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N. 23 -
Novembre 2009
(LIV)
chi HA PAURA DELLA SATIRA?
Luttazzi, Travaglio e il caso Satyricon
di Cristiano Zepponi
“La
qualità
della
satira
si
valuta
dalle
reazioni
che
riesce
a
suscitare"
Dario
Fo
Il
“caso
Satyricon”
esplose
nell’aprile
2001,
alla
vigilia
delle
elezioni
politiche
(peraltro
vinte
dalla
coalizione
di
centrodestra)
quando
nello
studio
del
programma
(splendida
parodia
italiana
del
David
Letterman
Show)
venne
accolto
come
ospite
Marco
Travaglio,
autore,
con
Elio
Veltri,
membro
della
Commissione
Antimafia
e
Giustizia,
de
“l’odore
dei
soldi”
. Le
domande
stimolate
dal
testo
sulle
oscure
(eufemismo)
origini
delle
fortune
di
Silvio
Berlusconi,
primo
imprenditore
del
Paese
nonché
candidato
leader
della
“casa
delle
libertà”,
assunsero
presto
ben
più
vaste
dimensioni,
scatenando
una
clamorosa
polemica
che
travolse
il
conduttore
dell’intervista,
Daniele
Fabbri,
in
arte
Luttazzi.
Da
più
parti
ci
si
espresse
su
presunti
limiti
da
apporre
all’analisi
satirica;
e,
come
spesso
avviene,
s’avviò
quel
fitto
lavorìo
di
avvocati
e
querele,
che
solo
di
recente
ha
terminato
il
suo
corso.
Proprio
a
causa
delle
richieste
di
risarcimento
presentate
dai
“protagonisti”
della
conversazione,
sembra
ancor
più
opportuno
aver
chiaramente
presente
ciò
che
costituisce
l’oggetto
dello
scandalo.
Di
conseguenza,
prima
di
ogni
valutazione,
è
indispensabile
rileggerne
gli
“atti”,
dattilografati
integralmente.
Marco
Travaglio
e
Daniele
Luttazzi
siedono
vicini.
D>
Buonasera
Marco
e
benvenuto.
M>
Buonasera.
D>
Ho
letto
questo
libro
d'un
fiato,
è
veramente
molto
interessante,
l'hai
scritto
con
Elio
Veltri,
che
è
membro
della
commissione
antimafia
e
giustizia,
Origine
e
misteri
delle
fortune
di
Silvio
Berlusconi.
Questa
in
effetti
è
una
cosa
che,
non
so
gli
altri
italiani,
non
so i
giornalisti
italiani
che
non
ne
parlano
mai
evidentemente,
ma
io
mi
sono
sempre
interrogato
su
questo
mistero.
Innanzitutto
vorrei
fare
una
premessa,
perché
in
genere
poi
mi
accusano
sempre
di
essere
fazioso
o
cose
di
questo
genere:
tu
scrivi
per
Repubblica,
per
l'Espresso,
per
MicroMega
eccetera,
sei
di
sinistra?
M>
No.
D>
Non
sei
di
sinistra,
oh,
meno
male,
meno
male,
quindi
possiamo
parlare
tranquillamente.
M>
Diciamo
che
ho
trovato
asilo
in
questo
gruppo,
ma
io
ho
lavorato
con
Montanelli
finché
Montanelli
ha
potuto
lavorare
in
giornali
liberi,
quando
glieli
hanno
chiusi
o lo
hanno
messo
in
condizione
di
andarsene
non
ha
potuto
più
dirigerli
e
quindi
sono
felice
di
aver
trovato
asilo
in
un
giornale
altrettanto
libero.
D>
Quindi
il
tuo
maestro
è
Montanelli.
M>
Sì.
D>
Montanelli
il
quale
ha
dichiarato
recentemente
"Berlusconi
è il
macigno
che
paralizza
la
vita
politica
italiana"
M>
Lo
chiama
"il
piazzista
di
Arcore"
quando
è in
pubblico,
in
privato...
D>
Peggio?
Ah,
okay,
va
beh,
non
vogliamo
saperlo
perché
poi
non
vogliamo
finire
in
tribunale.
Ehm,
tu
hai
anche
uno
stipendio
pignorato,
mi
sembra
di
ricordare.
M>
Si,
dall'onorevole
Previti.
D>
Per
quale
motivo?
M>
Ogni
mese
mi
leva
un
quinto
del
mio
stipendio.
Ora,
essere
pignorati
è
già
abbastanza
seccante
ma
devo
dire
che
essere
pignorati
da
Previti
è
proprio
il
massimo
della
vita.
D>
Tu
lavori
per
Previti?
M>
Anche.
D>
(risata)
M>
Per
aver
scritto
una
cosa
vera
e
purtroppo
non
sono
riuscito
a
convincere
il
tribunale
di
Roma,
e
quindi
spero
nell’
appello,
spero
di
vincere
in
appello.
D>
In
bocca
al
lupo.
M>
Così
dovrà
restituirmeli
con
gli
interessi,
sarà
divertentissimo.
D>
Sarà
divertentissimo.
Beh,
facci
sapere.
Io
ho
letto
questo
libro.
Alle
prime
due
pagine
ho
detto:
ok,
qui
saltiamo
per
aria
tutti
quanti,
perché
ci
sono
delle
cose
veramente
sconvolgenti.
Io
mi
rifarei
proprio
dall'inizio:
"Cavaliere
da
dove
ha
preso
i
soldi",
no?
Innanzitutto,
in
questo
libro
si
parla
di
teoremi?
Cioè,
sono
teoremi
delle
toghe
rosse
o
sono
fatti?
