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N. 29 - Maggio 2010
(LX)
a capo delle schiere angeliche
ipotesi sull'identità dell'Arcangelo Michele
di Carlo Siracusa
“Io
continuai
a
guardare
e
vidi
collocare
i
troni,
e un
vegliardo
sedersi.
La
sua
veste
era
bianca
come
la
neve
e i
capelli
del
suo
capo
erano
simili
a
lana
pura;
fiamme
di
fuoco
erano
il
suo
trono,
che
aveva
ruote
di
fuoco
ardente.
Un
fiume
di
fuoco
scaturiva
e
scendeva
dalla
sua
presenza;
mille
migliaia
lo
servivano,
diecimila
miriadi
gli
stavano
davanti.
Si
tenne
il
giudizio
e i
libri
furono
aperti”.
Con
queste
bellissime
parole,
il
profeta
Daniele
descrisse
la
visione
di
un’assemblea
celeste
tenutasi
alla
presenza
dell’Altissimo,
seduto
sul
suo
maestoso
trono,
attorno
al
quale
vi
erano
miliardi
di
angeli
al
suo
servizio.
Gli
angeli
fanno
parte
di
una
vera
e
propria
comunità
celeste,
ben
organizzata,
dove
ciascuno
ha
il
suo
ruolo
ben
stabilito,
a
seconda
della
classe
di
appartenenza.
Le
Scritture
parlano
di
angeli
chiamati
‘serafini’,
di
altri
chiamati
‘cherubini’,
e di
angeli
definiti
‘messaggeri’.
Parla
anche
di
troni,
signorie,
principati
e
potenze,
con
riferimento
ai
ruoli
e
alle
posizioni
occupate
dagli
angeli.
Il
loro
nome
identifica
la
loro
classe
di
appartenenza,
e
dunque,
il
ruolo
assegnato
loro
nel
servizio
reso
all’Onnipotente.
Gli
angeli
sono
"spiriti
al
servizio
di
Dio,
mandati
a
servire
in
favore
di
quelli
che
devono
ereditare
la
salvezza".
Nella
disposizione
del
Regno
di
Dio,
gli
angeli
hanno
un
posto
molto
importante.
Sono
descritti
come
creature
al
servizio
di
Dio
a
favore
dell’uomo,
e
sono
visti
accanto
al
Figlio
di
Dio,
durante
l’atteso
Giorno
del
Giudizio:
“Quando
il
Figlio
dell’uomo
verrà
nella
sua
gloria
con
tutti
gli
angeli,
prenderà
posto
sul
suo
trono
glorioso.
E
tutte
le
genti
saranno
riunite
davanti
a
lui
ed
egli
separerà
gli
uni
dagli
altri,
come
il
pastore
separa
le
pecore
dai
capri;
e
metterà
le
pecore
alla
sua
destra
e i
capri
alla
sinistra”.
“Il
Figlio
dell’uomo
manderà
i
suoi
angeli
che
raccoglieranno
dal
suo
regno
tutti
gli
scandali
e
tutti
quelli
che
commettono
l’iniquità”.
Proprio
come
sostiene
quest’
ultima
citazione
biblica,
gli
angeli
sono
“suoi
”,
ovvero:
del
Figlio
dell’uomo!
A
Cristo
infatti,
il
suo
Dio
e
Padre
avrebbe
affidato
l’organizzazione
e la
gestione
di
tutti
gli
eserciti
celesti,
le
creature
angeliche,
perché
ciascuno
assolvesse
diligentemente
al
proprio
ruolo.
Cristo
nei
cieli,
è
stato
posto
come
“capo
degli
angeli”.
A
chi
del
resto,
Dio,
avrebbe
potuto
affidare
un
compito
così
importante,
se
non
a
colui
che
è
“il
primogenito
di
ogni
creatura;
poiché
in
lui
sono
state
create
tutte
le
cose
che
sono
nei
cieli
e
sulla
terra,
le
visibili
e le
invisibili:
troni,
signorie,
principati,
potenze;
tutte
le
cose
sono
state
create
per
mezzo
di
lui.
