N. 96 - Dicembre 2015
(CXXVII)
uNA FIABA MUSICALE PER PICCOLI E GRANDI
LO SCHIACCIANOCI, MAGIA DI NATALE
di Claudia Antonella Pastorino
Non esiste Natale senza Lo Schiaccianoci, il balletto fantastico in due atti e tre scene di Pëtr Il'ič Čajkovskij, un classico di queste feste per il soggetto, l’ambientazione nevosa, gli addobbi, i costumi, l’evocazione dei sogni infantili, la fantasia delle danze ispirate a giocattoli e dolci. Grandi palcoscenici a parte, non c’è teatro e cinema-teatro che si lasci dietro il periodo natalizio senza averlo rappresentato, anche se il più delle volte in allestimenti alla buona importati da qualche parte del mondo, minori o di second’ordine, a guisa d’intrattenimento per grandi e piccini.
Ultimo
titolo
della
triade
ballettistica
dopo
Il
lago
dei
cigni
(1876)
e
La
bella
addormentata
(1889),
Lo
Schiaccianoci
(1892)
resta
infatti
confinato
perlopiù
alla
temporalità
natalizia
anche
per
la
presunta
semplicità
della
musica
e la
durata
accettabile
(un’ora
e
mezzo)
dello
spettacolo,
pagando
uno
scotto
che
non
merita
alla
più
intrecciata
drammaturgia
e
monumentalità
delle
due
opere
precedenti,
di
spessore
diverso
e di
diversa
unità
narrativa:
se
si
sceglie
di
andare
a
vedere
Il
lago
dei
cigni
e
La
bella
addormentata,
è
perché
si è
appassionati
o
competenti
di
quel
genere,
ma
se
si
va a
vedere
Lo
Schiaccianoci
non
è
quasi
mai
per
scelte
di
questo
tipo,
ma
per
passare
una
serata
fuori
casa
insieme
ai
bambini,
esattamente
come
si
faceva
(e
si
fa)
quando
si
va
al
cinema
per
un
film
della
Disney.
Al
riguardo
è
rimasto
lapidario
–
come
quello
di
Mahler
sulla
Tosca
di
Puccini
- il
commento,
o
meglio
stroncatura,
di
un’esperta
di
settore,
la
londinese
Phyllis
Winifred
Manchester,
autrice
tra
l’altro
di
un’Enciclopedia
della
Danza
(1967),
che
sul
“Dancing
Times”
scrisse
perentoria:
«Lo
Schiaccianoci
è
costituzionalmente
una
seccatura,
e si
basa
su
un
intreccio
praticamente
inesistente
e
del
tutto
privo
di
interesse
[…]
esso
esplode
–
immancabile
– a
Natale,
come
un’epidemia
di
morbillo».
A
parte
il
fatto
che
nella
vita
c’è
sempre
qualcosa
da
dire
o da
ridire,
non
si
può
pretendere
da
Lo
Schiaccianoci
una
trama
nel
vero
senso
della
parola,
perché
tutto
si
muove
sul
piano
fantastico-allegorico
dove
momenti
e
personaggi
si
prestano
a
riletture
e
interpretazioni,
passando
attraverso
il
sogno
di
Clara
e
alle
manovre
da
burattinaio
del
suo
ingegnoso
padrino
Drosselmeyer.
Vi
si
può
cogliere,
in
definitiva,
la
complessa
delicatezza
del
passaggio
dall’età
infantile
a
quella
adolescenziale
con
le
sue
prime
pulsioni
sessuali,
tutto
in
chiave
simbolica
e,
per
quanto
riguarda
la
musica,
c’è
solo
da
inchinarsi:
non
esiste
sciatteria
o
approssimazione
o
materia
sottotono
in
Čajkovskij,
in
nessuna
delle
sue
opere,
balletti
inclusi.