M>
In
questo
libro
si
parla
di
documenti:
ci
sono
dei
documenti
che
andrebbero
spiegati,
se
in
Italia
le
interviste
contemplassero
delle
domande:
il
problema
è
che
in
Italia
abbiamo
inventato
questo
genere
letterario
dell'intervista
senza
domanda,
almeno
quando
il
politico
è
l'ospite.
E
quindi
nessuno
lo
chiede
ma è
una
domanda
legittima.
Qui
c'è
un
dirigente
della
Banca
d'Italia
che
viene
incaricato
dalla
Procura
di
Palermo
di
fare
un
perizia...
D>
Giuffrida?
M>
...
esatto,
il
dottor
Giuffrida,
tuttora
al
suo
posto
nonostante
abbia
subito
alcune
minacce
pubbliche,
il
quale
ha
studiato
i
finanziamenti
che
negli
anni
70 e
80
arrivavano
alle
22
anzi
34
holding
che
compongono
la
Fininvest...
D>
Erano
22 e
ora
sono
34,
ho
appreso
da
questo
libro.
M>
Ma
perché
inizialmente
si
pensava
a
22,
poi
andando
a
cercare
se
ne
sono
scoperte
anche
34
...
D>
Cosa
sono
queste
"holding"?
M>
Beh,
diciamo,
sono
de
contenitori
di
denaro,
denaro
che
passa
tra
l'una
e
l'altra
in
un
complicatissimo
sistema
di
scatole
cinesi
e
molto
spesso
non
si
capisce
poi
alla
fine
da
dove
è
partito.
Infatti,
questo
tecnico
di
Banca
d'Italia
che,
diciamo,
non
è
uno
stalinista,
è
un'espressione
del
capitalismo,
ha
cercato
di
capire
da
dove
arrivassero
questi
soldi,
perché
ci
sono
115
miliardi
in 7
anni
che
arrivano
in
contanti.
D>
115
miliardi
dell'epoca,
che
sarebbero?
M>
Sarebbero
sui
500
di
oggi.
Arrivano
in
contanti:
immagino
in
dei
valigioni,
in
tir,
non
so
come
li
si
trasporti.
D>
Da
dove
provenivano
questi
soldi?
M>
Ehm,
alla
fine
il
dottor
Giuffrida
si
arrende,
alza
le
mani
e
dice
"provenienza
sconosciuta";
e
quindi
bisogna
conoscerla,
io
credo
che
un
uomo
pubblico
dovrebbe
spiegarci
che
ci
fossero
dei
benefattori
che
continuavano
a
donare
questi
soldi
in
contanti,
ma
bisognerebbe
saperlo
chi
sono.
D>
Ma i
soldi
che
passano
da
una
holding
all'altra
e
eccetera
non
lasciano
delle
tracce,
non
è
possibile
risalire
all'indietro
come
Pollicino
e
arrivare
fino
all'origine?
M>
No,
il
sistema
francovaluta,
si
chiama
così
non
sto
a
spiegarlo
perché
è
complicatissimo,
faceva
in
modo
che
il
punto
di
partenza
fosse
inidentificabile.
Tutto
ciò
poi
era
ancora
complicato
da
alcune
amenità:
il
dottor
Giuffrida,
assieme
agli
uomini
della
DIA,
quando
è
andato
a
ritroso
alla
ricerca
di
questi
finanziamenti,
è
andato
a
cercare
la
documentazione
presso
banche,
e
presso
queste
banche
alcune
società
non
risultavano
nemmeno
essere
mai
esistite,
poi
si è
scoperto
perché:
erano
state
per
errore
classificate
come
negozi
di
parrucchiera
e
estetista.
Ora,
l'idea
che
Berlusconi
tra
tutto
quello
che
ha
abbia
anche
delle
società
di
parrucchiere
e
estetista
era
veramente
troppo,
infatti
lì è
stato
detto
"oops,
ci
siamo
sbagliati",
non
erano
parrucchieri
ed
estetisti,
erano
società
finanziarie.
D>
Che
banche
erano
queste
banche?
M>
Mah,
una,
la
più
famosa,
è la
Banca
Rasini,
quella
dove
lavorava
il
padre
del
Cavalier
Silvio
Berlusconi:
credo
che
cominciò
da
impiegato
e
poi
diventò,
se
non
ricordo
male,
direttore
generale.
Ed
era
una
delle
banche
che
è
indicata
dai
giudici
di
Palermo
come
quelle
utilizzate
per
il
riciclaggio
del
denaro
della
mafia.
D>
Noi
siamo
morti
in
questo
momento,
vuoi
dirmi?
M>
Quante
querele
vuoi
prenderti?
Sennò
smettiamo.
D>
Mah,
il
libro
è
interessantissimo,
è
meraviglioso:
tu
hai
avuto
minacce
dalla
pubblicazione
di
questo
libro?
M>
Non
ancora.
D>
Ok,
perfetto,
poi
fammi
sapere.
M>
Ho
saputo
alla
libreria
di
Fiumicino,
che
un
omino
di
bassa
statura...
D>
...
solerte
...
M>
...
era
passato
a
comprare
tutte
le
copie
che
c'erano.
D>
Stampatene
di
più,
no?
Così
loro
le
prendono
e
voi
guadagnate.
M>
Infatti,
noi
ristampiamo,
loro
ricomprano
e
vediamo
chi
si
stanca
per
primo.
D>
E'
stupendo.
Una
cosa
su
cui
mi
sono
sempre
interrogato
è
questa:
c'erano
alcune
società
che
voi
chiamate
nel
vostro
libro
"siringhe
monouso",
tipo
la
Palina
eccetera,
fanno
una
sola
operazione.
perché?
