N. 82 - Ottobre 2014
(CXIII)
Lo sbarramento di Otranto nella Grande Guerra
L’ingegnosa opera della Marina italiana
di Leonardo Merlini
La
Grande
Guerra
rappresenta
la
prima
vera
occasione
durante
la
quale
tutte
le
nazioni
interessate
utilizzarono
massivamente
le
proprie
flotte
di
sommergibili.
La
minaccia
subacquea,
ancora
sconosciuta
per
molti
aspetti,
obbligò
indifferentemente
tutte
le
Marine
a
una
rivisitazione
delle
strategie
e
delle
tattiche
difensive.
Inoltre,
nel
momento
in
cui
iniziò
l’attacco
indiscriminato
a
tutto
il
naviglio
mercantile
e
commerciale,
la
neutralizzazione
dei
sommergibili
nemici
divenne
quasi
un’ossessione
generale
sia
per
la
novità
della
materia
sia
per
le
oggettive
difficoltà
di
attuazione.
Nel
Mediterraneo,
in
generale,
e
nell’Adriatico,
in
particolare,
la
lotta
antisommergibile
divenne
uno
degli
aspetti
principali,
se
non
il
più
importante.
Tutte
le
nazioni
impegnate
nella
guerra
navale
nel
Mare
Nostrum
avevano
la
necessità
di
assicurare
la
sicurezza
delle
acque
sia
per
garantire
i
rifornimenti
alle
truppe
impegnate
in
Medio
Oriente,
in
Africa,
nei
Balcani,
in
Adriatico
e in
sud
Europa,
sia
per
consentire
con
la
necessaria
sicurezza
i
normali
traffici
commerciali
via
mare.
Mai
come
in
questo
momento,
il
potere
marittimo
fu
strettamente
connesso
alla
bonifica
della
minaccia
subacquea.
Fin
dallo
scoppio
delle
ostilità,
le
basi
navali
austriache
nell’Adriatico
rappresentavano
per
i
sommergibili
operanti
in
Mediterraneo
i
principali
punti
d’appoggio,
di
raddobbo,
di
rifornimento
e di
riposo.
La
Regia
Marina
e le
Marine
alleate
compresero
pienamente
lo
speciale
interesse
che
presentava
la
zona
del
Canale
d’Otranto
agli
effetti
della
lotta
antisommergibile
e i
decisivi
risultati
che
si
sarebbero
ottenuti
riuscendo,
se
non
ad
impedire,
a
rendere
almeno
difficile
e
pericoloso
l’uso
delle
basi
austro-ungariche
da
parte
dei
sommergibili
degli
Imperi
Centrali
(in
particolar
modo
quelli
germanici).
In
un
documento
conservato
presso
l’archivio
dell’Ufficio
Storico
della
Marina,
Alcune
considerazioni
sulla
guerra
navale
in
Adriatico
nel
periodo
1915-1918,
compilato
poco
tempo
dopo
la
fine
delle
ostilità,
sono
elencati
gli
sforzi
e le
principali
attività
che
la
Regia
Marina
pose
in
atto
e
che
risultarono
vincenti
ai
fini
della
vittoria
finale.
Fra
queste
attività
merita
particolare
attenzione
quella
relativa
all’attuazione
dello
sbarramento
del
Canale
d’Otranto,
che
assunse
sempre
maggiore
spessore
fino
a
interdire
in
maniera
cospicua
il
transito
dei
sommergibili
germanici,
ostacolandone
l’impiego
in
tutto
il
Mediterraneo.
Le
nazioni
alleate
si
rendevano
conto
di
quanto
avrebbe
giovato
alla
limitazione
dell’attività
subacquea
avversaria
la
chiusura
del
Canale
d’Otranto,
che
rappresentava
lo
sbocco
dell’Adriatico
in
mare
aperto.
Il
Canale
d’Otranto
è
lungo
40
miglia,
ha
fondali
altissimi
che
raggiungono
anche
i
mille
metri
e
non
offre
alcun
riparo
alle
tempeste,
che
molto
spesso
imperversano
in
modo
violento.
Le
difficoltà
che
si
sarebbero
dovute
superare
per
una
chiusura
del
Canale
non
erano
pertanto
di
poco
conto.
Tuttavia,
gli
italiani
e i
loro
alleati
da
subito
affrontarono
scrupolosamente
la
problematica
con
metodo,
e
l’argomento
fu
studiato
sia
direttamente
fra
i
comandi
navali,
sia
dai
vari
consigli
navali
interalleati.