La
storia,
ambientata
in
Germania,
è
tratta
dal
racconto
“Der
Nüssnacker
und
der
MauseKönig”
(“Lo
Schiaccianoci
ed
il
re
dei
topi”,
1816)
dello
scrittore
noir
E.
T.
A.
(Ernst
Theodor
Amadeus)
Hoffmann
e
pubblicato
nel
1819
nella
raccolta
“I
fratelli
di
San
Serapione”.
L’autore,
come
si
legge
nei
tre
racconti
che
ispirarono
Les
contes
d’Hoffmann (I
racconti
di
Hoffmann), opera
fantastica
in
cinque
atti
di
Jacques
Offenbach
su
libretto
di
Jules
Barbier,
e
nel
celebre
balletto
Coppelia
di
Léo
Delibes,
aveva
la
fissa
di
tutto
ciò
che
fa
parte
del
soprannaturale,
di
una
realtà
capovolta,
letta
nella
chiave
del
sogno
e
del
subconscio.
Prediligendo
gli
aspetti
dell’occulto,
ma
anche
di
magia
e
scienza,
elaborava
racconti
dominati
da
storie
strane,
con
allucinazioni,
il
grottesco,
il
sinistro,
il
robotizzato
(la
bambola
meccanica
Olimpia),
come
si
vede
in
forma
più
romantico-infantile
nella
trama
del
balletto.
Gli
elementi
hoffmanniani
non
mancano,
come
i
giocattoli
automi
schierati
dallo
zio
scienziato
per
divertire
i
bambini
(Arlecchino
e
Colombina,
o in
altre
versioni
il
soldato,
la
bambola
e il
turco),
o la
sgradevole
aggressione
dei
topi
–
freudianamente
noto
simbolo
fallico
-
tentata
verso
Clara
(nella
versione
Nureyev
riescono
a
toglierle
la
gonna
lasciandola
in
sottoveste).
Lo
Schiaccianoci
è
tutto
una
dimensione
onirica,
desideri
adolescenziali
in
fermento,
un
limbo
apparente
in
cui
si
agitano
conflittualmente
nuovi
impulsi
e
vecchi
legami
con
l’infanzia,
figure
e
pupazzi
che
si
animano
e
prendono
vita
nella
notte
come
tutto
ciò
che
ci
portiamo
dentro
nel
sonno
e
nelle
pieghe
dell’anima.
Lo
stesso
Drosselmeyer,
che
nella
lettura
di
Nureyev
è
anche
il
Principe
Schiaccianoci
–
dunque
due
facce
della
stessa
medaglia
- è
una
figura
in
bilico
tra
il
fare
protettivo
e
disinteressato
del
vecchio
amico
di
famiglia
e
qualcosa
di
diverso,
che
in
altra
forma
si
proietta
nel
sogno
della
bambina
assumendo
l’aspetto
di
un
cavaliere
giovane
e
bello
in
grado
di
prendersi
cura
di
lei,
ormai
ragazza
in
età
da
corteggiamento.
La
fonte
diretta
non
era
stata
l’originale
a
tinte
un
po’
fosche
di
Hoffmann
ma
una
versione
di
Alexandre
Dumas
padre,
“Storia
di
uno
schiaccianoci”
(1845),
semplificata
e
alleggerita
per
un
pubblico
familiare
senza
gli
aspetti
inquietanti
e
truci
presenti
nel
testo
originale.
A
questa
riduzione
più
fiabesca
si
era
ispirato
Marius
Petipa
per
la
sceneggiatura,
scrivendo
il
libretto
insieme
al
direttore
dei
Teatri
Imperiali
dal
1881
al
1899,
Ivan
Alexandrovič
Vsevoložskij,
che
aveva
commissionato
il
lavoro
e
scelto
l’argomento
come
per
la
precedente
La
bella
addormentata.
