
e
sfruttare
razionalmente
le
materie
prime
per
la
produzione.
Il
programma
però
fallì
a
causa
della
mancanza
di
incentivi.
La
fabbricazione
di
polvere
da
sparo
non
costituì
propriamente
un
successo
scientifico,
ma
ottenne
buoni
proventi
perché
condotta
da
un’amministrazione
equa
e da
una
contabilità
accurata,
anche
dopo
la
morte
di
Turgot.
Secondo
Gillispie,
nel
periodo
considerato
è
possibile
individuare
una
seconda
rivoluzione
scientifica,
quella
diretta
verso
l’organizzazione
più
che
alla
conoscenza.
L’autore
afferma
che
si
tratta
propriamente
di
una
trasformazione
della
filosofia
sperimentale.
Infatti,
parallelamente
alla
repubblica
delle
lettere
si
assiste
alla
nascita
di
una
comunità
scientifica,
i
cui
strumenti
fondamentali
sono
linguaggio
e,
più
in
generale,
comunicazione.
Tutto
ciò
sta
alla
base
dell’organizzazione,
valore
che
contraddistinse
tale
comunità.
Gli
scienziati
erano
molto
ambiziosi,
cercavano
fama
e
reputazione,
ma
si
preoccupavano
molto
della
loro
proprietà
intellettuale,
e da
qui
viene
l’esigenza
dell’organizzazione,
in
modo
da
poter
difendere
quella
proprietà
e
mantenere
così
il
massimo
riserbo.
In
tale
contesto,
Gillispie
giustifica
il
riserbo
guardando
alle
conseguenze
della
libertà
in
ambito
scientifico:
«È
un’illusione
del
liberalismo
pensare
che
la
libertà,
che
è
per
esso
la
causa
migliore,
sia
stata
storicamente
concomitante
alla
scienza,
come
condizione
o
come
conseguenza».