Egli
è
prima
di
ogni
cosa
e
tutte
le
cose
sussistono
in
lui.
Egli
è il
capo
del
corpo,
cioè
della
chiesa;
è
lui
il
principio,
il
primogenito
dai
morti,
affinché
ogni
cosa
abbia
il
primato”.
“Le
cose
che
sono
nei
cieli”-
le
cose
invisibili
-
non
sono
altro
che
gli
eserciti
angelici.
Su
questi,
che
formano
il
“corpo”
invisibile
della
Chiesa
di
Dio,
Gesù
ne è
il
“capo”,
proprio
come
con
la
chiesa
visibile
di
Dio,
quella
terrena.
Tutte
le
cose
sussistono
in
lui!
Per
tale
ragione,
Gesù
è
diventato
di
tanto
superiore
agli
angeli,
di
quanto
il
nome
che
ha
ereditato
è
più
eccellente
del
loro.
Gesù
è
superiore
agli
angeli
in
quanto
a
rango
e
dignità,
e
Dio,
il
suo
Dio,
ha
sottoposto
nell’autorità
del
suo
Figlio
risorto,
ogni
cosa,
compresi
gli
angeli:
“Asceso
al
cielo,
sta
alla
destra
di
Dio,
dove
angeli,
principati
e
potenze
gli
sono
sottoposti.”
Qui,
Pietro
testimonia
dell’autorità
che
Cristo
ha
sugli
angeli.
Inoltre,
come
per
ogni
ruolo
affidato
al
Figlio,
Dio
gli
ha
sempre
attribuito
un
nome
appropriato
che
lo
identificasse
con
l’incarico
da
assolvere,
(la
Parola,
Emmanuele,
Salvatore,
Gesù,
Silo,
Messia,
Signore,
Cristo,
Re,
…),
per
il
suo
ruolo
di
capo
degli
angeli,
o
“arcangelo”,
gli
ha
messo
nome:
Mika’el
(Michele),
che
nella
lingua
ebraica
è
una
proposizione
interrogativa
che
vuol
dire:
“chi
è
simile
a
Dio?”,
una
sfida
che
nessuno,
né
in
terra
né
in
cielo,
è in
grado
di
raccogliere.
Dunque,
quando
la
Bibbia
parla
dell’arcangelo
Michele,
ogni
riferimento
scritturale
lascia
pensare
che
si
tratti
del
nostro
Signore
Gesù,
nella
sua
posizione
di
capo
delle
miriadi
di
miriadi
di
angeli
che
compongono
il
celeste
e
invisibile
Regno
di
Dio.
Esaminiamo
adesso,
quali
riscontri
abbiamo
a
favore
di
questa
probabilità.
La
scoperta
che
Cristo
è un
essere
angelico
di
rango
elevato,
non
è
certo
nuova.
In
tempi
recenti
lo
avevano
riconosciuto
studiosi
come
Wilhelm
Bousset,
Adolf
von
Harnack,
Gustav
Holscher,
Rudolf
Otto
e
Albert
Schweitzer,
che
fu
uno
dei
primi
a
porre
con
la
massima
chiarezza
la
questione
e a
sostenerla.
(vedi
‘Geschichte
der
paulinischen
Forschung’,
di
A.
Schweitzer,
1911,
pag.152
In
Paolo
la
figura
di
Cristo
corrisponde
per
più
aspetti
alla
concezione
apocalittica
del
Messia
celeste,
visto
come
angelo
e
principe
degli
angeli.
Secondo
Paolo,
al
Cristo
non
appartiene
l’eternità
di
Dio
quale
essere
non
soggetto
al
divenire.
Anche
il
Cristo
preesistente,
essendo
creatura,
ha
cominciato
ad
esistere
in
un
certo
momento;
per
questo
aspetto
può
essere
visto
come
il
secondo
Adamo,
in
analogia
col
primo
Adamo
creato.
(1
Cor
15,45)
Se
dunque
il
Messia
quale
«
Figlio
dell’Uomo
» è
un
essere
celeste,
sebbene
subordinato
a
Dio,
si
coglie
nel
giusto
se
si
pensa
che
questo
Messia
appartiene
al
più
alto,
celeste
mondo
degli
angeli.