Costretto
da
una
seria
indisposizione,
il
settantenne
Petipa
dovette
affidare
l’incarico
di
occuparsi
del
balletto
al
suo
assistente
Lev
Ivanov,
già
ideatore
dei
due
atti
bianchi
(II
e
IV)
del
Lago
dei
cigni,
che
seguì
con
scrupolo
le
indicazioni
realizzando
una
coreografia
di
cui
il
taglio
originale
sopravvive
soltanto
nel
pas
de
deux
della
Fata
Confetto
con
il
Principe
Coqueluche:
due
personaggi
(interpretati
alla
prima
russa
dall’italiana
Antonietta
Dell’Era
e da
Pavel
Gerdt),
che
eseguirono
tutte
le
danze
affidate
per
tradizione
alla
coppia
Clara-Principe
Schiaccianoci,
poiché
la
protagonista
Stanislava
Belinskaja,
allieva
del
corpo
di
ballo
del
Marinskij,
aveva
solo
dodici
anni
e
non
poteva
esibirsi
fino
a
quel
livello.
Nella
rilettura
di
Peter
Wright
(1985),
già
direttore
artistico
del
Royal
Ballet
di
Londra,
lei
resta
bambina
per
tutta
la
durata
dello
spettacolo
e,
accanto
al
suo
Schiaccianoci
umano,
si
limita
ad
assistere
alle
esibizioni
offerte
in
loro
onore
dalla
Fata
Confetto
e
dal
suo
Principe,
che
alla
fine
chiuderanno
il
ciclo
di
danze
con
il
grand
pas
de
deux.
Il
racconto
e le
linee
musicali
Tutto
si
svolge
all’interno
di
una
bella
casa
borghese,
sul
piano
della
realtà
prima
(i
preparativi
del
Natale
in
compagnia
di
familiari
e
amici)
e
della
fantasia
dopo
(il
sogno
di
Clara
che
viaggia
con
il
suo
amato
giocattolo,
diventato
Principe,
per
un
regno
fatato
popolato
da
scenari,
costumi
e
personaggi
coloratissimi).
L’introduzione
orchestrale
è
raffinata
e
discorsiva,
ci
dice
della
frenesia
della
festa
e
dell’andirivieni
della
gente
per
le
strade
per
le
ultime
commissioni
della
vigilia,
mentre
s’incamminano
passanti
di
ogni
ceto,
signori
in
cilindro
con
al
braccio
le
loro
dame,
popolane,
venditori,
ragazzi
che
giocano
e si
rincorrono
tra
la
neve:
sembra
una
scena
da
Quartier
Latino,
come
in
Bohème.
Dall’ambientazione
esterna
si
passa
all’interno
dell’abitazione
di
lusso
del
presidente
del
consiglio
cittadino
Silberhaus
(o
anche
Dr.
Stahlbaum)
e
della
sua
famiglia,
la
moglie
Ingrid
e i
figlioli
Clara
e
Fritz,
mentre
nobili
signori
e
dame
in
abiti
eleganti
fanno
il
loro
ingresso
affollando
il
salone
per
festeggiare
la
vigilia
di
Natale
in
mezzo
a
parenti,
amici
e
uno
stuolo
di
bambini
e
adolescenti
scatenati,
che
alternano
o
intersecano
i
loro
balli
con
quelli
degli
adulti.
Sullo
sfondo
campeggia
un
enorme
albero
di
Natale
splendidamente
decorato.
Tra
gli
invitati
figura
e
domina
Drosselmeyer,
lo
zio
guercio
(ha
una
benda
nera
sull’occhio
destro),
padrino
di
Clara
e
antico
amico
di
famiglia,
mago
e
burattinaio,
buon
inventore,
che
organizza
una
serie
di
giochi
e
scenette
per
intrattenere
i
bambini,
tra
cui
dei
pupazzi
meccanici
che
si
animano
al
tocco
del
loro
creatore:
un
soldato,
una
bambola
e un
turco
che
danno
il
via
alle
rispettive
danze.