Cioè,
partono
dei
soldi
dalla
Palina,
holding
uno,
due,
tre,
ta-ta-ta-ta
e
poi
ritornano
alla
Palina:
perché?
M> E
poi
ritornano
all'origine:
questa
è
una
delle
cose
più
incomprensibili
che
si
sia
trovato
ad
affrontare
questo
povero
tecnico.
D>
Erano
dei
giroconti
fittizi?
M>
Sono
delle
cose
che
nemmeno
un
tecnico
di
alto
livello
come
questo
riesce
a
spiegare,
per
cui
alla
fine
si
arrende:
la
procura
di
Palermo
convocherà,
anzi,
credo
che
abbia
già
convocato
ma
la
cosa
slitterà
a
dopo
le
elezioni,
il
Cavalier
Berlusconi
perché
può
darsi
che
tutto
ciò
sia
assolutamente
lecito,
l'importante
è
spiegarlo.
Bisognerà
spiegarlo...
D>
Facciamo
un
appello,
no?
Bisognerà
spiegarlo.
Voi
parlate
di
due
fasi
dell'impero
Fininvest:
una
prima
fase
dagli
anni
70
fino
all'83,
è la
fase
che
abbiamo
appena
descritto,
mi
pare
di
capire,
dove
piovono
miliardi
non
si
sa
da
dove,
e
una
seconda
parte,
invece,
diciamo
il
CAF,
tangentopoli,
fino
alla
legge
Mammì...
M> è
la
fase
Craxi,
quando
Craxi
era
presidente
del
Consiglio.
D>
Esatto.
Qui
però
dite
una
cosa
interessante
e
che
io
non
sapevo,
e
cioè
che
Craxi
ha
partecipato
alla
fondazione
di
Forza
Italia.
M>
Ah,
quello
è un
altro
documento
straordinario,
secondo
me:
c'e
un
piccolo
democristiano
milanese
che
si
chiama
Ezio
Cartotto,
che
viene
ingaggiato
da
Marcello
Dell'Utri...
D>
Chi
è
Marcello
Dell'Utri?
M>
Marcello
Dell'Utri
è il
braccio
destro
di
Silvio
Berlusconi,
palermitano,
l'uomo
che
nel
1974
quando
Berlusconi
ha
bisogno
di
uno
stalliere
va a
Palermo,
prende
un
boss
mafioso
glielo
porta
a
Milano
e
glielo
mette
in
Villa
per
un
anno
e
mezzo:
si
chiamava
Mangano
questo
boss,
è
stato
poi
processato
al
maxiprocesso
di
Falcone
e
Borsellino
e
poi
è
stato
condannato
all'ergastolo
per
traffico
di
droga,
mafia
e
omicidio,
ed
era
in
rapporto
con
Dell'Utri
fino
almeno
al
'93-'94.
Chiusa
la
parentesi.
Stavamo
dicendo?
D>
Hai
fatto
una
parentesi
da
niente...ci
bevo
un
attimo
su?
Non
so
voi
ma
io
sto
abbastanza
tremando,
ma
ok.
(si
sente
un
tonfo
da
dietro
le
quinte)
Un
attentato,
sventato
per
fortuna:
state
fermi
e
non
saltate
sulle
sedie,
nessuno
si
muova.
(applauso)
M>
Allora:
Dell'Utri
ingaggia
questo
democristiano
lombardo
perché
dice"
qui
bisogna
fare
un
partito,
il
Cavaliere
dice
che
i
nostri
referenti
politici
stanno
malmessi
con
Mani
Pulite
e
quindi"...
D>
Siamo
nel
91-92?
M>
Siamo
nel
'92,
subito
dopo
l'arresto
di
Mario
Chiesa
e i
primi
indagati,
i
primissimi
piccoli
indagati
milanesi,
nemmeno
Craxi:
Craxi
poi
sarà
a
dicembre.
Lo
chiude
in
un
ufficio
di
Publitalia,
gli
dice
di
non
dire
niente
perché
della
cosa
sa
soltanto
lui
e il
Cavaliere,
nemmeno
Confalonieri
perché
era
contrario
a
questo
progetto
di
entrare
in
politica.
D>
Fedele
è
simpatico,
eh?
M>
Beh,
si,
diceva
delle
cose
che
dette
oggi
sembra
Stalin,
invece
era
Confalonieri:
diceva
"è
impensabile
che
noi
senza
vendere
le
televisioni
andiamo
in
politica";
cercava
di
convincere
Berlusconi:
infatti
all'inizio
lo
tennero
all'oscuro,
così
racconta
Cartotto.
Allora,
questo
ufficio
di
Publitalia
comincia
a
lavorare
alla
fondazione
del
partito,
che
poi
verrà
reso
noto
agli
Italiani
un
anno
e
mezzo
dopo:
nessuno
lo
sa.
E
questo
Cartotto
racconta
delle
cose
secondo
me
strepitose:
voglio
citare
perché
qui
bisogna
essere
esattissimi,
le
querele
volano
come...
e
noi
non
le
vogliamo
prendere
le
querele...
D>
Non
so
tu,
io
no
di
certo.
Credo
che
sia
il
male
minore
la
querela
a
questo
punto.