Su
questo
punto
le
fonti
offrono
una
espressa
convalida.
Esaminiamo
alcune
basi
scritturali
con
le
quali
possiamo
identificare
Gesù
nell’arcangelo
Michele:
-
“Perché
il
Signore
stesso,
con
un
ordine,
con
voce
d’arcangelo
e
con
la
tromba
di
Dio,
scenderà
dal
cielo,
e
prima
risusciteranno
i
morti
in
Cristo”.
Parlando
del
Signore
Gesù,
Paolo
dice
che
egli
verrà
‘con
voce
d’arcangelo’.
Se
Michele
non
fosse
Gesù,
l’espressione
‘voce
di
arcangelo’
riferita
a
lui
sarebbe
inopportuna,
sminuirebbe
l’autorità
di
Cristo
che
indubbiamente
è
superiore
a
quella
di
chiunque
altro,
ad
eccezione
di
Dio,
che
è
sopra
tutto
e
tutti.
Alcune
versioni
della
Bibbia,
però,
traducono
questo
versetto
nel
modo
seguente:
“Perché
il
Signore
stesso,
a un
ordine,
alla
voce
dell’arcangelo
e al
suono
della
tromba
di
Dio,
discenderà
dal
cielo.
E
prima
risorgeranno
i
morti
in
Cristo”.
Qui,
l’impostazione
della
frase,
vuole
che
il
Signore
discenda
dal
cielo
solo
dopo
aver
ricevuto
ordine
dall’arcangelo,
che
gli
segnala
il
via
all’azione
attraverso
un
suono
di
tromba.
Questa
chiave
di
lettura,
benché
grammaticalmente
possibile,
non
tiene
conto
del
contesto;
viene
così
preferita
un’impostazione
teologica,
allo
scopo
di
sostenere
che
il
Signore
Gesù
non
sia
l’arcangelo.
Tuttavia,
questa
versione
interpretativa
presenta
una
chiara
contraddizione
all’ipotesi
trinitaria,
in
quanto,
per
poter
intervenire,
Gesù
attenderebbe
un
ordine
di
Dio,
attraverso
l’arcangelo.
Questo
sosterrebbe
comunque
la
subordinazione
di
Gesù,
concetto
in
antitesi
con
la
dottrina
trinitaria.
Ancora
più
contraddittorio,
se
poi
si
sostiene
che
l’ordine
di
agire
viene
direttamente
dall’arcangelo:
in
questo
caso
sembrerebbe
pressoché
assurdo
che
un
“Dio”
riceva
comandi
da
una
creatura
angelica.
Un
altro
passo
biblico
relativo
a
Michele
è
questo:
-
“Or
in
quel
tempo
sorgerà
Michele,
il
gran
principe,
che
vigila
sui
figli
del
tuo
popolo.
Vi
sarà
un
tempo
di
angoscia,
come
non
c’era
mai
stato
dal
sorgere
delle
nazioni
fino
a
quel
tempo;
in
quel
tempo
sarà
salvato
il
tuo
popolo,
chiunque
si
troverà
scritto
nel
libro”.
Per
prima
cosa
volgiamo
l’attenzione
al
titolo
con
cui
è
designato
Michele:
“il
gran
principe”,
o
secondo
la
Nuova
Riveduta:
“il
grande
capo”.
Sar,
che
traduce
‘principe’
o ‘capo’,
indica
una
dignità
politica
(principe),
una
carica
militare
(comandante)
o
un’autorità
locale
(governatore).
Talvolta
è
riferito
a
entità
soprannaturali,
proprio
come
nel
caso
in
questione.
Degno
di
nota
è il
fatto
che,
il
titolo
di
“principe”
(sar),
nel
libro
di
Daniele
è
attribuito
per
ben
tre
volte
a
Michele.
Questo
ci
collega
al
profeta
Isaia,
il
quale,
parlando
del
Messia,
gli
attribuisce,
fra
gli
altri
titoli,
quello
di
“sar
shalom”,
“principe
della
pace”.