A
ogni
riunione
seguiva
un
miglioramento
dei
mezzi
posti
in
atto
per
affrontare
la
nuova
offensiva
nemica,
ma
non
sempre
i
mezzi
adottati
raggiungevano
i
miglioramenti
desiderati.
Già
dall’inizio
della
guerra
era
mantenuta
nel
Canale
d’Otranto
una
“crociera
di
blocco
effettivo”
la
quale
da
settembre
in
poi
servì
anche
di
protezione
alla
catena
di
drifters
inglesi
muniti
di
reti
indicatrici
per
la
caccia
ai
sommergibili.
In
un
articolo
pubblicato
nel
numero
di
settembre
2008
del
Bollettino
d’Archivio
dell’Ufficio
Storico
della
Marina
Militare
dal
titolo
“Gli
sbarramenti
del
Canale
d’Otranto
durante
il
primo
conflitto
mondiale”,
di
Stéphan
Jules
Buchet
e
Franco
Poggi,
vengono
descritti,
fra
l’altro,
i
mezzi
“civili”
utilizzati
per
lo
sbarramento.
I
drifters
non
erano
altro
che
pescherecci
a
vapore
di
22
m,
in
gran
parte
scozzesi
e
adibiti
alla
pesca
delle
aringhe,
che
conducevano
rimanendo
ormeggiati
di
prora
alle
reti
lasciandosi
andare
alla
deriva
aiutati
da
una
randa
poppiera
armata
all’occorrenza
(to
drift
significa
appunto
“andare
alla
deriva”).
I
trawler
erano
invece
sempre
pescherecci
a
vapore
armati
con
due
alberi
che
praticavano
la
pesca
a
strascico
(da
trawl,
“rete
a
strascico”).
Gli
chalutier
erano
infine
piccoli
pescherecci
francesi,
adibiti
alla
pesca
a
strascico
nel
Mare
del
Nord,
che
pur
rimanendo
di
proprietà
francese
durante
la
guerra
batterono
bandiera
italiana
(chalut
in
francese
significa
“sciabica”).
Per
convenienza
questi
tipi
di
unità
furono
nominati
con
il
nome
generico
di
drifters.
Essi
avevano
il
compito
di
individuare
il
transito
dei
sommergibili
nemici
attraverso
le
reti
trainate
(successivamente
vennero
anche
dotati
di
idrofoni),
avvisare
le
navi
militari
cooperanti
ed
eventualmente
eseguire
un
primo
attacco
tramite
il
cannone
prodiero
o le
mine
antisommergibile
di
cui
furono
dotati.
Ma
sia
per
l’insufficienza
del
numero
delle
unità
sia
per
i
difetti
del
sistema
i
risultati
furono
assolutamente
scarsi.
Per
questo
motivo,
in
una
Conferenza
interalleata
del
marzo
1916
i
rappresentanti
francesi
e
italiani,
resisi
conto
dell’aleatorietà
dello
sbarramento
in
atto,
proposero
un
cospicuo
rinforzo
dello
stesso,
ma
ottennero
solamente
un
lieve
aumento
dei
drifters
(portandoli
a
100)
e a
un
impiego
di
alcuni
M.A.S.
tipo
Elco
inglesi.
Ma
anche
questi
accorgimenti
non
portarono
i
frutti
sperati
e
pertanto
in
una
nuova
Conferenza
dell’ottobre
1916
venne
stabilito
di
costituire
uno
sbarramento
mobile
costituito
da
più
linee,
in
modo
da
coprire
una
zona
talmente
vasta
che
superasse
l’autonomia
in
immersione
dei
sommergibili
nemici.
Teoricamente
il
piano
era
ineccepibile,
ma
sul
lato
pratico
si
ebbero
insormontabili
difficoltà
dovute
alla
scarsità
e al
tipo
dei
mezzi
disponibili.
Lo
sbarramento
mobile
non
acquistò,
pertanto,
nuova
efficienza.
Furono
però
intraprese
alcune
misure
speciali,
di
supporto,
come
la
costituzione
di
una
stazione
d’aviazione
di
vigilanza
e un
servizio
di
comunicazioni
tramite
una
rete
radiotelegrafica
dedicata.
Nelle
conferenze
dell’aprile
e
del
settembre
del
1917,
benché
tutti
fossero
d’accordo
nel
principio
di
destinare
le
massime
forze
alla
vigilanza
del
Canale,
non
si
poté
ugualmente
ottenere
nulla
di
positivo.