M>
Allora,
Cartotto
racconta
il
movente
della
nascita
di
Forza
Italia:
"Berlusconi,
in
una
convention
di
quadri
della
Fininvest
tenuta
a
Montecarlo,
tenne
un
discorso
che
posso
definire
di
attacco,
dicendo
specificamente:
i
nostri
amici
che
ci
aiutavano,
Craxi
&
c.,
contano
sempre
di
meno,
i
nostri
nemici
contano
sempre
di
più,
dobbiamo
prepararci
a
qualsiasi
evenienza
per
combatterli"
. Ma
racconta
un'altra
cosa
secondo
me
strepitosa,
e
cioè
che
nel
1992-93,
quando
Caselli
non
era
nemmeno
procuratore
di
Palermo,
quando
nessuno
si
sognava
di
ipotizzare
alcunché
di
rapporti
tra
mafia
e
Fininvest,
Berlusconi,
secondo
Cartotto,
si
aggirava
per
le
sue
aziende
dicendo
"se
non
andiamo
in
politica
ci
accuseranno
di
essere
mafiosi".
Ora,
a me
francamente
non
è
mai
capitato
di
temere
di
essere
accusato
di
essere
mafioso.
A te
non
credo.
D>
Non
credo,
no.
M>
"Berlusconi,
racconta
Cartotto,
temeva
che
entrando
in
politica
potessero
essergli
rivolte
accuse
di
contiguità
con
la
associazione
mafiosa.
Per
la
verità
Cartotto
ad
un'intervista
al
Corriere
dirà
poi
che
Berlusconi
diceva
queste
testuali
parole:
mi
faranno
di
tutto,
andranno
a
frugare
tutte
le
carte,
diranno
che
sono
un
mafioso.
D>
Ma
perché?
Strano,
no?
M>
Poi
aggiunge
Cartotto
che
nel
1994,quando
vennero
fuori
le
prime
voci
su
queste
liesons
dangereuses,
per
usare
un
termine
raffinato,
dice:
"ricordo
che
Berlusconi
mise
sotto
accusa
Dell'Utri
specificando
che
nei
sondaggi
Forza
Italia
stava
scendendo
proprio
per
questo
problema
dei
suoi
rapporti
con
la
mafia;
ricordo
che
la
reazione
di
Dell'Utri
mi
sorprese
alquanto,
quando
mi
disse
testualmente:
Silvio
non
capisce
che
dovrebbe
ringraziarmi
perché
se
dovessi
aprire
bocca
io,
puntini
puntini.
D>
Queste
sono
dichiarazioni
di
Cartotto.
Rese
dove?
M>
Queste
sono
dichiarazioni
di
Cartotto
alle
procure
di
Caltanissetta
e
Palermo
che
indagano
sui
mandanti
a
volto
coperto
delle
stragi
del
1992
e
93.
D>
Cosa
c'entrano?
M>
Eh,
cosa
c'entrano.
Quante
querele
vuoi
beccarti?
Allora...
D>
No,
stiamo
cercando
di
capire,
stai
tirando
fuori
delle
cose
che
non
stanno
nè
in
cielo
nè
in
terra,
non
è
una
logica
normale,
credo,
no?
Non
essere
così
soddisfatto,
è
una
cosa
tremenda,
oh,
mamma
mia.
M>
No,
sarà
che
le
conosco
e
quindi
do
un
po'
meno
peso.
C'è
un
atto
assolutamente
pubblico,
la
requisitoria
del
pubblico
ministero
Luca
Tescaroli
al
processo
di
appello
per
la
strage
di
Capaci
dove
sono
stati
condannati
tutti
i
boss
di
Cosa
Nostra,
da
Riina
in
giù,
per
avere
ordinato
e
realizzato
la
strage
che
ha
visto
la
morte
di
Falcone,
della
moglie,
degli
uomini
della
scorta;
in
questo
processo
di
appello
Tescaroli
fa
un
accenno
ad
un'altra
indagine
che
è in
corso
alla
procura
di
Caltanissetta,
e
che
riguarda
i
mandanti
a
volto
coperto,
cioè
coloro
che
avrebbero
diciamo
suggerito
se
non
altro
la
tempistica
per
quelle
due
stragi
in
sequenza
che
erano
Capaci
e
poi
via
D'Amelio:
voi
ricorderete
che
in
quei
50
giorni
saltarono
in
aria
i
due
giudici
più
famosi
d'Italia,
a
Palermo,
cioè
Falcone
e
Borsellino:
intere
autostrade
sventrate,
cioè
una
cosa
mai
vista;
forse
in
Colombia.
E
questo
pubblico
ministero
nella
requisitoria
ha
sostenuto,
ha
ricordato,
le
parole
di
alcuni
collaboratori
di
giustizia
i
quali
sostengono
che
Totò
Riina,
prima
di
mettere
a
punto
queste
stragi,
aveva
incontrato
alcune
persone
importanti,
come
le
chiamava
lui,
e
questi
pentiti
riferiscono
che
erano
Berlusconi
e
dell'Utri.
Naturalmente
tutto
ciò
è
una
requisitoria,
è un
documento
pubblico,
è
una
cosa
che
è
stata
letta
in
udienza
e
noi
l'abbiamo
pubblicata,
non
è
una
sentenza,
ci
mancherebbe
altro,
è
semplicemente
uno
spunto
di
indagine,
indagine
che
mentre
Tescaroli
parlava
era
in
corso:
e
altre
indagini
ci
sono
sulle
stragi
del
3,
perché
voi
ricorderete
che
nel
93
ci
fu
quella
replica,
quando
la
mafia
stranamente
cominciò
ad
occuparsi
del
patrimonio
artistico:
cioè,
la
mafia
uscì
dal
territorio
siciliano
e
cominciò
a
mettere
bombe
agli
Uffizi,
a
via
Palestro
a
Milano
e
qui
a
Roma,
a
San
giovanni
in
Laterano,
per
non
parlare
dell'attentato
a
Maurizio
Costanzo,
che
è un
altro
caso
clamoroso:
è
molto
interessante,
soltanto
a
livello
cronologico,
leggere
quello
che
racconta
Cartotto,
e
cioè
che
Maurizio
Costanzo
era
uno,
all'interno
della
Fininvest,
ferocemente
contrario
alla
nascita
del
partito
della
Fininvest,
cioè
alla
scesa
in
campo
della
Fininvest
in
politica.