Clara
(nella
versione
russa
Marie
o
Masha)
riceve
in
regalo
dallo
zio
uno
schiaccianoci
vestito
da
soldatino
ussaro,
ma
il
fratellino
geloso
glielo
strappa
dalle
mani
e,
durante
il
litigio,
il
giocattolo
si
rompe.
Per
fortuna
Drosselmeyer
interviene
in
tempo
e
riesce
ad
aggiustarlo
consolando
la
ragazzina,
entusiasta
del
dono
al
punto
da
non
volersene
separare.
Gli
ospiti
si
congedano
e
Clara
e
Fritz
sono
mandati
a
letto.
La
bambina
ora
può
andare
a
coricarsi
felice
e,
stanca
per
l’emozione
dei
festeggiamenti
e
l’euforia
del
graditissimo
dono,
si
addormenta
e
inizia
il
sogno.
Un
branco
di
topi
invade
la
stanza
minacciandola,
ma
all’improvviso
interviene
lo
Schiaccianoci
che,
con
il
suo
esercito
di
soldatini,
sconfigge
il
nemico.
In
altre
versioni
i
topi,
fomentati
dal
loro
Re,
hanno
inizialmente
la
meglio,
ma
la
lotta
continua,
interviene
di
rinforzo
un
reggimento
di
cavalleria
e la
vittoria
si
afferma.
Clara
stessa
aiuta
il
suo
giocattolo
in
difficoltà
uccidendo
il
Re
dei
topi
con
una
pantofolata,
o lo
distrae
lanciandogli
un
giocattolo
mentre
il
soldato
Schiaccianoci
lo
trafigge.
Ottenuto
il
trionfo,
il
pupazzo
si
trasforma
in
un
Principe
che
a
bordo
di
un
guscio
di
noce
la
conduce
in
un
viaggio
fantastico
all’esplorazione
di
nuovi
regni;
dopo
aver
superato
una
tempesta
di
neve
giungono
nel
Regno
dei
Dolci
(Konfitūrenburg),
dove
la
Fata
Confetto
li
accoglie
con
calore
e
rende
loro
omaggio
con
un
grand
divertissement
di
danze
di
carattere:
genti
provenienti
da
tutto
il
mondo
si
esibiscono
nelle
loro
danze
tradizionali
(spagnole,
cinesi,
arabe,
russe).
Fiori
e
dolciumi
ballano
sulle
note
del
magnifico
Valzer
dei
fiori
e la
protagonista
e il
Principe
Schiaccianoci
danzano
il
passo
a
due
conclusivo.
Le
figure
oniriche
man
mano
si
dissolvono
e
Clara
si
risveglia,
accanto
al
suo
giocattolo
del
cuore,
nella
notte
di
Natale.
C’è
nell’aria,
colorata
dai
motivetti
scanzonati
dell’Ouverture-miniature,
la
spavalderia
dell’infanzia
e il
contegno
degli
adulti
che
si
salutano
e si
scambiano
gli
auguri,
in
attesa
di
tornare
a
casa
o
divertirsi
presso
amici.
I
ragazzini
scalmanati
sono
protagonisti
delle
scene
iniziali,
con
la
celebre
Marcia
che
apre
sulla
marzialità
di
trombe,
corni
e
clarinetti,
mentre
i
violini
disegnano
un
movimento
scherzoso
e
saltellante
in
rapida
sequenza,
e
con
altre
danze
(Il
piccolo
Galop
e
l’ingresso
dei
nuovi
ospiti)
cui
partecipano
i
grandi,
tra
la
galanteria
e i
francesismi
musicali
di
diversi
motivi
che
si
susseguono.