(Isaia
9)
Quando
Daniele
parla
del
‘principe
del
re
di
Persia’,
“il
riferimento
è
senza
dubbio
agli
angeli
malvagi
detti
dèmoni
nel
Nuovo
Testamento:
“Ma
il
principe
del
regno
di
Persia
mi
si è
opposto
per
ventun
giorni:
però
Michele,
uno
dei
primi
principi,
mi è
venuto
in
aiuto
e io
l’ho
lasciato
là
presso
il
principe
del
re
di
Persia”.
Tali
potenze
demoniache
nel
corso
del
tempo
hanno
sviluppato
una
forte
influenza
su
certe
nazioni
e i
loro
governi
fino
ad
averne
il
controllo.
Esse
hanno
messo
in
atto
tutte
le
risorse
possibili
allo
scopo
di
ostacolare
l’opera
e
frustrare
i
piani
di
Dio.
Nel
caso
in
esame,
vediamo
che
l’angelo
di
Satana
fece
resistenza
all’angelo
di
Dio
per
ventuno
giorni.
Fu
solo
grazie
all’intervento
di
una
potestà
superiore,
che
l’angelo
di
Dio
riuscì
a
vincere
l’opposizione
del
dèmone:
“però
Michele,
uno
dei
primi
principi,
mi è
venuto
in
aiuto”.
Daniele
si
riferisce
a
Michele
come
a
‘uno
dei
primi
principi’.
Per
tale
ragione,
molti
concludono
che
Michele
non
può
essere
il
capo
‘unico’
degli
eserciti
angelici,
altrimenti
avrebbe
detto:
“il
primo
principe”,
invece
parla
di
“uno
dei
primi”,
come
a
indicare
che
ce
ne
siano
altri
del
suo
stesso
rango.
In
realtà,
il
versetto
in
questione
“lascia
anche
capire
attraverso
l’uso
di
un
superlativo
che
egli
è
‘il
primo
dei
primi
capi’
(traduzione
letterale),
e
non
‘uno
dei
primi
capi’.
La
parola
’achad
che
si
traduce
comunemente
col
numero
cardinale
‘uno’
è
usata
ugualmente
col
significato
del
numero
ordinale
‘primo’.
Quest’ultimo
senso
conviene
assai
meglio
al
contesto
di
questa
frase
in
particolare
e
del
libro
di
Daniele
in
generale”.
Del
resto,
la
succitata
scrittura
di
Daniele
12,
1
definisce
Michele
“il
gran
principe”,
parlando
di
lui
come
di
uno
solo
in
quella
posizione.
Inoltre,
mette
in
relazione
il
sorgere
( 'amàdh)
di
Michele,
con
‘un
tempo
di
angoscia,
come
non
c’era
mai
stato
dal
sorgere
delle
nazioni
fino
a
quel
tempo’.
Questo
è
strettamente
collegato
al
discorso
che
fece
Gesù
ai
suoi
discepoli,
relativo
alla
venuta
del
Figlio
dell’uomo,
quando
disse:
“Allora
vi
sarà
una
grande
tribolazione,
quale
non
v’è
stata
dal
principio
del
mondo
fino
ad
ora,
né
mai
più
vi
sarà
…
così
sarà
la
venuta
del
Figlio
dell’uomo…
E
manderà
i
suoi
angeli
con
gran
suono
di
tromba
per
riunire
i
suoi
eletti
dai
quattro
venti,
da
un
capo
all’altro
dei
cieli.”
(Mt
24,
21-31
NR)
Come
si
può
notare,
il
“sorgere”
di
Michele
corrisponde
esattamente
alla
venuta,
al
sorgere
del
Figlio
dell’uomo,
Gesù,
il
quale
viene
con
i
suoi
angeli,
rendendo
così
molto
evidente
l’identificazione
di
Michele
con
Cristo.
Ma,
qual
è
l’azione
decisiva
che
compie
Michele
nel
momento
in
cui
“sorge”
a
favore
del
suo
popolo?