Insomma,
è un
bel
quadretto.
D>
Beh,
direi,
rivelazioni
esplosive.
M>
Sai
qual
è il
brutto,
o il
bello?
Che
non
sono
rivelazioni,
cioè
non
sono
cose
che
io
sono
andato
a
trovare
e
che
nessuno
poteva
trovare.
Sono
cose
che
sono
state
dette
in
un'aula
di
tribunale.
D>
Beh,
nessuno
le
riferisce
perché
ancora
devono
essere
dimostrate.
M>
Si,
ma
quando
un
pubblico
ministero
dice
una
cosa
se
ne
dovrebbe
parlare.
D>
Non
se
ne
parla?
M>
Non
se
ne
parla
molto.
D>
C'è
una
specie
di
consegna
del
silenzio?
M>
Un
pochino,
forse.
D>
Forse
stanno
aspettando.
M>
Forse
stanno
aspettando.
D> E
Craxi
cosa
c'entra?
perché
tutto
è
partito
da
Craxi.
M>
Si:
Cartotto
racconta
che
in
queste
riunioni
ad
Arcore
nelle
quali
si
decideva
la
nascita
di
Forza
Italia,
a un
paio
di
queste
riunioni
partecipò
Bettino
Craxi,
poco
prima
di
volare
ad
Hamamet,
cioè
prima
di
perdere
l'immunità
parlamentare
e di
volare,
un
giorno
prima,
ad
Hamamet
per
sottrarsi
all'arresto.
D>
Quindi
quello
che
sostenete
voi
in
questo
libro
è
che,
da
certi
riscontri,
deposizioni,
ecc.
ecc.,
la
nascita
del
partito
è
dovuta
al
fatto
che
mancavano
i
referenti
politici
ad
un
certo
punto
quindi
han
detto:
ok,
dobbiamo
farci
le
cose
da
soli.
Giusto?
M>
Questo
racconta
l'unico
testimone
che
ha
parlato
di
quel
periodo,
cioè
questo
Cartotto,
che
non
è un
pentito
di
mafia,
non
è un
delinquente...
D> E
dove
si
trova
adesso
questo
Cartotto?
M>
Credo
che
stia
appena
fuori
Milano.
Viene
chiamato
spesso
a
testimoniare
in
vari
processi,
quelli
di
Dell'Utri,
quelli
di
Berlusconi...
D>
C'è
un
altro
capitolo
che
secondo
me è
molto
interessante,
ed è
quello
sulla
legge
Tremonti:
Tremonti
è
nella
cronaca
di
questa
settimana
perché
ha
dato
del
gangster
al
ministro
Visco
ecc.
ecc.:
ho
letto
però
una
cosa
interessantissima
su
questa
legge
Tremonti
in
realtà.
M>
La
legge
Tremonti
è
una
legge
che,
detta
in
soldoni,
rilascia
delle
agevolazioni
fiscali
alle
imprese
che
reinvestono
gli
utili.
E
quindi
è
una
legge
neutra.
Sennonché
un
giorno
una
certa
azienda,
che
si
chiama
Mediaset,
compra
dei
film,
e
comprati
quei
film
chiede
al
governo
se
può
beneficiare
dei
vantaggi
della
legge
Tremonti.
Il
governo
le
risponde
si,
puoi
beneficiare
di
questi
vantaggi.
E
questi
vantaggi,
quantificati,
sono
243
miliardi.
Il
problema
qual
è:
io
non
so
se
la
Mediaset
avesse
o
non
avesse
il
diritto
ad
accedere
a
questi
vantaggi:
c'è
chi
sostiene
di
no
perché
i
film
acquistati
non
sono
beni
materiali
e la
legge
Tremonti
si
occupava
soltanto
di
beni
materiali;
ma
diciamo
che
fosse
tutto
di
loro
diritto:
il
problema
è
che
a
beneficiare
di
questa
legge
è
colui
che
l'ha
fatta,
e
cioè
il
Cavalier
Silvio
Berlusconi
con
una
mano
è
presidente
del
Consiglio
e
con
l'altra
è
padrone
della
Mediaset
e si
interpella
da
solo
chiedendo:
"scusa,
puoi
tu
usufruire
di
questa
legge?
Si
che
puoi."
. E
alla
fine
ci
guadagna
250
miliardi.
D>
Ma
come.
Ogni
volta
che
gli
rinfacciano
il
conflitto
di
interessi
lui
dice
sempre:
"No
no
no,
perché
poi
io
lo
risolverò
molto
tranquillamente:
quando
parleremo
di
cose
che
mi
riguardano
io
mi
alzo
e me
ne
esco".
No?
M>
Si,
beh,
non
dovrebbe
mai
mettere
piede,
avremmo
un
governo
vacante,
in
esilio.
D>
Si,
perché
io
ho
elencato
le
cose
di
cui
si
occupa:
editoria,
telecomunicazioni,
telefoni
cellulari,
assicurazioni,
grandi
distribuzioni,
cinema,
audiovisivi,
affari
immobiliari,
sport.
Tutto.
M> E
negozi
di
parrucchieri
ed
estetisti.
D> I
negozi
di
parrucchieri,
hai
ragione.
Dunque:
riassumiamo
un
pochettino
il
percorso
di
questo
libro:
c'è
dentro
un'intervista
anche
a
Borsellino
che
è
incredibile.