La
continua
attenzione
e il
costante
incremento
di
accorgimenti
posti
in
essere
dai
paesi
dell’Intesa
per
un
sempre
più
efficace
sbarramento
del
Canale
d’Otranto,
innervosì
non
poco
le
Marine
degli
Imperi
Centrali,
tanto
che
il
15
maggio
di
quell’anno
un’incursione
austriaca
ebbe
come
bersaglio
proprio
tale
dispositivo
navale.
Sebbene
la
flotta
italiana
e
quella
alleata
risposero
prontamente
e
veementemente
all’attacco,
molti
drifters
vennero
distrutti,
e
benché
fosse
già
in
mare
una
crociera
protettiva,
questa
non
poté
impedire
che
l’obiettivo
nemico
fosse
raggiunto.
Ciò
dimostrò
che
la
protezione
su
una
così
larga
zona
di
mare,
soprattutto
nelle
ore
notturne,
non
era
affatto
efficace
e
venne
deciso
l’impiego
dei
drifters,
e
quindi
il
massimo
dispendio
di
forze,
alle
sole
ore
diurne.
Nell’ottobre
1917
con
l’ausilio
di 6
cacciatorpediniere
australiani
furono
tuttavia
stabilite
“crociere
fisse”.
I
cacciatorpediniere
italiani,
impiegati
in
Adriatico
e
nella
scorta
ai
convogli,
non
erano
sufficienti
da
soli
a
questo
oneroso
servizio,
mentre
quelli
francesi
aggregati
in
determinati
periodi
erano
dirottati
per
altri
servizi,
fuori
da
questo
mare.
Nel
luglio
1917
i
drifters
e i
M.A.S.
furono
dotati
di
idrofoni,
per
una
più
agevole
identificazione
dei
sommergibili
avversari,
ma
lo
sbarramento
mobile
non
aveva
fino
a
quel
momento
portato
i
risultati
sperati,
e
nel
novembre
1917
presso
il
Consiglio
navale
interalleato
si
iniziò
a
discutere
per
la
prima
volta
di
un
possibile
sbarramento
fisso.
Già
verso
la
fine
del
1916,
infatti,
il
vice
ammiraglio
italiano
Cerri
aveva
ideato
un
sistema
di
rete
adatto
per
alti
fondali,
il
quale
poteva
mantenersi
invisibile
a 10
m
sotto
il
pelo
dell’acqua,
e un
esperimento
in
tal
senso
aveva
dato
ottimi
risultati.
Iniziò
da
parte
degli
alleati
a
insinuarsi
l’idea
che
soltanto
un
tale
sistema
poteva
efficacemente
indicare
la
presenza
e il
passaggio
dei
sommergibili,
e
che
sarebbe
stato
altresì
desiderabile
ottenere
la
distruzione
di
essi
all’atto
del
transito.
Contemporaneamente
in
Francia
la
questione
era
ugualmente
presa
in
esame
e
veniva
ideata
una
rete
esplosiva
che
poteva
rispondere
allo
scopo.
Nell’aprile
1917
i
tecnici
delle
due
Marine
ebbero
uno
scambio
di
vedute
con
il
quale
adottandosi
il
tipo
di
rete
italiana
(che
offriva
il
vantaggio
di
essere
invisibile
e di
poter
resistere
al
mare)
si
poteva
applicare
ad
esso
il
sistema
esplosivo
francese.
Venne
così
definito
il
progetto
italo-francese
dello
sbarramento
di
Otranto
per
la
lunghezza
di
66
km.
Su
di
esso
le
tre
Marine
interessate
presero
accordi
diretti
per
la
fornitura
del
materiale.
Senonché
l’Ammiragliato
inglese,
prima
di
prendere
eventuali
decisioni
per
la
costruzione
di
tale
materiale,
desiderò
che
fosse
fatto
un
ulteriore
esperimento,
in
presenza
di
rappresentanti
inglesi.
Non
sembrava
infatti
fattibile
il
posizionamento
in
mare
aperto
del
sistema
italiano
invisibile
e
venne
proposto
invece
quello
con
boe
alla
superficie
(di
ideazione
inglese).
Per
evitare
ulteriori
perdite
di
tempo
la
Marina
italiana
accettò
momentaneamente
la
proposta
inglese.
Le
trattative
durarono
fino
al
luglio
1917
e
nell’ottobre
si
iniziava
la
posa
dei
primi
elementi
di
rete
(2200
m),
i
quali
dopo
sei
giorni
di
funzionamento
furono
trovati
completamente
sconvolti
dalla
forza
del
mare.
Nel
contempo
però
era
continuato
da
parte
della
Francia
e
dell’Italia
l’approntamento
del
materiale
per
lo
sbarramento
invisibile.
Nel
dicembre
1917
erano
pronti
gli
elementi
per
22
km.