L’ultimo
libro
della
Bibbia,
risponde:
“E
ci
fu
una
battaglia
nel
cielo:
Michele
e i
suoi
angeli
combatterono
contro
il
dragone.
Il
dragone
e i
suoi
angeli
combatterono,
ma
non
vinsero,
e
per
loro
non
ci
fu
posto
nel
cielo.
Il
gran
dragone,
il
serpente
antico,
che
è
chiamato
diavolo
e
Satana,
il
seduttore
di
tutto
il
mondo,
fu
gettato
giù;
fu
gettato
sulla
terra,
e
con
lui
furono
gettati
anche
i
suoi
angeli.
Allora
udii
una
gran
voce
nel
cielo,
che
diceva:
«Ora
è
venuta
la
salvezza
e la
potenza,
il
regno
del
nostro
Dio,
e il
potere
del
suo
Cristo,
perché
è
stato
gettato
giù
l’accusatore
dei
nostri
fratelli,
colui
che
giorno
e
notte
li
accusava
davanti
al
nostro
Dio».
(Ap
12,
7-11
NR)
Sì,
Gesù
Cristo,
nel
suo
ruolo
di
capo
degli
eserciti
angelici,
sorge
e
compie
la
sua
prima
azione,
liberando
i
cieli
da
Satana
il
diavolo,
‘il
gran
dragone’,
e
dai
suoi
angeli
malvagi.
Poco
più
avanti,
Giovanni
descrive
un
guerriero
seduto
su
un
cavallo
bianco,
con
un
esercito
di
angeli
al
suo
seguito:
questo
fa
pensare
all’arcangelo
Michele,
che
è
stato
posto
a
capo
delle
schiere
angeliche.
Di
lui
viene
detto
che
ha
un
nome,
“un
nome
che
nessuno
conosce
fuorché
lui.
Era
vestito
di
una
veste
tinta
di
sangue
e il
suo
nome
è la
Parola
di
Dio.
Gli
eserciti
che
sono
nel
cielo
lo
seguivano
sopra
cavalli
bianchi,
ed
erano
vestiti
di
lino
fino
bianco
e
puro.”
(Ap
19,
12-13
NR)
Il
guerriero
con
gli
eserciti
che
lo
seguivano,
è
chiamato:
‘la
Parola’:
altro
elemento
a
favore
dell’identificazione
dell’arcangelo
con
Gesù!
C’è
poi
un
altro
riferimento
scritturale,
dove
l’apostolo
Paolo,
scrivendo
ai
Galati,
parla
di
Gesù
Cristo
come
di
un
angelo,
e
scrive:
“Al
contrario
mi
accoglieste
come
un
angelo
di
Dio,
come
Cristo
Gesù
stesso”.
(4,
14)
Per
i
Galati,
ricevere
Paolo
era
come
ricevere
un
angelo,
la
stessa
cosa
che
ricevere
Cristo
Gesù:
Cristo
può
essere
considerato
“un
angelo
di
Dio”,
benché
rispetto
agli
angeli
Gesù
sia
sicuramente
superiore.
La
stessa
‘letteratura
giudaica
descrive
Mika’el
come
il
più
grande
fra
gli
angeli,
il
vero
rappresentante
di
Dio
e lo
identifica
con
l’angelo
dell’Eterno
frequentemente
menzionato
nell’AT
come
un
essere
divino’.
Vi è
un
episodio
narrato
nel
13°
capitolo
del
libro
biblico
dei
Giudici,
che
riguarda
un’angelo
apparso
a
Manoa,
annunciante
la
nascita
di
un
figlio:
Sansone.
Ad
un
certo
punto,
il
racconto
dice
che
Manoa
si
rivolse
all’angelo
chiedendogli:
“Qual
è il
tuo
nome,
affinché,
quando
si
saranno
adempiute
le
tue
parole,
noi
ti
rendiamo
onore?”(v.17
NR)
Al
che,
l’angelo
rispose:
“Perché
mi
chiedi
il
mio
nome?
Esso
è
meraviglioso”.
(v.18NR)
Questo
nome
“meraviglioso”
viene
attribuito
dal
profeta
Isaia
9,5
(6)
(NVB)
a
Cristo,
infatti
lo
chiama:
“Meraviglioso
consigliere”.