M>
C'è
un'intervista
agghiacciante
a
Paolo
Borsellino:
è
una
rarità
questa
intervista,
perché
la
Rai
l'ha
potuta
trasmettere
soltanto
nottetempo...
D>
Perché
l'ha
potuta
trasmettere?
In
che
senso?
M>
La
Rai
ce
l'aveva,
ma
Roberto
Morione,
direttore
di
Rai
News
24,
ha
fatto
il
giro
delle
sette
chiese
per
offrirla
a
tutti
quelli
che
hanno
i
programmi
in
prima
serata,
ai
telegiornali,
e
tutti
gli
hanno
detto
che
non
gli
interessava
perché
era
roba
vecchia:
in
realtà
questo
è
l'ultimo
documento
filmato
di
Paolo
Borsellino
prima
che
salti
in
aria.
è
stata
fatta
il
21
maggio
del
92,
due
giorni
dopo
salta
in
aria
Falcone,
50
giorni
dopo
salta
in
aria
Borsellino.
D>
Cosa
c'era
di
così
drammatico
in
questa
intervista?
M>
Beh,
è
un'intervista
abbastanza
agghiacciante,
per
chi
la
vede
soprattutto
col
senno
di
poi,
cioè
la
vede
come
il
testamento
spirituale.
Borsellino
dice
alcune
cose:
a)
che
la
procura
di
Palermo
in
quel
momento
sta
indagando
sui
rapporti
tra
Berlusconi,
Dell'Utri
e
Mangano;
e
poi
dice
un'altra
cosa:
dice
che
in
una
intercettazione
del
1981
tra
Mangano
e
Dell'Utri,
Mangano
sta
contrattando
con
Dell'Utri
a
proposito
di
un
cavallo.
E
Borsellino
dice
che
"nel
maxiprocesso
noi
abbiamo
appurato
che
Mangano
quando
parla
di
cavalli
intende
partite
di
droga".
Quando
poi
il
giornalista,
che
è un
francese,
quindi
fa
domande,
gli
dice
" se
ricordo
bene
nell'inchiesta
c'è
un'intercettazione
fra
Mangano
e
Dell'Utri
in
cui
si
parla
di
cavalli".
Borsellino,
che
evidentemente
è un
fine
umorista,
risponde
"beh,
nella
conversazione
nel
maxiprocesso,
se
non
piglio
errore,
si
parla
di
cavalli
che
dovevano
essere
mandati
in
un
albergo.
Quindi
non
credo
che
potesse
trattarsi
effettivamente
di
cavalli:
se
qualcuno
mi
deve
recapitare
due
cavalli
me
li
recapita
all'ippodromo
oppure
al
maneggio,
non
certamente
dentro
a un
albergo".
Allora,
voi
immaginate
un'intervista
di
questo
genere
rilasciata
oggi
da
Borsellino
vivo,
che
cosa
si
direbbe
di
Borsellino,
che
è
una
toga
rossa,
che
è
arrivata
la
cavalleria
comunista,
che
non
a
caso
è un
complotto
politico,
la
giustizia
a
orologeria.
Il
problema
è
che
pare
che
Paolo
Borsellino
votasse
Movimento
Sociale;
cioè
apparteneva
a
quella
tradizione
della
destra,
la
nobile
tradizione
della
destra
legalitaria,
che
in
Sicilia
faceva
fronte
contro
la
mafia.
Per
cui,
andava
perfettamente
d’accordo
con
suoi
colleghi
che
erano
di
sinistra.
Immaginatevi
se
un
uomo
come
Borsellino
fosse
sopravvissuto
e
avesse
rilasciato
oggi
questa
intervista
dove
sarebbe
già
finito,
come
minimo
davanti
al
CSM,
come
minimo.
Il
fatto
che
in
questo
paese
un'intervista
del
genere
non
trovi
un
programma
che
la
trasmetta
in
prima
serata
ma
debba
andare
di
notte
è
abbastanza
significativo.
D> E
che
fine
ha
fatto
questa
bobina
poi?
M>
La
bobina
c'è,
è
stata
acquisita
agli
atti
della
procura
di
Caltanissetta
che
indaga
sulle
stragi
,
perché
è
molto
interessante
sapere
di
che
cosa
si
stava
occupando
la
magistratura
palermitana
nel
momento
in
cui
saltavano
in
aria
i
suoi
due
maggiori
esponenti.
O
no?
E
quindi
è
stata
acquisita.
è
molto
istruttiva,
secondo
me,
andrebbe
discussa,
ci
vorrebbero
delle
risposte.
D>
Io
ho
invitato
il
Cavalier
Berlusconi
qua
ma
non
viene.
Più
di
così
non
so
cosa
posso
fare.
M>
Strano.
D>
In
realtà
in
un
qualunque
altro
paese
europeo
o
del
mondo
anche
un
ventesimo
di
queste
piccole
rivelazioni
scatenerebbero
il
terremoto
politico.
Qua
invece
non
capita
nulla.
M>
Oggi
è
venuto
ad
interessarsi
di
questo
libro
e a
farmi
una
piccola
intervista
un
giornalista
del
Financial
Times,
il
quale
mi
raccontava
dell'avventura
di
un
dirigente
molto
promettente
del
partito
conservatore
britannico,
mi
ha
lasciato
anche
un
appunto
con
il
nome
e
quindi
voglio
essere
preciso:
si
chiama
Jonathan
Atkin,
il
quale
un
giorno,
convocato
ad
un
processo
che
riguardava
chi
avesse
pagato
il
conto
di
albergo
da 3
milioni
di
lire
a
sua
figlia
ha
mentito,
cioè
ha
detto
una
cosa
invece
di
un'altra,
ed è
stato
immediatamente
impacchettato
e
portato
in
carcere,
un
ex
ministro
nonché
parlamentare
conservatore,
è
rimasto
in
carcere
6
mesi
ed è
uscito
l'altro
giorno.
