SULLO SCAMBIO COLOMBIANO
UN PONTE BIOLOGICO
TRA UTOPIA E IMPERIALISMO
di Francesca
Zamboni
L’etimologia latina della parola
viaggio,
viaticus,
racchiude le spinte motivazionali e
gli obiettivi che Cristoforo Colombo
si era prefissato prima di salpare
il 3 agosto 1492 dal porto Palos de
la Frontera alla volta di un Paese
sconosciuto, sospinto dal soffio
costante degli Alisei.
Viaticus
significa infatti ciò che riguarda
la via, mentre il neutro viaticum
indica proprio il bagaglio che il
viaggiatore porta con sé per
sopravvivere durante il cammino. Il
viaggio di Colombo rappresenta non
solo un evento storico, ma la
creazione di un ponte culturale tra
due coste, quelle dell’Atlantico, e
l’incipit di malattie,
battaglie e devastazioni capaci di
riunire due mondi allontanatisi dopo
la ritirata dei ghiacciai per essere
coinvolti in un processo di
omogeneizzazione contraddistinto da
avvenimenti, tanto avversi quanto
portatori di cambiamenti.
L’espansione nelle Americhe fu
pertanto un fenomeno pressoché
bidirezionale tra due mondi,
denominato “lo scambio colombiano”
dall’omonimo libro dello storico
americano Alfred W. Crosby, un’opera
che ci ha offerto una visione più
ampia dell’evento, descrivendo
l’espansione biologica degli Europei
e la loro capacità di trasformare
gli ecosistemi, colonizzandoli e
plasmandoli fino a renderli
somiglianti al Vecchio Mondo. Un
processo di acculturazione che
divenne Imperialismo e che Crosby
sintetizzò nel termine Neo Europe.
Il mondo delle Antille si europeizzò
sia per l’arrivo di nuovi animali
(cavalli, muli, galline, pecore),
sia per l’introduzione di nuovi
alimenti, usi e costumi.
Ricordiamo che gli Europei erano
convinti di aver toccato le coste
dell’Asia, scoprendo invece un
continente nuovo. Per questo motivo
i diari di Colombo sono pieni di
meticolose osservazioni al cospetto
di una flora e una fauna mai viste
prima. Allo stesso modo
l’esploratore rimase colpito dai
tratti somatici degli indigeni, dai
loro folti capelli e dalla loro
conformazione ossea, ma anche dalla
loro bontà e innocenza.
Culture completamente diverse che,
se inizialmente stupirono,
lentamente lasciarono il posto al
terrore fino a insinuare un
crescente fastidio nei
Conquistadores, sfociando
inesorabilmente nella violenta
reductio ad unum, in base alla
quale gli Europei imposero la
propria cultura.
Sulla base di questa imposizione
molti studiosi, tra cui Alfred
Crosby e Jared Diamond, hanno
analizzato i fattori e le variabili
che hanno concorso a spiegare il
trionfo degli Europei in America.
E la spiegazione risiede non solo
nel vantaggio militare delle armi da
fuoco sugli archi e sulle frecce
degli Indiani, ma anche nel terrore
suscitato dagli sconosciuti cavalli
accompagnati da uomini o forse dèi
secondo la profezia amerinda.
Tuttavia gli Indiani non furono in
grado di fronteggiare i nemici,
neanche quando compresero che i
conquistatori non erano divinità e
neanche quando ebbero a disposizione
il tempo necessario per sviluppare
delle tattiche di difesa.
Purtroppo con la conquista degli
Spagnoli, gli Indiani dovettero
affrontare nuove malattie che, se
nel Vecchio mondo erano benigne, in
quello Nuovo assunsero un aspetto
maligno oppure malattie ad andamento
endemico divennero epidemiche.
Le migrazioni esposero infatti i
popoli più isolati e il loro sistema
immunitario impreparato a patologie
dal conseguente esito infausto,
provocando un alto tasso di
mortalità fra gli Indiani d’America
nei primi cento anni di contatto con
gli Europei e gli Africani.
Inoltre, la spiccata vulnerabilità
femminile al vaiolo fu una delle
cause primarie di morte tra i
nativi, mentre l’immunità sviluppata
dagli Europei appariva evidente
soprattutto di fronte all’ira degli
Indiani che erano soliti impastare
il pane dei padroni con sangue
infetto, ma con scarsi risultati.
Come abbiamo sottolineato lo scambio
fu reciproco, quindi come gli
Europei diffusero malattie fino ad
allora mai contratte nel Nuovo Mondo
(vaiolo, malaria, epatite,
morbillo), allo stesso modo ne
importano di nuove.
Una di queste fu il morbo
Gallicum o la sifilide
appartenente alla famiglia delle
Treponematosi, portata dai marinai
di Colombo che avevano contratto il
morbo sull’Isola di Hispaniola
attraverso rapporti sessuali con le
donne del luogo. Una malattia che
nel Vecchio Mondo, oltre alla sua
natura mortale, si diffuse
rapidamente deturpando le fattezze
degli uomini; nelle isole caraibiche
ebbe, invece, un decorso meno
aggressivo.
La contaminazione tra le due sponde
dell’oceano ebbe dunque
ripercussioni culturali ed
economiche con aspetti rivoluzionari
per entrambi i mondi. Infatti, se da
un lato l’introduzione del cavallo
in America del Sud ha rivoluzionato
l’agricoltura delle civiltà
precolombiane e le malattie europee
hanno contribuito al crollo
dell’Impero Maya, dall’altro è
necessario considerare l’importanza
dell’introduzione di alcuni alimenti
in Europa provenienti dal Nuovo
Mondo; tra questi la patata che, con
il suo apporto calorico e le sue
proprietà nutrizionali, ha permesso
di salvare molte vite durante le
numerose carestie che colpirono
l’Europa tra il 1650 e 1670.
Tra gli alimenti importati:
pomodoro, cacao, mais, peperone,
peperoncino, tabacco, zucca e
zucchine; ovviamente non tutte le
colture si adattarono ai nuovi
ambienti o perlomeno in tempi
rapidi. Viceversa, alcuni prodotti
non indigeni si adattarono
velocemente ai territori americani:
si pensi al caffè proveniente
dall’Africa, introdotto nel
Settecento, e la cui diffusione ha
reso il Brasile primo produttore a
livello mondiale.
Ovviamente il viaggio di Cristoforo
Colombo, esordio di una rivoluzione
economica e culturale, nonché di un
processo di globalizzazione
economica, mostra non solo le
meraviglie che una scoperta spesso
comporta, ma anche i lati oscuri e
imprevedibili dell’essere umano di
fronte a un mondo sconosciuto e
affascinante dove la meraviglia
iniziale ha lasciato il posto alla
sopraffazione e allo sterminio di
popolazioni autoctone; mostra, dal
punto di vista antropologico e
sociologico un passato che ancora
oggi sovrasta la natura umana.
Riferimenti bibliografici:
Crosby Alfred W., Lo scambio
colombiano. Conseguenze biologiche e
culturali del 1492, Einaudi,
Torino 1997.