L’angelo
di
YHWH
apparve
anche
ad
Agar
(Gn
16,
7-12);
apparve
ad
Abramo
(Gn
18 e
19,1);
parlò
a
Mosè
(Es
3,
2-4);
accompagnò
il
popolo
di
Israele
fino
alla
Terra
promessa
(Es
23,
20-21).
Facendo
riferimento
a
quest’ultima
citazione,
l’apostolo
Paolo
affermò
che
colui
che
accompagnava
il
popolo
di
Israele
nel
deserto
era
proprio
Cristo,
l’angelo
di
YHWH:
“Tutti
bevvero
la
stessa
bevanda
spirituale:
bevevano
infatti
da
una
roccia
spirituale
che
li
accompagnava,
e
quella
roccia
era
il
Cristo”.
Werner,
nella
sua
opera
già
citata,
disse
a
tal
riguardo
che,
“già
nei
primi
tempi
dell’età
postapostolica
si
pervenne
a
interpretare
come
apparizioni
di
Cristo
tutte
quelle
apparizioni
di
angeli
che
nell’Antico
Testamento
sembrano
in
qualche
modo
avvenire
per
porgere
aiuto
agli
uomini.
Siffatta
identificazione
rimase
a
lungo
prediletta,
come
appare
in
Giustino,
Ireneo,
Origene,
Novaziano
e
nella
lettera
di
Imeneo;
ed
anche
in
altri
testi
è
largamente
attestata”.
Per
l’appunto,
uno
dei
primi
Padri
della
chiesa
appena
menzionati,
che
identificò
l’arcangelo
Michele
con
Gesù,
fu
Giustino
Martire.
Nel
suo
‘Dialogo
con
Trifone’,
scrisse:
«Vi
è
cioè,
e
vien
detto
esserci,
un
Dio
e
Signore
diverso
dal
creatore
di
tutte
le
cose,
che
è
chiamato
anche
angelo
per
il
fatto
che
annuncia
agli
uomini
ciò
che
vuole
annunciare
loro
il
creatore
di
tutte
le
cose,
al
di
là
del
quale
non
c’è
altro
Dio…
è un
altro
Dio
rispetto
a
quello
che
ha
fatto
tutte
le
cose,
un
altro
intendo,
per
numero,
non
per
distinzione
di
pensiero.
Egli
infatti
non
ha
mai
fatto
nulla
se
non
quello
che
il
creatore
del
mondo,
al
di
là
del
quale
non
c’è
altro
Dio,
ha
voluto
che
facesse
o
dicesse».
Come
si
può
notare,
non
solo
Giustino
parlò
del
Signore
Gesù
come
di
un
‘angelo’
che
annuncia
la
volontà
del
Creatore,
per
di
più
lo
definì
“Dio”:
non
nel
senso
comune
del
termine,
ovvero,
come
parte
di
una
trinità,
ma
usò
questo
titolo
secondo
il
significato
biblico
del
termine.
Per
Giustino,
in
sostanza,
Gesù
era
‘Dio’
in
quanto
essere
divino,
Figlio
di
Dio,
della
stessa
natura
dell’Onnipotente,
ma
non
a
Lui
coeguale
e
coeterno.
Tanto
è
vero
che,
pur
avendo
menzionato
due
divinità,
asserì
che
solo
uno
di
loro
è
veramente
Dio,
il
Creatore.
Che
l’arcangelo
Michele
fosse
il
Figlio
di
Dio
in
uno
dei
tanti
ruoli
affidatigli
dal
Padre,
lo
testimonierebbe
anche
l’opera
di
un
autore
greco
della
prima
metà
del
II
secolo,
‘Il
Pastore
Erma’.
In
questo
scritto
dallo
stile
frammentario,
si
legge:
“Pochi
giorni
dopo
lo
vidi
nella
stessa
pianura
in
cui
avevo
visto
anche
i
pastori
e mi
dice:
‘Che
cosa
cerchi?’.