Ha
ovviamente
la
carriera
politica
finita,
ma
aveva
mentito
su
un
conto
di 3
milioni
della
figlia.
Io
non
oso
immaginare
quanta
gente
ci
sarebbe
nel
Parlamento
Italiano
se
vigessero
le
stesse
leggi,
probabilmente
sarebbe
semideserto.
D>
Io
mi
chiedo,
caro
Marco,
in
che
paese
viviamo.
Comunque
volevo
ringraziarti
perché
tu,
facendo
questo
libro,
dimostri
di
essere
un
uomo
libero,
e
non
è
facile
trovare
uomini
liberi
in
quest'Italia
di
merda.
M>
Ti
ringrazio
molto.
Mi
veniva
in
mente
una
cosa:
quel
governatore
della
Pennsylvania
che
un
giorno
si
presentò
in
televisione
e si
infilò
la
canna
di
una
pistola
in
bocca
e si
sparò:
credo
che
tu
stasera,
più
o
meno...
D>
No,
no,
non
lo
farei
mai.
M>
Avresti
fatto
molto
prima.
D>
Grazie
Marco.
Signori,
Marco
Travaglio.
(applausi)
Daniele
Luttazzi
riassume
oggi,
nel
suo
ultimo
libro
(“lepidezze
postribolari”),
il
“caso
Satyricon”:
“Lessi
per
caso
il
libro
di
Travaglio
sulle
origini
della
fortuna
di
Berlusconi,
raccontava
cose
importanti,
documentate.
Non
se
ne
parlava.
Io
sono
curioso.
Ho
invitato
l’autore
in
trasmissione
e
gli
ho
fatto
qualche
domanda
in
proposito.
In
una
democrazia
le
domande
sono
lecite”.
E
ancora:
“ E’
stato
un
interessante
esperimento
sul
grado
di
libertà
in
Italia”.
Poco
dopo,
insediato
al
governo,
il
neopremier
formulò,
via
televisione,
il
famigerato
ukase
bulgaro.
Da
quel
momento,
non
solo
Luttazzi,
ma
anche
Enzo
Biagi,
“padre”
del
giornalismo
italiano,
e
Michele
Santoro,
furono
epurati
dalla
Rai,
per
averne
fatto
un
uso
“criminoso”.
Fioccarono
pareri
su
pareri
sulla
puntata
di
Satyricon:
e
spesso,
anche
il
giornalismo
di
sinistra
dimostrò
una
certa
confusione
sul
concetto
stesso
di
Satira.
Il
29
marzo
2001
(“Lepidezze”,
pag.
33)
Eugenio
Scalari
scriveva
“
(…)
L’
intervista
di
Luttazzi
era
legittima,
lecita,
ma
sommamente
inopportuna
(…)”,
come
dimenticando
che
la
Satira,
per
definizione,
non
può
essere
“opportuna”.
Deve,
sempre,
sovvertire
lo
status
quo.
Deve,
in
ossequio
alla
sua
discendenza
dal
satiro
(sàtyros),
tentare
la
“purificazione”
attraverso
il
ridicolo
e
l’osceno.
Deve,
comunque,
prevedere
un
Giudizio.
Proprio
per
questo,
perdono
di
senso
le
obiezioni
formulate
fondandosi
sulla
supposta
volgarità,
inopportunità,
faziosità
della
Satira.
E’,
essa
stessa,
politica,
come
conferma
l’etimologia:
dovrebbe
infatti
derivare
da
“satura”,
“la
cesta
dei
contadini
romani
che
portavano
doni
a
Cerere:
satura
di
beni
ma
anche
di
tutto
ciò
che
sulla
terra
non
va
per
il
verso
giusto”
(“Satira”,
Nicola
Fano,
introd.).
Senza
questa
denuncia,
si
trasforma
in
sfottò,
ovvero
parodia
bonaria,
inoffensiva
e,
proprio
per
questo,
apprezzata
visibilmente
dal
potere,
che
tenta
di
sfumare,
lentamente,
le
marcate
differenze
tra
i
due
generi
(si
pensi,
come
esempio,
alla
differenza
con
un
Fiorello,
brillante
esempio
di
qualunquismo
bi-partizan
che
non
graffia
ma
accarezza,
familiarizzando
il
pubblico
a
qualsiasi
figura
resa
dal
suo
obiettivo
talento
“piacevole”,
con
il
drammatico
effetto
di
far
passare
in
secondo
piano
avventure
legali
e
passati
burrascosi:
per
questo
viene
continuamente
elogiato
da
tutto
il
mondo
politico
e
non
solo).
Alexander
Stille
scrisse
che
l’intervista
non
era
stata
“
(…)
imparziale
ed
equilibrata
(…)”,
qualcuno
citò
la
mancanza
di
contraddittorio,
senza
ricordare
però
che
ciò
era
dovuto
ai
continui
rifiuti
dei
principali
leader
politici,
eccettuati
Di
Pietro,
Pannella,
Fassino.
Si è
parlato,
riguardo
il
programma,
di
“nichilismo
infame
della
peggior
specie”
da
parte
dell’”Avanti!”,
il
giornale
che
fu
di
Turati
e
Matteotti;
Alberto
Contri,
consigliere
Rai,
in
un’intervista
al
Messaggero,
sostenne
che
“(…)
a
Luttazzi
resti
solo
da
varcare
il
confine
della
coprofagia”.