Nel
febbraio
1918
fu
ostruito
il
passaggio
tra
Fano
e
Samotraki
e
Corfù
(14
km)
e,
nello
stesso
mese,
in
una
nuova
conferenza
interalleata
l’Inghilterra
si
interessò
maggiormente
alla
materia,
pur
mantenendo
alcune
riserve
sul
compimento
dell’opera.
I
lavori
proseguirono
e la
posa
del
tratto
principale
fu
compiuta
nel
periodo
dal
22
aprile
al
30
settembre.
I
giorni
lavorativi
per
compiere
tutto
il
lavoro
furono
in
totale
141;
si
trattò
di
ancorare
429
boe,
mediante
180
km
di
cavo
d’acciaio
e di
distendere
66
km
di
rete
con
1200
torpedini.
Furono
addette
ai
lavori
due
vedette
italiane
e
due
francesi.
L’opera
colossale
costò
3.238.345
lire,
spesa
che
fu
divisa
in
parti
uguali
fra
Italia,
Francia
e
Inghilterra
la
quale,
dato
l’ottimo
risultato,
non
mancò
di
riconoscere
che
i
fatti
la
facevano
ricredere
dalle
opinioni
precedenti.
Lo
sbarramento
fisso
avrebbe
dovuto
essere
integrato
da
più
linee
di
torpedini
americane,
ma
esse
all’armistizio
non
erano
ancora
pronte.
Tale
sbarramento
non
escluse
quello
mobile,
per
il
quale
nel
corso
della
Conferenza
interalleata
del
febbraio
1918
furono
presi
nuovi
e
radicali
provvedimenti.
Venivano
cioè
ad
esso
definitivamente
destinati
40
cacciatorpediniere
britannici
e 12
francesi,
8
sloops,
48
trawlers,
76
drifters,
36
M.A.S.,
ai
quali
poi
si
aggiunse
una
flottiglia
di
chasers
americani
(economici
battelli
antisommergibile
di
34
m,
costruiti
in
legno).
Venti
sommergibili
alleati
dovevano
mantenere
un
servizio
di
agguato
al
Nord
e le
stazioni
di
aviazione
di
Varano,
Valona,
Brindisi
(italiane),
Otranto
(anglo-italiana),
Corfù
(francese)
dovevano
compiere
ripetuti
raids
offensivi
contro
la
base
di
Cattaro.
Nel
periodo
aprile-novembre
1918,
epoca
del
più
intenso
e
completo
funzionamento
dello
sbarramento,
si
ebbero
227
contatti
con
sommergibili
avversari,
86
attacchi
contro
sommergibili
avversari,
2
affondamenti
accertati
di
sommergibili
avversari
e 16
probabili
danneggiamenti
a
sommergibili.
Nella
Cronistoria
documentata
della
guerra
italo-austriaca
1915-1918,
edita
dall’Ufficio
Storico
della
Marina
negli
anni
’20,
viene
così
descritta
quest’opera
colossale
di
vitale
importanza
strategica:
“Con
continuo
scambio
di
idee
ed
in
concordia
di
studio
e di
intenti,
le
Marine
alleate
posero
alla
soluzione
del
problema
interesse
e
cura
[…]
la
soluzione
adottata
consisteva
in
un
doppio
sistema
di
sbarramenti:
a)
sbarramento
fisso
Italo-francese
costituito
da
una
ostruzione
esplosiva
immersa,
integrata
da
banchi
di
torpedini.
b)
sbarramento
mobile
costituito
da
un
congruo
numero
di
unità
antisommergibili,
sussidiate
da
adeguati
mezzi
aerei.
[…]
Alla
conclusione
dell’armistizio
lo
sbarramento
fisso
e lo
sbarramento
mobile
erano
già
in
opera
e si
stavano
per
iniziare
i
lavori
atti
a
migliorare
e
rendere
più
efficiente
lo
sbarramento
fisso.
I
risultati
ottenuti
[…]
si
manifestavano
già
molto
soddisfacenti
[…].
Si
può
quindi
affermare
che
l’opera
compiuta
appare
veramente
notevole
ed è
titolo
di
grande
merito
[…]
e
risolto
con
geniale
soluzione
un
problema
il
quale
a
priori
presentava
difficoltà
tecnicamente
insormontabili”.
Il
potere
marittimo,
il
dominio
dell’Adriatico,
fu
anche
raggiunto
con
la
sagacia
e la
lungimiranza
di
chi
ideò
e
mise
in
pratica
un
sistema
che
di
fatto
negò
il
transito
ai
sommergibili
nemici.