‘Sono
qui,
rispondo,
a
chiederti
che
ordini
al
pastore
addetto
al
castigo
di
uscire
dalla
mia
casa
perché
troppo
mi
tormenta’.
Bisogna
che
tu
sia
afflitto.
Così
dispose
l’angelo
glorioso
nei
tuoi
riguardi.
Egli
vuole
che
tu
sia
provato’.
‘Che
cosa
ho
fatto
di
tanto
grave,
rispondo,
per
essere
consegnato
a
tale
angelo?”.
Poco
dopo,
l’autore
parla
di
quest’angelo
glorioso
come
di
Michele,
dicendo:
“L’angelo
grande
e
glorioso
è
Michele
che
ha
il
potere
su
questo
popolo
e lo
governa.
Egli
pone
la
legge
nel
cuore
dei
credenti
e
scruta
se
quelli
cui
la
diede
l’hanno
osservata”.
La
cosa
interessante
è
che,
subito
dopo,
parlando
di
lui
come
di
un
‘uomo
glorioso’,
lo
definisce
‘il
figlio
di
Dio’,
dicendo
di
lui:
“Nessuno
di
questi
angeli
gloriosi
arriverà
a
Dio
senza
di
lui.
Chi
non
prende
il
Suo
nome
non
entrerà
nel
regno
di
Dio”.
Anche
in
un
frammento
di
Melitone,
il
Cristo
figura
quale
«principe
dell’esercito
degli
angeli».
Persino
Clemente
Alessandrino
sostenne
che,
nel
corso
della
storia
veterotestamentaria
della
salvezza,
il
Logos
ha
agito
come
angelo.
Novaziano
denominò
il
Cristo
«primo
tra
tutti
gli
angeli»,
ossia
il
più
alto
principe
degli
angeli.
Press’a
poco
alla
stessa
epoca
anche
Cipriano,
nei
suoi
Testimonia,
asserisce
che
‘l’uno
e
medesimo
Cristo
è
angelo
e
Dio’,
mentre
Lattanzio,
da
parte
sua,
sviluppa
la
seguente
equazione:
“Cristo
=
spirito
=
angelo”.
Nel
secolo
XIX
lo
specialista
berlinese
dell’Antico
Testamento,
redattore
di
giornali
ecclesiastici
ed
esponente
della
Chiesa,
Ernst
Wilhelm
Hengstenberg,
nella
sua
opera
in
più
volumi
Cristologia
dell’Antico
Testamento,
si
riallaccia
alla
identificazione
cristiana
antica
di
Cristo
con
le
figure
angeliche
veterotestamentarie,
specialmente
con
l’arcangelo
Michele.
Per
Hengstenberg
l’arcangelo
Michele
è
identico
al
Cristo-Logos.
Un
altro
studioso,
Matthew
Henry
(1662-1714),
nel
suo
commentario
biblico
analizzò
la
figura
dell’arcangelo
Michele,
e
con
riferimento
alla
guerra
in
cielo
tra
la
Michele
e il
dragone,
descritta
nell’Apocalisse,
scrisse:
“Michele
e i
suoi
angeli
da
un
lato,
e il
dragone
e i
suoi
angeli
dall’altro.
Cristo,
il
grande
Angelo
del
Patto
e i
suoi
seguaci
fedeli,
contro
Satana
e
tutti
i
suoi
strumenti.
Questi
ultimi
erano
certamente
superiori
in
numero
e in
forza
esteriore
rispetto
al
primo,
ma
la
forza
della
Chiesa
risiede
nell’avere
come
capitano
della
sua
salvezza
il
Signore
Gesù.
Il
successo
della
battaglia:
il
dragone
e i
suoi
angeli
combatterono,
ma
non
vinsero.
Ci
fu
una
grande
battaglia,
ma
la
vittoria
spettò
a
Cristo
e
alla
sua
Chiesa,
e il
dragone
e i
suoi
angeli
non
furono
soltanto
sconfitti,
ma
buttati
fuori”.