L’unico
in
Italia
a
ricordare
l’immenso
debito
nei
confronti
di
Daniele
Fabbri,
querelato
per
quarantun
miliardi
di
lire
(così
ripartiti:
venti
da
Berlusconi,
cinque
da
Fininvest,
cinque
da
Mediaset,
undici
da
Forza
Italia,
richiesti
dall’avv.
Romano
Vaccarella,
poi
divenuto
Giudice
della
Corte
Costituzionale),
è
stato
Paolo
Flores
D’Arcais:
“Lo
scandalo
è
che
su
tutto
ciò
si
sia
esercitata
una
micidiale
censura
televisiva
da
inciucio,
incomprensibile
per
i
giornalisti
stranieri,
rotta
solo
da
uno
spazio
di
giornalismo
informativo
vero,
offerto
da
un
comico
nella
sua
trasmissione.
Basterebbe
questo,
perché
il
giornalismo-giornalismo
debba
almeno
un
gigantesco
grazie
a
Daniele
Luttazzi,
e il
giornalismo
di
regime
o di
inciucio
debba
coprirsi
il
volto
per
la
vergogna
delle
proprie
omissioni,
censure,
servilismi”
(“Il
ventennio
populista”,
Fazi,
Roma
2006,
pag.
154).
All’estero,
l’”Herald
Tribune”
sostenne
che
a
Satyricon
era
stato
infranto
un
lungo
e
tacito
patto
fra
maggioranza,
opposizione
e
gran
parte
dell’informazione
per
cui
in
Italia
dei
temi
scabrosi
della
fortuna
di
Berlusconi
non
si
deve
fare
menzione.
Una
gran
parte
del
giornalismo
nostrano
trova
ancora,
quindi,
grandi
difficoltà
a
svolgere
il
proprio
lavoro,
che
appare
inaspettatamente
duro:
fare
domande.
Recentemente,
per
fortuna,
il
Tribunale
di
Roma
ha
emesso
la
sua
sentenza.
Silvio
Berlusconi,
Mediaset
e
Forza
Italia
hanno
perso
le
loro
cause,
fondate
sull’assunto
che
”
(…)
ai
telespettatori
di
Satyricon
l’attore
(S.Berlusconi,
ndr)
è
stato
descritto
non
come
un
onesto
imprenditore
ma
come
personaggio
colluso
con
ambienti
mafiosi
(…)”
(richiesta
di
risarcimento,
pag.
13).
I
giudici
hanno
riconosciuto
la
pertinenza
di
domande
e
risposte
in
esame.
Inoltre,
il
Tribunale
ha
deliberato
quanto
segue:
Tribunale
di
Roma
Comunicazione
di
deposito
di
sentenza
Civile
(art.
133
c.p.c.)
[...]
-
respinge
le
domande
di
risarcimento
dei
danni,
di
pagamento
della
sanzione
prevista
dall'art.
12
della
legge
n.
47/1948
e di
pubblicazione
della
sentenza
formulate,
con
citazione
notificata
il
26.4.2001,
dall'on.
Silvio
Berlusconi
nei
confronti
di
Marco
Travaglio,
Daniele
Fabbri
(in
arte
Daniele
Luttazzi),
Carlo
Freccero
e
della
Rai
Radiotelevisione
Italiana
s.p.a.;
-
respinge
la
domanda
di
risarcimento
dei
danni
per
lite
temeraria
nonché
la
domanda
di
cancellazione
di
talune
frasi
dell'atto
di
citazione
formulate
dal
Fabbri;
-
condanna
l'on,
Silvio
Berlusconi
a
rifondere
in
favore
di
Marco
Travaglio,
di
Daniele
Fabbri
(in
arte
Daniele
Luttazzi),
della
Rai
Radiotelevisione
Italiana
s.p.a.
e
della
Bellandi
Entertainment
s.p.a.
le
spese
di
giudizio
che
si
liquidano,
per
ciascuna
di
dette
parti,
in
complessivi
euro
16.855,00
di
cui
euro
15.000,00
per
onorari
ed
euro
1.705,00
per
diritti,
oltre
a
quanto
dovuto
per
le
spese
generali,
per
l'Iva
e
per
il
contributo
alla
CPA.
In
linea
teorica,
cioè,
la
puntata
potrebbe
tranquillamente
essere
trasmessa
dalla
Rai.
Ciò,
purtroppo,
non
avviene.
Per
ovvie
ragioni.
E’,
proprio
questo,
un
ottimo
esempio
della
recente
evoluzione
del
genere
satirico.
“
Anche
ad
Aristofane
(…)
capitò
d’essere
censurato,
ma
la
sua
forza
scenica,
la
sua
popolarità
e il
suo
successo
rivolsero
quel
gesto
contro
chi
lo
aveva
fatto:
oggi
sappiamo
molto
di
Aristofane
e
poco
o
nulla
del
suo
censore
Cleone
(…)
Viceversa,
dal
fascismo
in
poi
-
almeno
in
Italia
– la
censura
ha
avuto
libero
e
fortunato
corso:
per
la
semplice
ragione
che
i
mezzi
di
persuasione
di
massa
hanno
forzatamente
educato
il
pubblico,
o
meglio
una
parte
del
pubblico,
ad
altre
verità
ed
altre
delazioni”.
Enzo
Biagi,
in
“Era
ieri”,
cita
Corrado
Alvaro,
che
diceva:
“Abbiamo
il
diritto
di
sapere
non
solo
ciò
che
i
rappresentanti
del
popolo
hanno
in
testa,
ma
anche
quello
che
hanno
in
tasca”.
Naturalmente,
fu
cacciato.
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