Un
nugolo
di
piccoli
allievi
e
allieve
delle
scuole
di
ballo
dei
teatri,
esegue
in
maniera
provetta
i temps
levés, gli chassés e
i galops
delle
“danze
figurate”,
uno
scenario
di
cui
Rudolf
Nureyev
si
ricorderà
bene,
da
danzatore
e
coreografo
ormai
affermato,
per
la
sua
famosa
versione
del
1968
al
Teatro
Reale
di
Stoccolma:
come
allievo
dell’Accademia
Vaganova
di
San
Pietroburgo,
che
preparava
le
nuove
leve
per
il
Kirov,
aveva
fatto
parte
del
cast
dei
ragazzi
e,
in
seguito,
quale
primo
ballerino
del
Kirov,
aveva
interpretato
per
la
prima
volta
il
ruolo
del
Principe.
Molto
caratteristica
è la
scena
dell’esibizione
dei
pupazzi
meccanici,
con
musiche
particolari
per
ciascun
personaggio,
davanti
allo
stupore
e
alla
curiosità
dei
bambini
che
assistono
alle
performances
offerte
per
loro
da
Drosselmeyer,
l’organizzatore
dei
siparietti
d’intrattenimento
e
dei
regali
da
distribuire.
Graziosissimi
gli
spunti
strumentali
che
descrivono,
tra
l’entusiasmo
e le
manifestazioni
di
gioia,
lo
stato
d’animo
di
Clara
alla
consegna
del
suo
dono,
uno
Schiaccianoci
a
forma
di
soldato
ussaro,
rotto
in
un
baleno
dal
fratellino
dispettoso
e
prontamente
riparato
dall’intervento
del
padrino.
La
festa
termina
con
la
danza Grossvater
(la
Danza
del
Nonno)
su
un
tema
popolare
tedesco
già
utilizzato
da
Schumann
nei
Papillons
e
nel
Carnaval,
con
l’esilarante
minuetto
di
una
coppia
cadente
di
anziani;
soprattutto
lui
si
dà
comicamente
da
fare
muovendosi
in
passi
di
danza
lenti
e
veloci
realizzati
a
fatica,
a
rischio
d’ossigeno
e
colpi
della
strega,
suscitando
l’ilarità
del
pubblico.
Quando,
andati
via
gli
ospiti,
la
bimba
si
addormenta
e
scocca
la
mezzanotte,
si
passa
da
un
clima
musicale
quasi
ipnotico
e
surreale
alla
circolarità
dei
flauti
acutissimi
che,
a
riproduzione
dello
squittio,
introduce
i
topi
intenti
ad
insidiare
la
piccola,
fino
a
quando
un
esercito
di
soldatini
di
piombo
capitanati
dallo
Schiaccianoci
ingaggia
una
movimentata
battaglia
per
sconfiggerli.
Dal
momento
in
cui,
ottenuta
la
vittoria,
il
giocattolo
si
trasforma
in
Principe
e si
presenta
a
Clara
inchinandosi
a
lei
in
tutto
il
suo
splendore,
la
musica
abbandona
il
gioco
ed
entra
nella
parte
fatata
del
sogno,
quella
nel
mondo
adulto
in
cui
la
introduce
il
suo
cavaliere.
Cullata
da
una
berceuse,
la
coppia
intraprende
il
suo
viaggio
per
mare
nel
guscio
di
noce.
In
un
giardino
d’inverno
si
verifica
il
primo
incanto,
il
Valzer
dei
Fiocchi
di
Neve accompagnato
da
un
coretto
infantile,
un
canto
di
soli
suoni
senza
l’accompagnamento
di
parole;
qui
la
musica
appare
come
scheggiata,
a
strappi,
esprime
un
raffinato
languore
che
ben
s’adatta
alla
notte
di
Natale,
tra
danzatrici
in
bianco
che
emulano
il
cadere
copioso
dei
fiocchi.