23
Benché
Matthew
Hanry
sostenesse
la
dottrina
della
Trinità,
tuttavia
riconobbe
che
il
‘Michele’
della
Bibbia
è
Cristo,
il
Figlio
di
Dio,
‘il
grande
Angelo
del
Patto’,
e
attribuì
la
vittoria
di
questa
battaglia
celeste,
al
capitano
della
salvezza
della
Chiesa,
il
Signore
Gesù.
Anche
fonti
extrabibliche,
come
i
Manoscritti
di
Qumran,
parlano
di
Michele,
con
riferimento
al
Messia.
Nel
Testamento
di
Amram
(4Q543,
545-548),
e
precisamente
nella
linea
13
del
Manoscritto
B,
si
parla
dei
‘Vigilanti’,
identificati
con
“il
serpente”
e
con
“il
volto
di
una
vipera”,
evidentemente
lo
stesso
serpente
connesso
con
la
caduta
dell’uomo
nella
storia
di
Adamo
ed
Eva.
Gli
vengono
attribuiti
altri
tre
nomi:
‘Belial’,
‘Principe
delle
Tenebre’
e
‘Re
del
Male’.
Quest’ultimo
nome,
Melchi
Resha‘,
viene
a
formare
una
coppia
antitetica
con
il
ben
noto
nome
Melchi
Zedek,
‘Re
di
Giustizia’,
figura
che
è
stata
pienamente
assunta
nell’elaborazione
del
sacerdozio
escatologico
e
messianico
di
Gesù
(Ebr
5-7),
argomento
che
ha
già
parecchio
interessato
gli
studiosi.
Melchi
Zedek
ha
altri
due
sinonimi:
l’arcangelo
Michele,
l’angelo
particolare
d’Israele,
e il
‘Principe
della
Luce’.
(B
3,2)
Benché
questa
citazione
non
abbia
alcun
legame
con
i
testi
canonici
della
Bibbia,
la
sua
menzione
è
solo
allo
scopo
di
evidenziare
come,
questi
Rotoli,
attribuiscano
alla
figura
Messianica
alcuni
dei
‘nomi’
che
ritroviamo
anche
nei
testi
biblici:
“Melchi
Zedec”,
con
riferimento
al
sacerdozio
di
Cristo
(Ebr
5,
10)
e
“Arcangelo
Michele”,
messo
in
relazione
all’angelo
che
accompagnò
Israele,
come
già
menzionato
sopra,
con
la
scrittura
di
Esodo
23:20-21.
La
concezione
cristiana
primitiva
del
Cristo
quale
angelo
di
alto
rango
ci
mette
in
grado
di
capire
un
fatto
importante
dell’evoluzione
dogmatica:
alle
origini
non
c’è
alcuna
traccia
di
problematica
trinitaria,
sorta
invece
molto
tempo
dopo
e
fonte
di
aspri
conflitti.
Conformemente
allo
stretto
rapporto
esistente
tra
concezione
sul
Cristo
e
concezione
sugli
angeli,
la
relazione
del
Cristo
col
Dio
Padre
era
intesa
inequivocabilmente
in
senso
«subordinaziano»,
ossia
nel
senso
di
una
subordinazione
del
Cristo
a
Dio.
Sulla
base
dei
più
antichi
testi
sinottici,
il
più
deciso
subordinaziano
del
Nuovo
Testamento
è
proprio
lo
stesso
Gesù
(Mc
10,18;
13,32;
14,36).
Tale
chiara
e
ferma
posizione
originaria
si
poté
mantenere
per
lungo
tempo.
La
problematica
trinitaria
emergerà
perciò
in
un
tempo
in
cui
la
teologia
ecclesiastica
sarà
costretta
ad
abbandonare
lo
schema
subordinaziano
a
favore
di
uno
schema
basato
sulla
coordinazione.
Concludo,
citando
le
parole
di
Scheidweiler,
che
scrisse:
“Come
ci
si
deve
rappresentare
una
natura
celeste
che
(secondo
Paolo)
è
bensì
simile
a
Dio
ma a
lui
subordinata,
e
che
può
certo
conseguire
il
rango
dell’elevazione
ma
può
anche
perderlo?
Una
tale
natura
può
essere
soltanto
una
natura
d’angelo”.
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