La
rassegna
delle
danze
successive
è
spettacolare,
qualcuna
è
associata
a un
prodotto
alimentare/dolciario:
la
Cioccolata
o
Danza
spagnola
(bolero),
il
Caffè
o
Danza
araba
con
la
sua
centellinata
sensualità,
il
Tè o
Danza
cinese
giocata
sul
suono
guizzante
di
flauti
e
ottavino,
il
popolaresco
Trepak
o
Danza
russa,
la
melodia
ricamata
dei
tre
flauti
nella
Danza
dei
mirlitons
o
degli
zufoli,
l’incanto
del
Valzer
dei
fiori
nella
sua
eleganza
strumentale
rimasta
autonomamente
celebre
anche
in
sala
d’incisione,
da
parte
di
bacchette
celebri
(tra
cui
quella
di
Arturo
Toscanini).
Il
maestoso
Pas
de
deux
della
coppia
trova
nelle
sue
variazioni
le
possibilità
virtuosistiche
di
far
esprimere
al
meglio
la
bravura
di
danzatori
e
danzatrici,
alternandosi
o
ballando
insieme
nell’esplosione
del
sogno
amoroso
e
della
gioia
della
festa
vissuta
attraverso
i
tanti
episodi
mostrati
e i
paesaggi
attraversati.
Per
la
prima
volta
la
celesta,
strumento
a
tastiera
nato
nel
1886
grazie
al
francese
Auguste
Mustel,
entra
in
un
organico
orchestrale
alla
prima
del
balletto,
nel
‘92,
con
le
sue
argentate
sonorità
e
gli
accordi
dolci
e
martellati,
da
campanellino,
nell’accompagnare
nella
II
variazione
la
danza
solista
a
ritmo
saltellante
di
Clara
o
della
fata
Confetto
(a
seconda
della
rivisitazione
messa
in
campo).
Nel
Valzer
finale
e
Apoteosi,
quando
tutto
il
corpo
di
ballo
si
ripresenta
a
riproporre,
di
seguito,
accenni
delle
danze
fin
lì
eseguite,
si
arriva
con
rapidità
alla
conclusione,
torna
la
realtà
e
Clara
si
sveglia
stringendo
a sé
il
suo
amato
Schiaccianoci,
rimasto
nulla
di
più
di
un
giocattolo.
Čajkovskij
scrisse
contemporaneamente
sia
il
balletto
sia
l’opera
in
un
atto
Jolanta,
su
libretto
del
fratello
Modest,
ispirata
al
racconto
di
Henrik
Hertz
La
figlia
di
Re
René
che
alla
fine
prese
il
nome
dalla
sua
eroina,
Yolanta.
Il 6
dicembre
del
1892
i
due
titoli
vennero
presentati
insieme
per
la
prima
volta
al
Teatro
Marinskij
di
San
Pietroburgo,
poi
fu
la
volta
della
prima
il
18
dicembre,
mentre
in
Italia
la
prima
ebbe
luogo
alla
Scala
il
19
febbraio
1938,
con
la
coreografia
di
Margherita
Froman
e
interpreti
principali
Nives
Poli
e
Pier
Luigi
Marzoni.
Da
allora,
Lo
Schiaccianoci
non
è
rimasto
soltanto
una
pietra
miliare
degli
appuntamenti
musicali
di
Natale,
rappresentato
anche
in
altri
periodi
dell’anno,
ma
si
colloca
tra
le
perle
del
repertorio
ballettistico
classico-romantico
e
della
trasparenza
raffinatissima
dell’arte
di
Čajkovskij
soprattutto
in
ambito
di
scrittura
strumentale.
Non
c’è
un
momento
in
cui
l’eleganza
sottile
dell’orchestrazione
perda
colpi,
sembra
anzi
voler
analizzare
dal
di
dentro
tutti
gli
episodi,
scavare
nei
personaggi,
colorare
di
magia
ogni
scena
ammantandola
sempre
di
quella
malinconia
intensa,
discreta,
che
caratterizza
e
personalizza
immancabile
lo
stile
compositivo
dell’Autore.